IL FUTURO DELL’ITALIA PASSA DAL RILANCIO INDUSTRIALE
30.01.2025
Ventidue mesi: la durata del calo della produzione industriale del nostro Paese, certificata dall’Istat. Una crisi generalizzata che colpisce quasi tutti i settori, con auto, siderurgia ed elettrodomestico in situazioni fortemente complicate. Una condizione drammatica che, però, riempie giornali e telegiornali per una giornata, per poi tornare ad essere una notizia solo per addetti ai lavori.
Politiche industriali cercasi
Auto, siderurgia, elettrodomestico. La spina dorsale e la punta di diamante dell’industria del nostro Paese e del Made in Italy riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo, che hanno fatto diventare l’Italia la seconda manifattura europea. Settori strategici o almeno così è stato nel passato, fino a una decina di anni fa.
Per quanto riguarda la produzione di veicoli, il 2024 si è concluso con un record negativo – facendo tornare l’Italia ai livelli del 1956 – con un calo di oltre il 37% rispetto allo scorso anno. Per rilanciare gli stabilimenti di Stellantis e l’intera filiera non bastano le conferenze stampa congiunte di Governo e multinazionale o delle slide con impegni tutti da verificare, ma occorrono investimenti ingenti e concreti, nuovi modelli nel breve termine e una programmazione condivisa. Ma, allo stesso tempo, è fondamentale avere un chiarimento definitivo dall’Unione europea sul termine del 2035 e sugli step intermedi che ci porteranno all’obiettivo di zero emissioni.
La crisi che interessa l’elettrodomestico dura da molti anni, dopo la scomparsa delle grandi famiglie italiane come Merloni e Zanussi. Sono stati chiusi stabilimenti, persi migliaia di posti di lavoro e interi territori sono al limite della desertificazione, come le Marche.
Nonostante questo, Beko, che ha acquisito meno di un anno fa gli stabilimenti Whirlpool, ha dichiarato quasi 2mila esuberi su poco più di 4mila dipendenti in Italia e la chiusura dei siti di Siena e Comunanza (Ascoli Piceno). Un atto intollerabile che abbiamo subito rispedito al mittente, ma che il Governo vorrebbe contrastare con uno strumento fumoso come la golden power.
Nella siderurgia, la vertenza dell’ex Ilva dura da oltre dodici anni, con migliaia di lavoratori e intere comunità che si trovano nella totale incertezza sul futuro. Per la Uilm, a differenza delle dichiarazioni del Governo e del Ministro Urso, la crisi non è chiusa e vigileremo sull’andamento della gara per la vendita, che entrerà nel vivo nelle prossime settimane. Gli obiettivi imprescindibili devono essere la tutela ambientale, la piena salvaguardia occupazionale, diretta, indiretta e dei lavoratori in Ilva AS, e il rilancio produttivo con la costruzione di forni elettrici e impianti di pre ridotto.
Queste crisi, e le molte altre che colpiscono il settore industriale italiano, sono il frutto della mancanza annosa di politiche industriale, di visione e di coraggio da parte dei Governi che si sono avvicendati, che hanno portato a uno stato al limite della degenerazione del tessuto produttivo italiano. Si è preferito rincorrere la singola emergenza che si apriva, di concedere un bonus o un ammortizzatore sociale per prendere tempo, di assecondare per fini elettorali, senza avere in mente l’Italia del futuro.
Italia senza industria
Negli editoriali e nelle trasmissioni televisive, a giorni alterni, si parla di deglobalizzazione, di riorganizzazione delle filiere, dell’alto costo dell’energia, della concorrenza non solo fuori dall’Ue ma anche all’interno, e di molte altre cause che sarebbero alla base del declino dell’industria italiana.
Ma in Italia, da anni, non esiste un luogo istituzionale dove si discuta di questo, non c’è un confronto aperto e pubblico con tutte le parti interessate che porti a decisioni efficaci e condivise. Assistiamo, invece, a tavoli ministeriali che sembrano più passerelle per il ministro di turno; un momento in cui comunicare decisioni già prese davanti a una folta platea, utile solo alla spettacolarizzazione mediatica dell’evento.
Per la Uilm non può esistere un futuro e una ripresa del nostro Paese senza un vero e solido rilancio industriale, senza la creazione della ricchezza che proviene dal valore aggiunto della produzione manifatturiera. Questo passa anche da aumenti salariali sostanziosi per i lavoratori per far ripartire i consumi.
Settori produttivi che vanno ridisegnati, ammodernati e resi ecosostenibili ma con due obiettivi improrogabili: salvaguardia dell’occupazione e del patrimonio industriale.
Ci aspettiamo che il Governo e Confindustria passino dalle parole ai fatti. Non vogliamo attendere la prossima conferenza stampa, bollettino Istat o editoriale. Per questo il 5 febbraio, insieme ad altri sindacati industriali italiani ed europei, saremo a Bruxelles per chiedere all’Ue interventi urgenti, concreti, chiari e strutturali per governare e non subire la transizione ecologica.
Ufficio Comunicazione UILM
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