Il contributo decisivo del Sindacato per salvare l’Italia: i patti di luglio ‘92 e ‘93

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23.07.2023

All’inizio degli anni Novanta l’economia italiana attraversa un periodo di forte difficoltà e turbolenza. Il PIL aumentò solo del 2%, a fronte di una previsione del 3,25%. Inoltre, nonostante le vicende sulla “scala mobile” della metà degli anni ’80, l’inflazione era salita ancora al 7,5% con una crescita industriale appena dell’1,3%.

L’instabilità economica sarà affiancata da lì a poco anche da quella politica, con le vicende legate alla stagione passata alla storia come “Tangentopoli” e la scomparsa dei cinque partiti che dal Dopoguerra avevano avuto responsabilità di governo. In un contesto di così forte tensione era necessario trovare la “quadra” con provvedimenti in grado di mettere sotto controllo l’inflazione e centrare gli obiettivi europei. Si scelse di intervenire con dei patti con le parti sociali, che in quel torno di tempo diventano il perno positivo di una stagione complicata.

Inoltre, un’Italia già messa in crisi da molte difficoltà, nel febbraio del 1992 firma il Trattato di Maastricht, che istituisce l’Unione monetaria. Però, per far parte del consesso era necessario avere i conti in ordine, con un deficit limitato, debito in via di contenimento e una bassa inflazione. Condizioni dalle quali eravamo molto lontani.

Accordo del 31 luglio del 1992

In quel periodo i sindacati erano ancora piuttosto divisi. Ma nel 1992, alla presidenza del Consiglio c’è Giuliano Amato, che il 31 luglio dello stesso anno riesce a raggiunge un accordo importante con le Parti sociali. L’accordo prevede la fine definitiva del meccanismo di adeguamento automatico dei salari al costo della vita (la cosiddetta “scala mobile”), con l’impegno di dare rapidamente vita a un nuovo sistema contrattuale. Verrà anche sospesa fino al 1993 la contrattazione aziendale per gli aspetti retributivi.

Amato si dimetterà prima di poter onorare l’impegno a condividere con le parti sociali il nuovo sistema contrattuale, in una situazione di speculazione monetaria che fa precipitare l’economia del paese. La decisione conseguente sarà far uscire una lira italiana in balia della svalutazione (fino al 35%) dallo SME, il Sistema Monetario Europeo.

Al posto di Giuliano Amato arriva a palazzo Chigi l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi.

Accordo del 23 luglio 1993: una “Carta costituzionale” delle relazioni industriali

Il 23 luglio del 1993 viene firmato un altro importante patto tra Governo e Parti sociali. Con questo patto, ratificato dai lavoratori, si stabilivano per la prima volta nella storia italiana regole certe nel sistema di relazioni industriali: non a caso si parlò di una vera “Carta costituzionale” delle relazioni industriali: qualcosa di simile – si disse – agli “accordi fondamentali operanti da molti decenni nei paesi scandinavi”.

Dietro questa tappa fondamentale delle relazioni industriali, ci fu ancora Gino Giugni, il padre dello Statuto dei lavoratori, varato il 20 maggio del 1970.

Con l’intesa scomparivano del tutto le indicizzazioni, si semplificava la struttura contrattuale con una definizione compiuta dei due livelli di contrattazione (nazionale di categoria e aziendale). Venivano ben proceduralizzati i processi di negoziazione, sistematizzando le procedure di raffreddamento dei conflitti. Si affermava la centralità del contratto nazionale di categoria diviso in parte salariale e parte normativa, che avranno scadenze diverse. Di conseguenza, verrà chiusa la contrattazione confederale riguardante il salario. E sempre con riferimento alle dinamiche retributive, saranno resi chiari i limiti perimetrali della contrattazione di secondo livello su questo aspetto.

Con l’accordo del 23 luglio del 1993 tra CGIL, CISL, UIL e Confindustria – passato alla storia anche come “Protocollo Ciampi-Giugni” – venne previsto il diritto di creare le Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) in tutte le organizzazioni produttive private con più di 15 dipendenti (nelle imprese a partecipazione statale, l’istituzione delle RSU avvenne con l’accordo stipulato il 20 dicembre del 1993 sindacati e Intersind).

Perché furono importanti

L’accordo del 1993 – che va sempre ricordato insieme a quello del 1992 – ha avuto il merito di “sciogliere i nodi fondamentali che hanno accompagnato la dinamica delle relazioni industriali per più di quindici anni”.

I benefici furono visibili a stretto giro: si pensi, in primis, all’abbassamento del tasso di inflazione e al risanamento dei conti pubblici.

Un atto di responsabilità di cui il Sindacato fu grande protagonista in una delle stagioni più complicate attraversate dalla nostra Repubblica.

Alcuni dei contenuti dell’accordo avevano un valore che si è protratto nel tempo, come le Rappresentanze Sindacali Unitari; altri erano giustificati dalla situazione del momento, come l’utilizzo dell’inflazione programmata, che si è rivelata validissima per avvicinare l’Italia ai parametri di Maastricht, ma che reiterata troppo a lungo ha finito con il contribuire a una dinamica eccessivamente depressa dei salari. La UIL in più occasioni spinse per aggiornare la parte salariale dell’accordo e tornare a dinamiche retributive più soddisfacenti, senza trovare in CGIL e CISL analoga sensibilità, tanto che nel 2011 la UIL disdettò da sola l’accordo, per sottolineare con forza che era necessario aprire una nuova stagione contrattuale.

 

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