La libertà prima di tutto. In ricordo di Giacomo Matteotti

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10.06.2023

Giacomo Matteotti è quello che si potrebbe definire un vero apostolo del socialismo. Pur essendo figlio di una famiglia borghese di benestanti proprietari terrieri, dedicò comunque tutta la vita agli ultimi della sua terra: i braccianti e i contadini del Polesine, che ancora all’inizio del’900 morivano poverissimi di pellagra, perché mangiavano solo polenta.

Non a caso, l’Inchiesta Jacini, condotta dal 1877 al 1886 per esaminare le condizioni dell’agricoltura nel paese, descrive il Polesine come “una terra dove si piange la vacca morta e ci si rassegna per la moglie perduta”.

Il socialismo: Una scelta di vita

Finiti gli studi in giurisprudenza, e rinunciando a una promettente carriera accademica, Matteotti fece la radicale “scelta di vita” per il socialismo. Si candida la prima volta nella sua Fratta Polesine al consiglio comunale. Poi, nel 1910 si presentò alle elezioni provinciali di Rovigo. Eletto consigliere, si dedicherà con fervore al ruolo di amministratore locale sia nel Consiglio provinciale, che in altri piccolissimi comuni dell’hinterland, organizzando il proletariato in leghe socialiste e in cooperative: un’opera che si inserisce appieno nella tradizione del “localismo amministrativo” del socialismo italiano.

Collaborò molto intensamente con i sindacalisti che operavano nelle campagne del Delta del Po, promuovendo piattaforme rivendicative e lavorando per il riconoscimento delle leghe come uniche organizzazioni per il collocamento di manodopera.

Le durissime lotte sindacali del 1920 culminarono nel “Concordato provinciale del lavoro agricolo per il biennio 1920-1922” (il quale garantiva tra l’altro il monopolio sindacale del collocamento e l’imponibile di manodopera). Inoltre, in quel torno di tempo si ebbe anche la stipula del nuovo capitolato di mezzadria, in un clima di “estrema durezza nei confronti dell’avversario di classe”.

Nel 1921, Matteotti fu eletto segretario della Camera del lavoro di Ferrara, nel momento in cui il ferrarese veniva messo a ferro e fuoco dai fascisti di Italo Balbo. Qui la massa militarizzata degli squadristi, in gran parte formata da ceti di “spostati” borghesi e piccolo-borghesi, aveva compreso che l’uso organizzato della violenza era l’unica arma per occupare la scena politica.

Un solo nemico: il fascismo

Del fascismo Giacomo Matteotti divenne il più strenuo oppositore, mentre nelle dilanianti vicissitudini del socialismo italiano, si schierò sempre con i riformisti che facevano capo a Filippo Turati, tanto da venir eletto nel 1922 segretario generale del Partito socialista unitario: PSU formato dall’ala più riformista del socialismo, espulsa nel ’22 da un PSI che invece era appiattito nella sua maggioranza su posizioni massimaliste e filobolsceviche.

Anche nel rapporto con i comunisti Matteotti fu sempre netto: “i socialisti coi socialisti, i comunisti coi comunisti”, affermava. “Il proletariato – disse – deve essere unito; un blocco solo; se c’è chi crede solamente nella violenza, quegli esca e vada ai comunisti”. Al volontarismo opponeva il determinismo, alla rivoluzione l’evoluzione.

Scriverà a Turati che “il nemico è attualmente uno solo, il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall’uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell’altro”.

Il socialismo, invece, è per Matteotti un’idea che non può mai essere scissa dalla libertà, mentre imputava ai comunisti di usare la violenza esercitata da una minoranza come metodo di lotta politica. Secondo le sue intenzioni, il PSU avrebbe dovuto rappresentare la casa comune di tutti i socialisti: anche di quelli che non “hanno voluto sottoporsi alla dittatura della cosiddetta Internazionale di Mosca”.

Al contrario dello storicismo marxista, riteneva che il passaggio alla società senza classi (al socialismo) non fosse una prospettiva scontata e irreversibile, ma dipendesse anche dalla volontà di chi opera nonché da una efficiente organizzazione delle classi popolari. Il “momento programmatico” sarà sempre un aspetto fondamentale del suo agire.

L’elezione in Parlamento

Eletto in Parlamento la prima volta nel 1919, Matteotti divenne il contraddittore più acuto, capace e scomodo dei governi del dopoguerra, nella difesa più ostinata degli interessi popolari.

Il discorso del 30 maggio del 1924 che pronuncia alla Camera è un vero atto di accusa contro il fascismo, reo di aver falsato le elezioni politiche dell’aprile precedente con brogli e violenze sistematiche. Alla fine dell’intervento dirà: “Il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.

L’11 giugno sarebbe dovuto intervenire nuovamente in Parlamento per denunciare, molto probabilmente, gravi casi di corruzione che chiamavano in causa lo stesso Mussolini, ma il 10 Giacomo Matteotti fu rapito e assassinato da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini. Il 16 agosto 1924, a due mesi dalla scomparsa, il corpo del deputato viene ritrovato in un bosco alle porte di Roma.

Da lì in poi il fascismo si fa regime, tenendo sotto il suo tallone di ferro l’Italia per un ventennio.

L’ immagine e il mito di Giacomo Matteotti esercitarono un notevole potere evocativo sugli antifascisti italiani, soprattutto giovani. La sua tragica fine fornì un ideale per cui battersi: la difesa della libertà.

Per saperne di più: F. FLORINDI, La missione impossibile. Il Psu e la lotta al fascismo, Arcadia Edizioni, 2021.

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