Comunità Energetiche Rinnovabili: a che punto siamo?

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02.07.2024

La transizione energetica è certamente una delle più grandi sfide che ci attendono nel prossimo futuro. Volendola definire come la necessità di costruire un nuovo modello economico e sociale basato su produzione e consumo di energia proveniente il più possibile da fonti rinnovabili, appare chiaro che in essa è insito anche un processo di cambiamento profondo basato sulla sensibilizzazione al risparmio e su una maggiore efficienza dei consumi, che non coinvolge solo il mondo dell’impresa, ma necessita di un ripensamento profondo nella cultura e nello stile di vita di ciascuno di noi.

In questo contesto, l’attivazione di nuove forme di azione collettiva, mirate ad abbattere i costi economici e ambientali, unitamente alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali, rappresenta non solo la base della transizione energetica, ma anche un’opportunità per la creazione di nuove forme di gestione dell’energia, da svilupparsi sotto l’egida della cosiddetta green economy.

In base a ciò, quindi, e cogliendo le opportunità offerte dalle moderne tecnologie e dagli obiettivi di neutralità climatica da raggiungere entro il 2050, ai cittadini si aprono forme di associazionismo del tutto innovative, in seno alle quali essi assumono sempre di più il ruolo di prosumer. Questo termine, mutuato dall’inglese, designa una figura che non si limita ad essere un mero consumatore di energia (consumer), ma intende partecipare in prima persona alla produzione della stessa (producer). Di fatto, perciò, il prosumer è colui che possiede un proprio impianto di produzione di energia, della quale consuma egli stesso una parte, immettendo la restante in rete e/o scambiandola con gli utenti più vicini.

Le comunità energetiche come forme più moderne di prosumption

Le forme più moderne di prosumption sono le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), vale a dire un insiemi di utenti che, tramite la volontaria adesione ad un contratto, collaborano con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso uno o più impianti locali. Con le dovute distinzioni, le CER sono dunque tutte accomunate da un medesimo fine: fornire energia rinnovabile a prezzi accessibili ai propri membri (energy sharing), puntando a raggiungere l’autoconsumo.

Nel nostro Paese, con la firma da parte del MASE del Decreto CACER e la conseguente pubblicazione delle regole operative del GSE, la strada per l’attivazione delle Comunità Energetiche appariva ormai spianata. Tuttavia, la lunga attesa normativa antecedente alla pubblicazione del decreto ha lasciato non poche difficoltà dietro di sé. Degli almeno 400 progetti di autoconsumo diffuso proposti in questi anni, infatti, ad oggi ne risultano in esercizio solo 154, tra CER vere e proprie e condomini di prosumers. Un numero che non riesce in alcun modo a tenere il confronto con l’esperienza di grandi Paesi europei come la Germania o i Paesi Bassi che, già nel 2021, contavano rispettivamente oltre 1.700 e 700 Comunità.

Un Rapporto di Legambiente in collaborazione con il GSE

Un recente rapporto redatto da Legambiente, in collaborazione con il GSE, informa che, in realtà, le prime esperienze di Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia sono cominciate ben prima delle più attuali discussioni merito, addirittura negli anni 2000. Si trattava di piccoli esperimenti senza alcun incentivo di sostegno, né un inquadramento normativo dedicato, che peraltro erano impossibilitati a vendere al mercato elettrico l’energia prodotta. Nel 2016, il pacchetto “Energia pulita per tutti gli europei”, proposto dalla Commissione UE, ha riconosciuto e rafforzato ufficialmente il ruolo centrale che i cittadini e le comunità possono svolgere nella transizione energetica. Ma soprattutto ha codificato nuove configurazioni con cui i cosiddetti energy citizens possono partecipare al mercato energetico. Il processo per trasformare il pacchetto in atti giuridici e introdurli nei vari ordinamenti nazionali degli Stati membri è stato lungo: in Italia si è concluso a dicembre 2021 con il recepimento della Direttiva RED II, da cui hanno preso il via i lavori sul citato Decreto CACER.

In questo lasso temporale, però, i governi che si sono succeduti non sono rimasti del tutto inerti. Nel 2020, per esempio, grazie al decreto Milleproroghe, l’Italia ha introdotto in via sperimentale alcune norme per l’attuazione dell’autoconsumo collettivo e delle Comunità Energetiche Rinnovabili, assegnando i primi incentivi all’energia condivisa “virtualmente”.

Allo stato attuale, la maggior parte delle esperienze di CER è concentrata nel Nord Italia, con Piemonte, Veneto e Trentino-Alto Adige che guidano la classifica con il più elevato numero di configurazioni attive. Stando alle stime del MASE, le nuove tariffe incentivanti dovrebbero sostenere almeno 210mila iniziative. Ma, in attesa che il decreto CACER esplichi del tutto i suoi effetti, anche molti territori si stanno muovendo in maniera autonoma a supporto delle Comunità. Secondo il report di Legambiente, infatti, sono 15 le amministrazioni locali (divise fra Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Trento, Veneto) ad aver sviluppato una legge regionale/provinciale dedicata.  A ciò si aggiungono otto Regioni con programmi di finanziamento pubblico, per più di 34 milioni di euro complessivi, e due programmi di finanziamento privati.

Criticità

Tuttavia, sussistono ancora alcune criticità, sulle quali occorre intervenire rapidamente. Fra queste, il mancato scorporo diretto in bolletta per la quota di energia condivisa, senza il quale gli utenti pagheranno comunque l’energia per intero per poi vedersi riconoscere sì le risorse economiche derivanti dall’energia immessa in rete e dall’incentivo per quella condivisa, ma con tariffe molto diverse tra loro. Allo stesso modo, andrebbero anche sciolti i nodi riguardo il limite della cabina primaria per i piccoli comuni, nonché chiarite le norme relative proprio ai quartieri e alle strade che ricadono nelle aree di pertinenza di più cabine primarie; così come sarebbe utile ipotizzare tariffe incentivanti diverse per tecnologie rinnovabili differenti (viste le variabili di costo) e previsti norme e incentivi anche per quelle realtà che vogliono condividere energia termica rinnovabile.

Resta il fatto che quello delle Comunità Energetiche Rinnovabili rimane uno dei campi di maggiore interesse nell’ambito delle sfide ambientali per il prossimo futuro, e lascia spazio alla valutazione di possibili modalità di coinvolgimento anche delle Organizzazioni Sindacali. A nostro giudizio, l’esperienza di semplici cittadini, piccole e medie imprese, enti territoriali e autorità locali, amministrazioni comunali, cooperative, enti di ricerca e religiosi, terzo settore e associazioni di protezione ambientale che si uniscono per affrontare insieme, in maniera efficace, lungimirante e rapida, i necessari cambiamenti imposti dalla Giusta Transizione è senz’altro lodevole e meritevole di supporto.

Dipartimento Ambiente UIL

 

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