CINA, USA, EUROPA: come sta cambiando l’economia mondiale

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02.11.2023

Bei tempi il 1970. Molti di noi erano giovanissimi, gli Stati Uniti vantavano un Prodotto interno lordo di oltre 1.000 miliardi di dollari e la Cina era molto lontana, appena 92 miliardi, neanche un decimo di Washington.

Poi, dopo il ’78 la corsa che nessuno avrebbe mai immaginato nel 2021 la Cina viaggia allegramente a oltre 17,7mila miliardi di dollari di Pil, ormai la seconda economia del mondo.

Perché parliamo di questo? Per due ragioni. La prima: prendere sempre con le pinze i dati della crescita del Pil di un paese solo a colpi di percentuale. Se vi dicono che Pechino cresce di “solo” il 3% prendete una calcolatrice e scoprite che parliamo di una crescita di quasi 532 miliardi, equivale a tutta la ricchezza del paese nel 1994. Oggi Pechino è cresciuta dal 1970 a oggi di oltre il 19.000%. E qui arriviamo al secondo punto. Forse bisogna iniziare a considerare l’economia cinese a modo suo ormai entrata in una prima fase di maturità e come tale da tempo ha organizzato le sue vie di “fuga”.

“Cancella il debito”

Esattamente come è stato per le economie degli Usa e dell’Europa a suo tempo. Tradotto: ricerca di manodopera a prezzi più accessibili, nuovi mercati di sbocco e utilizzo della leva finanziaria anche come arma di rapporti internazionali. Vi ricordate lo slogan di protesta contro le riunioni del G7 di un po’ di anni fa? Recitava “Drop the debt”, cioè “Cancella il debito”, perché chi criticava quell’approccio accusava i paesi in questione di “imperialismo” a danno di paesi più deboli che erano stati schiacciati dai debiti finanziari contratti con i paesi ricchi.

Ecco, la Cina è entrata nel circolo dei paesi “imperialisti” da tempo e, come sempre, ora si deve confrontare con altri paesi imperialisti. Con tutto quello che ne consegue in termini di politica interna (nazionalismi sempre più radicali) e in termini di politica internazionale (perché no? guerre).

Perché l’Europa rimane indietro

E noi Europei che, forse, non siamo in grado di sviluppare una nostra politica internazionale per curare i nostri interessi. Gli esempi si sprecano, come l’accordo IMEC firmato a margine del G20 a Nuova Delhi un mesetto fa.

L’India-Middle East-Europe Economic Corridor ha coinvolto Usa, Ue, Arabia Saudita, Emirati Arabi, si tratta di un progetto di rotte ferroviarie e marittime su due continenti per integrare in chiave occidentale Asia, Europa e area del Golfo. Insomma, l’alternativa occidentale alla BRI cinese è stata servita, anche se in ritardo di 10 anni rispetto al progetto monumentale cinese della Belt and Road Initiative, che a sua volta punta a creare una rete di infrastrutture specifiche su 3 continenti.

Nel frattempo, al progetto cinese hanno aderito oltre 150 paesi, moltissime organizzazioni mondiali, smuovendo una marea di liquidità (si parla di circa un miliardo di dollari) con obiettivo il 2043. L’Italia – unico paese del G7 ad avvicinarsi alla BRI – nel filone di una politica internazionale filo Usa, si sta sfilando.

Arabia ed Emirati, ormai piuttosto svincolati dagli Usa, stanno con i piedi in entrambi i due blocchi, dicono a chiare lettere che, dal loro punto di vista, i due progetti possono coesistere. Anche perché il progetto cinese sta segnando il passo, non tanto per la crescita rallentata del Pil, quanto perché sta cercando da molto tempo di arginare un eventuale disastro di una bolla immobiliare che ricorda da vicino quella che colpì il Giappone all’ingresso degli Anni 90, quando sembrava che Tokyo stesse per sorpassare gli Stati Uniti.

Una crisi da cui i Giapponesi di fatto non sono più usciti, la loro economia è da quasi 30 anni in una stagnazione che molti analisti fanno risalire anche alle manovre monetarie Usa. E allora veniamo al finale. La Cina sta facendo di tutto per evitare di rimanere impantanata in quel tipo di crisi e sta usando molte risorse, alcune arrivano addirittura dalla vendita massiccia di debito pubblico Usa che Pechino aveva comprato negli anni.

Politica economica e guerre

Dall’altra la politica a sua volta molto aggressiva dell’Occidente sta portando a tantissime tensioni anche militari. Per alcuni analisti la crisi Ucraina prima e quella in Palestina dopo non sono per niente casuali in questo contesto. Ma attenzione, anche qui un veloce calcolo: alla BRI cinese hanno aderito – dicevamo – 150 paesi. Sapete quante nazioni sono presenti alle Nazioni Unite? Poco più di 190, cioè circa l’80% ha firmato con la Cina l’accordo infrastrutturale.

Forse è tempo di prendere atto – in modo pacifico – dei cambiamenti in atto nell’economia mondiale e capire come gestirli. Utopia, forse, ma l’alternativa sta bussando alle nostre porte a colpi di cannone.

Francesco Leitner, Uil Milano e Lombardia

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