Quando gli attivisti attaccano l’arte: Una battaglia giusta dai metodi dubbi
07.11.2022
Van Gogh, Monet, Goya. Ma anche Boccioni, Vermeer e Constable: stiamo parlando di alcuni dei più illustri autori delle opere che sono state più recentemente al centro della cronaca per gli attacchi degli attivisti per il clima. Una giusta battaglia con metodi sbagliati, verrebbe da dire. Ma come sono andate realmente le cose?
Nessun danno alle opere (o quasi)
Prima di descrivere gli attacchi alle opere, che sono stati decine, è giusto soffermarsi su un punto fondamentale: tutti gli incidenti sono stati senza conseguenze. Ogni opera colpita, come di solito tutte quelle dal valore pressoché inestimabile, era protetta da vetri blindati che ovviamente hanno protetto le opere da qualsiasi danneggiamento. Gli unici danni registrati sono stati alle cornici (spesso gli attivisti si incollano a queste), che certo sono elementi di pregio ma sicuramente lontani dal livello delle opere che contengono. Appurato questo possiamo descrivere cosa è successo in questi mesi.
Gli attacchi
Anche se questo tipo di proteste non sono una novità, possiamo far risalire l’inizio di questa nuova ondata allo scorso 29 maggio, quando al Louvre di Parigi alcuni attivisti hanno lanciato una torta sulla Gioconda di Leonardo. A luglio entra in gioco Just Stop Oil, gruppo che agisce prevalentemente in Gran Bretagna: in breve tempo hanno infatti colpito la Courtauld Gallery di Londra, la Kelvingrove Art Gallery di Glasgow, la Manchester Art Gallery e la National Gallery a Londra, dove si sono incollati a “The Hay Wain” di John Constable. Ma “il bello” ha da venire. Sempre a luglio la protesta arriva in Italia, con degli attivisti che si incollano alla Primavera di Botticelli (tenuta agli Uffizi di Firenze) e alla scultura di Boccioni “Forme uniche della continuità nello spazio” (si, proprio quella sui 20 centesimi) al Museo del Novecento a Milano, si legano alla statua del Laocoonte ai Musei Vaticani a Roma e ad un corrimano nella Cappella degli Scrovegni a Padova. A ottobre vengono colpite le opere di Van Gogh, ha avuto molta risonanza mediatica l’attacco ai Girasoli alla National Gallery ma anche quello al Seminatore; di Monet, attaccato il Pagliaio conservato a Potsdam; di Vermeer, colpita “La ragazza con l’orecchino di perla” tenuta all’Aja, e infine di Goya, i cui celebri dipinti Maya desnuda e Maya vestida (conservate a Madrid al Museo del Prado) sono recenti vittime del movimento Futuro vegetal.
Le motivazioni
I giovani militanti di movimenti ambientalisti come Just Stop Oil e Extinction Rebellion da mesi girano musei, mostre, esibizioni temporanee tentando di imbrattare tele di inestimabile valore per attirare l’attenzione su un tema delicato come il cambiamento climatico (ieri è partita la Cop27). “L’arte vale più della vita? Più del cibo? Più della giustizia?” si domandano gli attivisti di Just Stop Oil. E ancora: “Quando miliardi di persone soffrono e rischiano la vita, a che serve l’arte? Quando prendi di mira l’arte forzi un cambiamento di prospettiva: cosa conta davvero per te? La risposta è spesso la più semplice: tutti noi vogliamo vivere, tutti vogliamo che i nostri figli vivano”. Una presa di posizione abbastanza chiara e, permettetemi, condivisibile. Sì perché l’azione degli attivisti alla fin fine non è altro che, appunto, un cambio di prospettiva sulla minaccia più importante per l’uomo e la sua vita sulla Terra: il cambiamento climatico. L’arte da sempre ha descritto e rappresentato, anche nella sua perpetua innovazione, l’evolversi e la vita dell’umanità. Citando un celebre film, l’arte “è la sola traccia del nostro passaggio sulla Terra”. Questi ragazzi ci urlano che è inutile difendere la nostra storia sulla Terra se è la Terra stessa – e quindi la nostra vita e il nostro futuro – ad essere in pericolo.
Le richieste sono importanti: stop all’uso di combustibili fossili, quali gas e carbone, e più in generale una maggiore attenzione verso le politiche ambientali. Al grido di “salviamo il Pianeta”, questa generazione di attivisti – non ambientalisti, a detta loro – sta sempre più attirando l’attenzione verso il problema. C’è da capire, al netto dei danni ridotti, se lo fanno nel modo corretto o meno, se la percezione delle loro azioni possa contribuire in modo positivo o negativo all’impegno per questa importante battaglia, se i detrattori del cambiamento climatico (e ahimè sono molti i negazionisti) non strumentalizzino queste azioni, che piuttosto sembrano convincere chi convinto è già.
“Il nostro non è vandalismo, ma il grido di allarme di cittadini disperati che non si rassegnano ad andare incontro alla distruzione del Pianeta e, con esso, della propria vita”.
Riccardo Imperiosi, Giovane Avanti
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