Assegno di inclusione: come funziona e perché diventiamo sempre più poveri

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17.06.2024

Come noto, l’Assegno di Inclusione (ADI) sostituisce il Reddito di Cittadinanza (RdC) segnando, di fatto, la fine di uno schema di reddito minimo universale, rendendo categoriale l’accesso al reddito minimo e riportandoci indietro di molti anni rispetto al resto d’Europa.

L’Assegno di Inclusione è riconosciuto dal 1° gennaio 2024 quale “misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata al possesso di requisiti di residenza, cittadinanza e soggiorno, alla prova dei mezzi sulla base dell’ISEE, alla situazione reddituale del beneficiario e del suo nucleo familiare e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa”.

Il Reddito di Cittadinanza, invece, era destinato a tutte le persone in stato di bisogno, seguendo il principio dell’universalismo selettivo: a chiunque si trovasse in difficoltà economiche, indipendentemente da fattori come età, presenza di disabili nel nucleo familiare o situazione lavorativa.

Il principio della categorialità

Il nuovo Assegno di Inclusione si basa su un principio di categorialità: questo determina che le prestazioni del Welfare State siano riservate a specifiche categorie di persone. Per accedervi, infatti, oltre a trovarsi in una situazione di bisogno (come la povertà), è necessario fare parte di una categoria considerata “meritevole” di tutela.

Le differenze principali tra le due misure riguardano, inoltre, il metodo di calcolo della scala di equivalenza per il reddito: un aspetto fondamentale che influisce sia sull’accesso, sia sull’importo del beneficio.

I requisiti di residenza sono stati modificati: per l’ADI è richiesto un periodo di residenza di 5 anni (erano 10 per RdC), di cui gli ultimi due continuativi, come previsto anche per il RdC.

L’Assegno di Inclusione è rivolto, quindi, esclusivamente ai nuclei familiari con componenti fragili o svantaggiati. I nuclei familiari che possono beneficiare di questa misura devono comprendere al loro interno una persona disabile, un minorenne, oppure una persona che abbia almeno 60 anni.

Per quanto riguarda i componenti svantaggiati, l’AdI, come indicato nel Decreto n. 160 del 29 dicembre 2023, si indirizza a coloro che si trovano in una “condizione di svantaggio e inseriti in un programma di cura e assistenza dei servizi sociosanitari territoriali certificato dalla pubblica amministrazione“: macro-categoria che contiene una molteplicità di gruppi presi in carico dal servizio sociale e sociosanitario territoriale.

Secondo i dati dell’INPS, a fine marzo beneficiavano dell’AdI 590.000 nuclei familiari. Per le persone in condizione di disagio economico tra i 18 e i 59 anni, il governo ha inoltre introdotto, da settembre 2023, il supporto per la formazione e il lavoro (SFL): un’indennità non rinnovabile, di durata circoscritta a dodici mesi e condizionata all’adesione a programmi formativi o a progetti utili per la collettività. Secondo i dati dell’INPS, a marzo erano state accolte poco più di 60.000 domande.

La povertà assoluta nel nostro Paese

Nel 2023, l’Italia ha raggiunto un preoccupante traguardo: quasi un decimo della popolazione vive in condizioni di povertà assoluta. Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’ISTAT, l’aumento dei prezzi degli ultimi tre anni ha drasticamente abbassato il tenore di vita, spingendo molte persone sotto la soglia di povertà.

La povertà assoluta è definita dall’ISTAT come una condizione in cui i redditi o i consumi sono inferiori a quanto necessario per vivere in modo dignitoso, valore calcolato annualmente, tenendo conto della regione, del tipo di comune e della composizione familiare. Nel 2023, 5,7 milioni di persone, distribuite in 2,2 milioni di famiglie, vivevano in questa situazione critica.

Rispetto all’anno precedente, la povertà è cresciuta leggermente ma ha, in ogni caso, raggiunto livelli mai visti prima. Le cause principali sono state la pandemia, la crisi economica conseguente e, più recentemente, la crisi energetica e l’aumento del costo della vita. Questi fattori hanno profondamente influenzato i consumi delle persone e la loro capacità di risparmio.

L’aumento della povertà tra i lavoratori

Un dato particolarmente allarmante, per la UIL, è l’aumento della povertà tra i lavoratori. Nel 2023, il 7,6% degli occupati era in condizione di povertà, dato in crescita rispetto al 5,3% del 2019. Questo fenomeno evidenzia una crescente inadeguatezza dei redditi da lavoro nel proteggere le persone dalla povertà. I lavoratori dipendenti, in particolare, sono stati i più colpiti dall’inflazione, con l’8,2% di essi che vive in povertà assoluta.

Le disparità regionali continuano a essere un problema, con il Sud e le isole che presentano un’incidenza della povertà superiore alla media nazionale. Tuttavia, tra il 2014 e il 2023, il divario tra Nord e Sud si è ridotto, principalmente a causa di un aumento più rapido della povertà nel Nord. Ad esempio, nel Nordovest, la percentuale di famiglie povere è quasi raddoppiata, mentre nel Nordest è più che raddoppiata.

Dal punto di vista dei consumi, la spesa media mensile delle famiglie è aumentata, ma questo non indica un miglioramento del benessere. L’aumento dei prezzi ha semplicemente obbligato le famiglie a spendere di più per gli stessi beni e servizi di prima. Questo fenomeno ha colpito più duramente le famiglie povere, la cui spesa è principalmente destinata ai beni essenziali come cibo, bollette e affitto. Tra il 2014 e il 2023, la spesa media equivalente delle famiglie povere si è ridotta dell’8,8%, mentre quella delle famiglie in generale è diminuita del 5,8%.

La capacità di risparmio delle famiglie italiane è scesa al 6,3%, valore più basso dal 1995. Questo rappresenta un ulteriore indicatore del deterioramento delle condizioni economiche, influenzato dall’aumento dei prezzi e dalla difficoltà di mantenere lo stesso tenore di vita.

Perché l’Italia si impoverisce

L’impoverimento dell’Italia è la conseguenza di una mancanza di strategia economica improntata allo sviluppo nell’equità dei diritti. Si è scelto di cercare la competitività nello sfruttamento al ribasso del capitale umano: da qui la precarizzazione del lavoro, gravi casi di sfruttamento lavorativo (specie degli stranieri irregolari, ma non solo).

I dati Istat, che vedono la povertà assoluta crescere e diventare strutturale nel nostro Paese, ci dicono che il Governo ha commesso un grave errore nel sottrarre risorse al contrasto della povertà.

Pensare di affrontare questo problema attraverso l’inclusione al lavoro è un obiettivo condivisibile sul piano teorico, ma sappiamo bene come questo processo risulti molto complicato nella pratica, considerato che gran parte delle persone che vivono in povertà assoluta sono difficilmente occupabili per deficit di scolarizzazione, di competenze e per l’età che spesso li vede ai margini del mondo produttivo.

In alcune aree del Paese mancano le opportunità e la macchina dei servizi pubblici per l’impiego deve essere potenziata.

Sulla povertà assoluta e il contrasto al lavoro povero l’Italia non può permettersi passi falsi, deve andare decisamente nella direzione di un rafforzamento delle risorse, di un rinnovamento delle politiche e di un efficientamento dei servizi essenziali, attraverso un piano straordinario di assunzioni nella Pubblica Amministrazione.

È fondamentale adottare misure efficaci per proteggere lavoratrici, lavoratori e famiglie più vulnerabili, garantendo reddito adeguato e condizioni di vita dignitose.

La lotta contro la povertà deve diventare una priorità nell’agenda politica per costruire un futuro più equo e sostenibile per tutti.

Servizio Politiche Sociali e Welfare, Sanità, Mezzogiorno, Immigrazione

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