“Adesso è tempo di tassare i milionari”. Quando a chiederlo sono anche i ricchi…
24.01.2023
La disuguaglianza è tra le principali questioni politiche del nostro tempo. Già alla fine degli anni Novanta, come scrisse James K. Galbraith, «gli indici utilizzati tradizionalmente per misurare la disparità di reddito negli Stati Uniti […] hanno raggiunto livelli mai visti dal 1929», l’anno del crollo di Wall Street, che portò al conseguente inizio della Grande Depressione.
Oggi la situazione in tema di disparità sociali è preoccupante. Anzi, insieme a un sistema economico che alimenta evidenti sperequazioni, si aggiungono le crisi economiche, la pandemia e la guerra, che altro non fanno che peggiorare le cose, rendendo più difficile, ma allo stesso tempo ineludibile, la sfida alle disuguaglianze. Anche perché difficilmente la libera iniziativa, la democrazia e lo stesso capitalismo potranno di fatto sopravvivere in un sistema sociale dove l’1% della popolazione mondiale detiene il 38% della ricchezza, mentre al 50% più povero rimangono le briciole del 2% delle risorse.
Forse non a caso anche fasce sociali appartenenti a quell’1% si sono rese conto della insostenibilità sociale della situazione attuale. Lo scorso 17 gennaio, infatti, in concomitanza con le riunioni virtuali del World Economic Forum di Davos, un gruppo che – come riporta Reuters – si fa chiamare “Milionari patriottici”, ha presentato una lettera, in cui afferma che gli ultra-ricchi non sono attualmente costretti a pagare la loro giusta quota per la ripresa economica globale del post pandemia. In sostanza, 102 super Paperon de’ Paperoni, tra cui figura anche Abigail Disney, erede del creatore di Topolino, chiedono ai capi di stato e di governo di essere tassati maggiormente.
«Mentre il mondo ha sofferto in questi due anni – affermano – molti di noi possono dire di aver visto aumentare la loro ricchezza durante il covid-19. Pochi di noi, forse nessuno, può invece dire onestamente di aver pagato il giusto di tasse».
Ovviamente, concordiamo con i desiderata espressi nella lettera-appello, senza neanche star qui a chiederci se i firmatari abbiamo mai letto Auguste Comte, il quale inventò la parola «altruismo», affermando, che la solidarietà è «naturale ed esiste tra tutti gli organismi viventi». Oppure, ma su questo manteniamo forti dubbi, abbiamo dato uno sguardo ad uno dei padri del pensiero libertario: quel Pierre-Joseph Proudhon, che descriveva la società come «un essere vivente caratterizzato dalla solidarietà morale intersoggettiva».
Davanti a questi buoni sentimenti, ci sentiamo solo di dire laicamente: a caval Donato non si guarda in bocca, perché la lettera fa il paio con quanto riportato dal rapporto Oxfam, secondo il quale per la prima volta in un quarto di secolo l’aumento della ricchezza estrema è stato accompagnato da un aumento della povertà estrema. Il che è di per sé molto preoccupante, oltre che ovviamente ingiusto.
Intanto, si può constatare che almeno i 102 super ricchi – chiedendo più tasse per la loro “categoria” – mostrano di mettere in soffitta la teoria economica del trikle-down: ovvero, dello sgocciolamento. Secondo tale teoria, crescita economica, lavoro-occupazione, e quindi benessere, ci saranno o possono essere migliorati con una forma di ridistribuzione rovesciata, dando ancora più mezzi (o denaro) a coloro che già gli possiedono e sono più fortunati. Quindi, con i capitali liberati i ricchi consumerebbero ancora di più, creando lavoro e reddito per tutti. Denaro che si moltiplicherà e che poi si riverserà – gocciolando – sui meno fortunati, salvandoli dall’indigenza e dalla povertà.
Continuiamo ad avere sotto i nostri occhi i risultati di questa teoria, con buona pace anche per quella classe media che non solo non ne ha tratto vantaggio, ma ha perso enorme capacità di potere di acquisto, vedendo aumentare le ineguaglianze e l’indigenza.
Questo fenomeno ha particolare rilevanza nelle società industriali occidentali, in cui il sistema capitalistico particolarmente “finanziarizzato” è, dalla crisi finanziaria del 2008, messo sotto accusa per essere eccessivamente speculativo, ricompensando più i “cercatori di rendite” che i “creatori di ricchezza”. «Permettendo – così come sottolineato dalla economista Mariana Mazzucato – che gli scambi speculativi di attività finanziarie fossero retribuiti più degli investimenti che portano a nuove attività reali e alla creazione di posti di lavoro».
Intendiamoci, nel mondo il progresso in questi ultimi due secoli di storia c’è stato. Basta solo far riferimento a pochi dati per rendersene conto. Nel 1820 la vita media si aggirava intorno ai 26 anni! Nel 2020 siamo a 72. Tutto il genere umano oggi vive in condizioni di salute molto migliori che in passato. Anzi, sarebbe meglio dire, mai godute prima d’ora.
La popolazione mondiale e il suo reddito medio sono aumentati di un fattore 10, rispetto al XVIII secolo. Nel 1700 sulla terra eravamo circa 600 milioni. Oggi siamo circa 7 miliardi. Per quanto riguarda il reddito (calcolato e attualizzato in euro), invece, siamo passati da 80 euro al mese per abitante nel 1700 a circa 1000 nel 2020.
Un progresso non certo lineare, che non di rado ha visto il mondo sprofondare negli abissi di guerre e atrocità inenarrabili. Ma il progresso, come giustamente sottolineato da Thomas Piketty in Capitale e ideologia, esiste ma è una battaglia.
Tra queste battaglie, oggi è imperativa quella delle disuguaglianze socioeconomiche, che si è manifestata in molte zone del mondo fin dagli anni ’80 e ’90 del Novecento in maniera piuttosto pervicace. Prendendo in considerazione India, USA, Russia, Cina ed Europa, bastino come esempio i seguenti dati: nel 1980 la quota parte del reddito nazionale percepita dal decile economicamente più alto della società era del 25-35%. Nel 2018 negli stessi paesi presi in considerazione, questa quota era aumentata, fino a raggiungere il 35-55%. L’aumento delle disuguaglianze è inoltre avvenuto in particolare a spese del 50% più povero.
In Occidente, questa situazione in cui la giustizia sociale non è assorbita dalla giustizia di mercato ha alimentato la paura di rimanere esclusi. Paura e sfiducia hanno portato a chiusura identitarie. Oppure questi sentimenti sono stati artatamente utilizzati per sobillare estremismi destabilizzanti delle nostre democrazie, che soffrono degli effetti disgreganti della coesione sociale.
La rivoluzione tecnologica e l’unificazione capitalistica del mondo hanno eroso le basi sociali e culturali di quel “compromesso socialdemocratico”, che aveva caratterizzato tutta la società occidentale. Gli Stati sociali del secondo Novecento avevano valorizzato il lavoro all’interno del capitale, creando quel compromesso empirico fra individualità, libertà ed eguaglianza.
Oggi tutto è cambiato, e la sfida che ci attende travalica da tempo i confini nazionali di quella che era la terra di elezione dell’embedded liberalism. Ma non ci si può sottrarre e né tantomeno rifugiarsi in inutili chiusure.
Raffaele Tedesco
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