56° Rapporto CENSIS: Dati, appunti e riflessioni sul nostro Paese

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31.01.2023

Alcune osservazioni UIL sul rapporto Censis 2022

Condivisibile la scelta di focalizzare il Rapporto non solo sull’ultimo anno, ma sul triennio, le cui emergenze sono ancora tutte in campo: pandemia, guerra, inflazione, energia (approvvigionamento e costo). Non solo le quattro emergenze non sono passate, ma sembrano segnare una cesura radicale tra prima e dopo il loro manifestarsi. Stiamo entrando in una nuova epoca, vissuta da molti come un’età dei rischi. Queste quattro nuove emergenze impattano su una società già segnata da vulnerabilità economiche e sociali strutturali. Il debito galoppa. I redditi in Italia sono fermi da trent’anni. Il PIL ha reagito alla caduta verticale del 2020, ma ora sembra tornare a stagnare.

L’Italia è ferma e le misure adottate nella Legge di Bilancio non aiutano la crescita e il lavoro e non contrastano con efficacia l’emergenza del caro energia e dell’inflazione. Di conseguenza, non riequilibrano le troppe ingiustizie e iniquità che affliggono la nostra società.

Gli italiani sono preoccupati perché dopo due anni complicati vedono davanti a loro mesi molto difficili.

L’impennata dei prezzi dell’energia con conseguenze su molti ambiti di produzione e lavoro sta comportando una perdita del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati. Se l’indice dei prezzi al consumo è aumentato nel primo semestre del 2022 del 6,7% rispetto allo stesso periodo del 2021, i salari da lavoro dipendente a tempo pieno sono aumentati solo dello 0,7%. Per le famiglie meno abbienti l’incremento medio dei prezzi è pari, addirittura, al 9,8%. Aumentano, in questo modo, le disuguaglianze tra le famiglie e quelle con più difficoltà continuano a rimanere indietro, sole a confrontarsi con le difficoltà di questi tempi bui e senza adeguate protezioni sociali.

L’85% degli italiani guardando al futuro vede all’orizzonte solo una grande nebbia di incertezza.

Una coltre che offusca ogni forma di ottimismo e consegna una prospettiva allarmante in cui sono messi sempre più a dura prova i diritti costituzionalmente garantiti, con la paura delle persone di scivolare nella condizione di non autosufficienza.

Povertà. Sono 7,5 milioni le persone a rischio impellente di varcare la soglia della deprivazione materiale. Nel 2021 le persone a rischio povertà erano il 25,4% della popolazione, dei quali il 41,2% al Sud.

Disuguaglianze. Le disparità e gli eccessi più insopportabili per gli italiani in questo periodo sono rappresentate dal gap eccessivo delle retribuzioni tra dipendenti e manager. A un operaio occorrono 34 anni e a un impiegato 25 anni per eguagliare il compenso annuo percepito da un amministratore delegato di un’azienda quotata in Borsa.

Working poor. Con la crisi economica durissima in corso va tenuto conto che nel settore privato oltre 4 milioni di lavoratori non raggiungono una retribuzione annua di 12.000 euro. Il lavoro dipendente non protegge più dai rischi, basti pensare che in povertà relativa si trova circa il 10% degli occupati.

Per porzioni crescenti di italiani l’intreccio lineare “lavoro-benessere economico-democrazia” non funziona più.

Welfare. Al vertice della graduatoria delle insicurezze ci sono le preoccupazioni per la vecchiaia, alimentate dalla consapevolezza che le posizioni previdenziali del futuro non saranno paragonabili a quelle del passato.

I pensionati, usati sempre come bancomat, sono tra quelli più esposti all’erosione del potere d’acquisto. Al Sud le pensioni medie sono di circa il 20% inferiori a quelle del Nord e per quanto riguarda le donne scendono di circa il 28% rispetto a quelle degli uomini.

Alle criticità economiche e sociali, si aggiunge lo tsunami demografico, che impatterà violentemente su scuola e università, con la caduta del numero di studenti: 390mila in meno tra vent’anni nella migliore delle ipotesi. Analogamente, il futuro della sanità rischia di essere segnato dal crollo del numero di medici e infermieri.

I giovani. Sono sempre di meno, con un tasso di occupazione decisamente inferiore rispetto gli altri paesi europei e un reddito molto più basso, anche a causa dei lunghi percorsi di precariato che devono affrontare. I laureati sono sotto la media europea, i NEET, sopra. L’83% delle nuove assunzioni sono tra il precario e l’atipico.

Non ci sono solo negatività, ma anche processi in svolgimento aperti ad esiti interessanti. Trasformazioni del significato dato al lavoro sono in corso. L’87% degli occupati dichiara di dedicare troppo tempo al lavoro e di avere maturato l’intenzione di ridimensionarlo a beneficio di altri ambiti legati alla conciliazione con la sfera personale, di hobby e relazionale.

Il 45,5% dei Millennial dopo la pandemia desidera trascorrere più tempo possibile a casa, il 47,9% ha sviluppato una sorta di agorafobia, il 46,9% si sente fragile e il 31,8% si sente solo.

Su sostenibilità e stili di vita sani, gli italiani sono pronti, e questo è un segnale che dobbiamo saper valorizzare nelle sfide della transizione.

Il manifatturiero esportatore va benissimo, il mercato interno sembra finalmente risvegliarsi. Di contro, il costo dell’energia sta mettendo a rischio chiusura più dell’8% delle imprese. Tra il 2018 e il 2020, 594 imprese con più di 50 addetti hanno avviato iniziative di delocalizzazione delle attività e/o degli investimenti. Sarebbero necessarie risposte fiscali, programmatorie, di investimento, contrattuali dinamiche e veloci.

Le società top del web in un anno hanno realizzato ricavi per 4,6 miliardi di euro pagando tasse per soli 223 milioni di euro.

Contrattazione. Più della metà dei lavoratori dipendenti in Italia, quasi sette milioni, è attualmente in attesa del rinnovo contrattuale. È uno stato di attesa prolungata che mediamente dura 3 anni, incompatibile con un’inflazione sostenuta.

La Pubblica Amministrazione è decisiva per non perdere l’occasione irripetibile del PNRR, ma il recupero di capacità amministrativa da tempo evocato, con la semplificazione burocratica e assunzioni di giovani opportunamente formati, è ancora di là da venire. Intanto, oggi l’età media dei dipendenti pubblici è di 50 anni, ossia 6,5 in più di 20 anni fa.

Il Rapporto ritiene che gli anni del populismo siano alle nostre spalle e parla di post-populismo. In realtà, il populismo è stato la risposta sbagliata al problema reale dell’impoverimento nei paesi occidentali della classe media. Il problema non è affatto risolto, e pertanto probabilmente nemmeno il populismo è tramontato, ma potrà assumere forme diverse.

La fotografia dell’Istituto sui contenuti del Rapporto dà ulteriore coerenza alla scelta della UIL di intraprendere iniziative di mobilitazione per aumentare la consapevolezza e l’attenzione sulle mancate risposte a problemi urgenti che condizionano la vita reale delle persone. Particolarmente indovinata la formula proposta dal Rapporto della latenza di risposta: tra la segnalazione delle criticità e le risposte, nella migliore delle ipotesi i tempi sono dilatati, ma spesso le risposte non arrivano proprio, come ben sappiamo, o vanno in direzione opposta a quanto richiesto. La piattaforma sindacale raccoglie apprezzamenti dai partiti quando sono all’opposizione, mentre non trova risposte adeguate dai Governi.

L’assenza al momento di fiammate conflittuali è probabilmente dovuta alla mancanza di credibili prospettive di miglioramento. Il raddoppio del numero dei non votanti va in questa stessa direzione. Il Rapporto Censis parla di ritrazione silenziosa dei cittadini perduti della Repubblica. Non c’è dubbio che compito del sindacato è dare una nuova speranza a queste persone che l’hanno perduta, contribuire a ripristinare un intreccio lavoro[1]benessere-democrazia, mettere fine allo stato di latenza di risposta. La mobilitazione in cui la UIL è impegnata ha questo senso.

Concetti e dati nelle presentazioni di Massimiliano Valerii (Direttore Generale Censis) e Giorgio De Rita (Segretario Generale Censis). A cura dell’Istituto Studi Sindacali UIL «Italo Viglianesi»: Scarica le Slide.

 

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