Vita e destino: un libro fin troppo attuale

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17.03.2022

Vita e Destino, di Vasilij Grossman. Libro grande e tremendo. Parla della Seconda Guerra Mondiale, e in particolare dello scontro tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica stalinista (Grossman fu corrispondente dell’esercito sovietico durante la battaglia di Stalingrado). Il suo romanzo, scritto in Russia nel 1959, fu bandito nell’URSS: salva per miracolo una copia, verrà pubblicato solo nel 1980, in Svizzera.

Vi sono nel libro momenti su cui non si può dire niente di più: una madre alla tomba del figlio; la camera a gas. Andateveli a leggere da soli, non li dimenticherete più. Nonostante la pesantezza delle tragedie narrate, la scrittura è magnifica. Parla della storia che improvvisamente investe le persone e le travolge. “Ieri eri ancora sicuro, allegro, forte, figlio del tempo. Oggi un altro tempo è arrivato, ma tu non lo sai ancora. (…). L’uomo c’è ancora, il suo tempo è svanito.” Il totalitarismo è colto non con pedanti classificazioni, ma con fulminanti annotazioni: “Il nazismo aveva respinto il concetto di individuo singolo, il concetto di persona, e agiva per insiemi enormi.”

Nella sua ascesa, il nazismo mostrò dapprima il volto populista: “Il nazionalsocialismo non si presentava nei lager con il monocolo e l’aria del ricco possidente che con il popolo non ha niente da spartire. Il nazionalsocialismo (…) non si isolava dalla gente comune, le sue battute erano quelle di tutti e tutti ne ridevano: era plebeo e come tale si comportava, conosceva perfettamente la lingua, l’anima e i pensieri di coloro ai quali aveva tolto la libertà.” La semina di odio non è mai senza conseguenze: “Una volta apparso, l’odio non può non trovare uno sfogo.” Dopo le distruzioni di negozi ebraici, le stelle gialle, le espulsioni, le persecuzioni, le deportazioni, arrivò la soluzione finale. Grossman immagina la lettera di un’anziana ebrea in un campo di sterminio al figlio, che mai la riceverà. Tra le ultime annotazioni della donna, questa: “Mi ha commosso il cagnetto Tobik, un bastardino, che l’ultima sera mi ha scodinzolato più del solito. Se mai capitassi da queste parti, dagli qualcosa da mangiare per l’affetto dimostrato a una vecchia giudea.”

Non abbastanza abbiamo coltivato la memoria delle tragedie del Novecento e tratto insegnamenti da esse. “La prima metà del XX secolo sarà ricordata come l’epoca delle grandi scoperte scientifiche, delle grandi rivoluzioni, di mutamenti sociali grandiosi e di due guerre mondiali. Ma la prima metà del XX secolo passerà alla storia dell’umanità anche come l’epoca dello sterminio capillare di enormi strati della popolazione europea in nome di teorie sociali e di razza.” Grossman offre un antidoto: “Non ci credo, io, nel bene. Io credo nella bontà.” La ritengo una frase potente: si tratta di curarsi degli uomini con la “u” minuscola, quelli concreti, in carne ed ossa, e di non sostituirli con progetti “ortopedici” per far nascere un “Uomo” con la “U” maiuscola conforme a una visione totalitaria, quale che sia. Non solo quello della Germania nazista, ma anche quello dell’Unione Sovietica stalinista.

Grossman racconta di un professore che “aveva scritto un articolo intitolato Lo stato in Lenin e Stalin e l’aveva fatto leggere ai suoi studenti. Al terzo o quarto lettore era arrivata la denuncia.” E di “un correttore di bozze (…) che si era fatto sette anni per non aver visto un refuso in un editoriale: il proto aveva invertito due lettere nel cognome del compagno Stalin.” La pretesa di possedere le chiavi del bene va sempre respinta. “La storia degli uomini non è (…) la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male. La storia dell’uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell’umanità.” Come capitò anche al compagno Krymov: “A lui (…) non era mai capitato niente. E invece… Invece adesso era in galera. Era incredibile, assurdo, folle, ma vero. Quando arrestavano i menscevichi, i socialisti rivoluzionari, le guardie bianche, i pope, i capi dei kulaki, Krymov non aveva mai sprecato un solo minuto a domandarsi cosa provassero quanti avevano perduto la libertà e attendevano una condanna. Non aveva mai pensato alle loro mogli, alle madri, ai figli. (…) Per la prima volta in vita sua Krymov si rese conto di quali efferatezze si compissero alla Lubjanka. Perché adesso sotto tortura c’era un bolscevico e un leninista, il compagno Krymov.”

Vasilij Grossman era un ebreo ucraino. Amaramente consapevole del contesto difficile in cui viveva. Come scrive in Vita e Destino, “in un millennio la Russia ha avuto poco più di sei mesi di libertà”. Testimone, nella sua attività di corrispondente dal fronte,  dell’orrore e della “follia della guerra (…) di lì a un’ora quel che resta di una fatica immane è qualche blindato riarso e fumante con le armi ritorte e i cingoli divelti”. Il suo libro più importante, Vita e Destino, che tanto fortunosamente è scampato alla distruzione, è uno dei più grandi del secolo. Insieme con Il Maestro e Margherita, di Michail Bulgakov: anche lì c’è un manoscritto che sembrava essere andato perduto, e che invece è salvo. Perché i manoscritti non bruciano mai.

Di Roberto Campo.

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