Veronese: “Crescono i tempi indeterminati, ma c’è ancora molto da fare”

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31.01.2023

Il 2022 sembra sia stato un anno importante per i contratti a tempo indeterminato, un anno di crescita. È sicuramente confortante quello che emerge dagli indicatori Istat di dicembre sul mercato del lavoro e dalla nota congiunta Ministero del Lavoro-Anpal-Banca d’Italia di due giorni fa in cui si cita il 2022 come l’anno in cui si è rafforzata la crescita dei contratti a tempo indeterminato. Forse è merito degli incentivi in campo, forse anche di una crescente consapevolezza da parte delle aziende che per una ripartenza che guardi lontano, dopo anni di insicurezza ed incertezza, c’è bisogno di stabilità che passa innanzitutto per rapporti di lavoro che durino nel tempo, che fidelizzino le parti, che diano sicurezza all’azienda e, al contempo, alla lavoratrice e al lavoratore.

Ma il passo è ancora lungo, perché la precarietà lavorativa e gli abusi nell’utilizzo di alcune tipologie di ingresso nel mercato del lavoro sono ancora molto alti. Siamo assolutamente consapevoli che precarietà e flessibilità sono due sostantivi dal diverso significato e che le aziende hanno bisogno anche di una fisiologica flessibilità lavorativa, ma quest’ultima deve passare per la contrattazione e non per forme atipiche di lavoro come i PrestO, indice di precarietà, o per contratti a termine che si rinnovano all’infinito. Ripartiamo da un mercato del lavoro serio dove a fare la differenza è la correttezza nell’applicazione dei contratti di lavoro e dei Contratti Collettivi con la “C” maiuscola.

C’è poi bisogno di lavorare molto su altre tre questioni fondamentali per la crescita dell’occupazione: il Mezzogiorno, le donne e i giovani. Occorre creare le condizioni, che non sono solo gli incentivi alle assunzioni, per rimettere in moto l’occupazione nell’area del Paese con la crescita più lenta, dove il tasso di disoccupazione è quasi il doppio di quello nazionale (14% a fronte del 7,8%) e quello di lunga durata per oltre 12 mesi è del 9,1% (a fronte del dato nazionale del 4,4%). Occorre fare di più per le donne che hanno un tasso di occupazione di 18,3 punti più basso dei colleghi uomini, per tutte quelle donne che devono rinunciare a un lavoro per motivi di assistenza familiare (il tasso di inattività femminile è del 43,4%, a fronte del 25,2% maschile). Ed infine, ma non da ultimo, i giovani. Sono il futuro. Diamogli gli strumenti necessari per crearselo a cominciare da un lavoro stabile e sicuro.

Roma, 31 gennaio 2023

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