Un mondo di liberi ed eguali
10.12.2022
Quella dei diritti umani è una storia tormentata, tortuosa, sviluppatasi fra contrasti, confutazioni e limitazioni. Comincia con l’idea di libertà, affermandosi con quella di eguaglianza e le cui radici sono risalenti nel tempo; dalla sua prima apparizione nel pensiero politico del Seicento e del Settecento, con in mente una meta ben precisa: una società di liberi ed eguali.
Man mano, in un percorso niente affatto lineare, aspirazioni ideali secolari, principi e valori morali si sono trasformati prima in obbiettivi politici e poi in diritto soggettivo e istituzioni giuridiche. Le quali, non di rado, hanno scontato – e scontano ancor oggi – contrasti fra l’altezza dell’ideale e la realizzazione reale.
Marcello Flores ha definito i diritti umani come «diritti storici», non solo perché “si sono evoluti in contesti definiti, sono stati caratterizzati da lotte di grande portata per la libertà e l’uguaglianza, che si sono riproposte nel tempo in maniera diversa e articolata; ma perché la stessa idea religiosa o naturale, politica o positiva in cui si è voluto trovare la loro radice e legittimità si è trasformata nel tempo, ha conosciuto declinazioni differenti, è stata influenzata da eventi storici e coevi e ha contribuito a influenzare quelli successivi”.
L’idea dei diritti umani – che è stata spesso una battaglia portata avanti dal basso, la quale ha necessitato spesso dell’intervento di qualche potere per arrivare al consolidamento dei risultati conseguiti – comincia ad affermarsi con il giusnaturalismo, secondo il quale gli uomini erano naturalmente tutti uguali. John Locke asseriva che il potere legittimo è quello che garantisce il rispetto dei diritti dell’uomo; diritti che l’individuo ha per sua natura: alla vita, alla libertà, alla proprietà privata.
Sarà con l’Illuminismo – periodo di affermazione dello Stato-nazione, il quale giocherà un ruolo fondamentale nella codifica dei diritti che si vengono affermando – che si faranno ulteriori e decisivi passi avanti, e i diritti umani assumeranno il carattere dell’universalità. Alla fine del Settecento, infatti, vedranno la luce sia la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America (il 4 luglio del 1776) e, qualche anno, dopo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’Assemblea nazionale francese il 26 agosto del 1789. Sempre in questo periodo appaiono le prime rivendicazioni dei diritti delle donne con Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft. Battaglia, questa, ripresa poi con forza da John Stuart Mill nell’800.
Un ulteriore sviluppo si avrà anche grazie alle lotte del movimento operaio, le quali contribuiranno all’emersione e affermazione dei diritti sociali, la cui cristallizzazione si avrà nella Costituzione di Weimar del 1919.
Saranno gli orrori della Seconda guerra mondiale a far percepire la necessità una ulteriore rivoluzione dei diritti umani. Una rivoluzione che Antonio Cassese ha definito “silenziosa” e basata sull’idea che tutti gli esseri umani hanno prerogative inviolabili ed universali, la cui tutela deve essere garantita a prescindere dal contesto in cui ci si trova e dalle differenze di sesso, religione, provenienza, colore della pelle.
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di cui oggi cade la ricorrenza della stipula avvenuta il 10 dicembre del 1948 a Parigi con la risoluzione n. 219077 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, sarà il frutto di questo nuovo sentire, secondo il quale, così come scritto in apertura del documento, «tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti». Norberto Bobbio scrisse che da quel momento i diritti naturali “tendono ad essere protetti non più soltanto nell’ambito dello Stato, ma anche contro lo Stato stesso […] l’individuo da soggetto di una comunità statale tende a diventare soggetto anche di una comunità internazionale, potenzialmente universale”.
Nella stesura della Dichiarazione, ebbe un ruolo importante Eleanor Roosevelt, che la definì come “la Magna Carta dell’Umanità”. E pur se questa non aveva efficacia vincolante, non riuscendo quindi nel suo intento di divenire l’embrione di una costituzione universale, di certo segna per sempre l’affermazione di principi tendenzialmente universali. Non a caso, l’ondata di democratizzazioni di fine Novecento ha visto l’approvazione di costituzioni in cui spicca la presenza di un catalogo di diritti fondamentali che ricalca grandemente quello della Dichiarazione universale del 1948. Persino un paese di grande tradizione democratica come la Gran Bretagna, nel 1998, ha emanato l’Human Rights Act, una legge che rafforza ancor di più alcuni diritti e libertà fondamentali, tra cui diritto alla vita, libertà d’opinione e d’espressione, il diritto alla privacy e al giusto processo.
Anche in Europa, poco dopo la sua approvazione, la Dichiarazione universale dei diritti umani ha avuto un seguito concreto. È del 5 maggio del 1949, infatti, l’istituzione del Consiglio d’Europa, con sede a Strasburgo, che ha lo scopo di tutelare i diritti dell’uomo e la democrazia pluralista. Sotto egida dello stesso Consiglio d’Europa venne firmata a Roma, il 4 novembre del 1950, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà del cittadino (CEDU). Gli Stati firmatari, inoltre, si sottopongo anche alla giurisdizione di un tribunale, la Corte europea dei diritti dell’uomo, a cui può far ricorso il singolo individuo che si sente leso nei suoi diritti in base a quanto statuito nella CEDU. È del 2000 invece, la stipula da parte dell’UE della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a cui il Trattato di Lisbona attribuirà lo stesso valore vincolante dei Trattati.
Il processo di giustizia può dipanarsi sia nella direzione della diversificazione del diverso, che nella unificazione dell’identico. Ma è sempre in divenire, soprattutto e maggiormente in tempi di globalizzazione. Perché la cultura dei diritti non è formata solo da norme, ma è il risultato anche di nuovi standard accolti sempre più diffusamente da chi viene a contatto con nuove idee, da cui nascono altrettante nuove istanze. La continua interrelazione tra stati e mercati, porta anche a un incontro di popoli e persone. È per questo che i diritti si evolvono dove già è radicata la loro cultura (parliamo oggi di diritti di «terza» e «quarta» generazione, quelli relativi ai diritti culturali, allo sviluppo, all’ambiente, alla pace, alle biotecnologie, alla privacy, a quelli per le generazioni che verranno); ma essi penetrano anche dove prima erano carenti o inesistenti, in un processo dove, ovviamente, la lotta per la democrazia assume un ruolo fondamentale. Senza democrazia non c’è diritto; e pur se ci si dota, come fece anche l’URSS, di costituzioni fondate su diritti analoghi alle democrazie avanzate, non è detto che queste vengano rispettate. Come non è detto neanche che un processo di democratizzazione e di progresso dei diritti sia irreversibile dove la liberal-democrazia è radicata. Nulla è scontato, ed è il motivo per cui la democrazia va preservata sempre come un valore.
Insieme alla continua ricerca di strumenti internazionali che possano sia prevenire che proteggere l’essere umano sempre e in ogni luogo egli si trovi, rimane la consapevolezza di un percorso ancora lungo da fare. Ma la Dichiarazione universale dei diritti umani rappresenta la massima consapevolezza che fino ad oggi si è raggiunta, almeno in sede giuridico-politica, della “sostanziale unità del genere umano”. Non un punto d’arrivo, certo, ma uno snodo fondamentale da cui proseguire.
Raffaele Tedesco
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