Tolleranza: la virtù della moderna democrazia pluralistica
16.11.2023
La Giornata internazionale della tolleranza è stata istituita nel 1995 dall’UNESCO per ricordare i principi e gli ideali espressi nella Dichiarazione Universale dei diritti umani approvata nel 1948. Questa ricorrenza ha il compito principale di tenere aperta la riflessione su un’idea che continua ad essere oggetto di confronto e dibattito e che costituisce uno degli sfondi più significativi dello sviluppo della modernità.
In tempi di forti migrazioni e di rinascita dei fondamentalismi anche in Occidente, la questione pare aver riacquistato nuova centralità come il possibile “antidoto laico” al confronto tra culture anche molto diverse tra loro.
Quando parliamo di tolleranza, infatti, non possiamo fare a meno di riflettere su questioni come il riconoscimento dell’altro, l’ascolto attivo e lo scambio, che presuppongono il confronto di idee.
I mutamenti del concetto di tolleranza
Prima di arrivare alle codificazioni più moderne del concetto di tolleranza è utile ricordare come questo abbia subito radicali mutamenti, passando dall’espressione della rivendicazione solo di una libertà religiosa, a principio istituzionale di regolazione della convivenza politica. Fino ad arrivare a permeare il problema della convivenza con minoranze etniche, linguistiche, razziali o alle discriminazioni dovute all’orientamento sessuale.
Secondo la lezione di Norberto Bobbio, nel caso di intolleranza di carattere religioso, questa sarebbe mossa dalla convinzione di qualcuno di possedere la verità. Nel caso, invece, di una intolleranza verso “minoranze”, saremmo di fronte a un pregiudizio: ovvero, «opinioni o insieme di opinioni, che vengono accolte acriticamente e passivamente dalla tradizione, dal costume oppure da una autorità i cui dettami si accettano senza discuterli».
Uscendo da un ambito esclusivamente “religioso”, il principio della tolleranza diventa preparatore – e anticipatore – di quello della libertà politica, tanto da costituire componente essenziale del pensiero liberale: “la virtù della moderna democrazia pluralistica”.
Hannah Arendt affermava che la tolleranza è la capacità di pensare, anche per un momento, che l’interlocutore con cui si discute possa aver ragione, con la legittimità del soggetto di mantenere un atteggiamento di rifiuto, senza travalicare nel rigetto.
Se è condivisibile l’assunto di Kelsen, per cui «la causa della democrazia risulta disperata se si parte dall’idea che sia possibile la conoscenza assoluta», è parimenti vero che per far funzionare correttamente la società democratica è importante che alcuni valori penetrino nel tessuto sociale e vengano vissuti dai cittadini in maniera granitica.
Hans Kelsen, Karl Popper e John Rawls e il problema della tolleranza degli intolleranti
Nelle riflessioni intorno al concetto di tolleranza, quindi, una delle domande che ci si è posti con più insistenza è quella che si chiede: «come sono teoricamente e praticamente compatibili due verità contrapposte?».
La crescente mescolanza di culture, costumi, religioni e civiltà deve sicuramente indurci a fare il massimo sforzo per mettere in discussione noi stessi e i nostri valori. Allo stesso tempo, però, dobbiamo stabilirne alcuni fondanti il nostro vivere comune: ad esempio l’uguaglianza dei diritti e la pari dignità di ogni persona indipendentemente dalla sua identità politica, etnica, religiosa, sessuale.
Senza questa consapevolezza, il relativismo – elemento importante per la democrazia – degraderebbe a indifferenza e arbitrio e il cammino dello sviluppo sociale – di per sé senza fine – procederebbe senza punti fermi ed ognuno si costituirebbe la “sua verità”, chiudendosi in “identità blindate”.
La democrazia, in questo, svolge un ruolo fondamentale e insostituibile, perché il nostro sistema è quello dove la libertà di espressione e di parola trova il suo massimo riconoscimento.
Quella liberaldemocratica è una società aperta; il suo presupposto è che nessuno detiene il monopolio della verità. Qui trova tutela il dissenso e si stempera la “tirannia della maggioranza”, nel rispetto delle minoranze.
Quindi, se la tolleranza è il portato della libertà di pensiero, valore costitutivo della nostra società in quanto virtù sociale, è lecito chiedersi come ci si debba comportare con gli intolleranti. Questi, se eccessivamente tollerati, potrebbero portare (e qui sta il “paradosso”) alla scomparsa della tolleranza stessa, mettendo in crisi così la democrazia.
Sul tema si sono cimentati filosofi e giuristi, ognuno con sensibilità e accenti diversi.
Hans Kelsen affermava che è diritto di ogni governo democratico eliminare ogni tentativo di sovvertire con la forza lo status quo democratico, con l’accortezza di tracciare sempre un confine tra l’espressione di un’idea e la preparazione all’uso della sovversione.
Anche Karl Popper metteva in guardia dall’eccesso di tolleranza, che generando intolleranza, romperebbe irrimediabilmente l’equilibrio sociale democratico. Se le filosofie intolleranti – affermava il filosofo viennese – si pongono solo sul piano delle argomentazioni razionali, queste possono essere tollerate. In caso contrario c’è il diritto per la democrazia di reagire.
Secondo John Rawls, filosofo americano progressista, divenuto famoso per la sua opera intitolata Una teoria della giustizia, si possono arrivare a tollerare anche partiti politici che vorrebbero sopprimere la libertà di cui anche loro si giovano. Questo, però, sempre all’interno del limite del «diritto di tenere a freno gli intolleranti nel caso in cui non vi sia un immediato pericolo per le eguali libertà degli altri».
La rassegna potrebbe continuare, ma il tema rimane, oggi più che mai, di estrema attualità.
Il rapporto dialettico che si instaura fra consenso e dissenso è l’elemento propulsore della crescita di società civili complesse come le nostre: è l’antitesi – sosteneva Bobbio – «di ogni forma di dispotismo». Ma è fondamentale trovare di volta in volta un equilibrio tra la sfera dell’unità e sfera della pluralità. Perché la società aperta è un valore irrinunciabile e va preservato.
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