L’embrione della confederalità: il Segretariato Generale della Resistenza del 1902

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03.02.2024

La classe operaia italiana si affacciava al secolo ‘900 in condizioni di maggiore libertà di organizzazione e di sciopero, dopo aver dovuto confrontarsi con prove di inusitata durezza per far valere i suoi diritti.

Il “Quarto Stato” aveva iniziato a marciare, dopo le persecuzioni crispine, che lo aveva perseguito brutalmente, fino allo scioglimento del Partito socialista nell’ottobre del 1894, passando poi per i cannoni di Bava Beccaris, che a Milano, l’8 maggio 1898, fecero una strage di chi chiedeva solo pane, e aver subito le leggi liberticide emanate dal Pelloux, che limitavano non solo il diritto di sciopero ma anche quello di stampa e di associazione.

Ma per la classe dirigente socialista era complicato gestire la crescita impetuosa delle rivendicazioni operaie, che spesso sfociavano in proteste e scioperi mal coordinati e quindi non di rado fallimentari. Non mancavano anche le tipiche difficoltà organizzative di un movimento comunque giovane, a cui si aggiungevano quelle di marca schiettamente politica, perché il partito di riferimento della classe operaia, il PSI, era diviso e lacerato da uno scontro interno tra la corrente riformista e quella rivoluzionaria.

Soprattutto per i riformisti, era fondamentale agire con maggiore ponderazione, al fine di evitare la reazione violenta dei padroni e delle istituzioni.

L’età giolittiana aveva aperto spazi importanti di manovra per il socialismo italiano e bisognava sfruttali per l’elevazione delle masse, senza fughe in avanti di carattere rivoluzionario. La parola d’ordine era “organizzazione” e – come affermò Rinaldo Rigola  – senza cadere nelle lusinghe della “politica del cataclisma e della insurrezione”, tipica dei massimalisti.

Quando nel 1902 i riformisti guidati da Filippo Turati conquistano la maggioranza nel Partito socialista, si posero subito il problema di creare una struttura in grado di coordinare l’azione sindacale. Una struttura centrale capace di coordinare e guidare gli organismi di resistenza, ma con l’idea – secondo il disegno politico dei riformisti – di valorizzare maggiormente l’azione delle Federazioni rispetto a quella delle Camere del lavoro. Quest’ultime, infatti, erano caratterizzate da un eccesso di localismo, di spontaneismo e massimalismo (non a caso molte erano guidate da esponenti dell’area rivoluzionaria del Psi).

Il primo embrione dell’idea di confederalità

La proposta di creare il Segretariato Nazionale della Resistenza fu di Angiolo Cabrini, durante un convegno tenutosi il 20 settembre del 1902. Successivamente – avendo l’iniziativa trovato il più ampio sostegno del movimento sindacale – si tenne a Milano, tra l’1 e il 2 novembre successivi il Convegno operaio di fondazione del Segretariato.

Secondo gli intendimenti iniziali, il Segretariato doveva essere composto da sei membri: tre provenienti dalla Federazioni e tre in rappresentanza delle Camere del lavoro. In seguito, i membri effettivi saliranno a otto.

A capo della nuova struttura sindacale fu nominato lo stesso Cabrini, che tentò con tutte le sue forze di perseguire l’intento di una maggiore ed efficace centralizzazione dell’azione delle masse e che non si esaurisse solo in una funzione arbitrale tra strutture di diverso livello. Fondamentale era per i riformisti arrivare anche a una precisa divisione dei compiti tra Camere del Lavoro e Federazioni, soprattutto per quel che riguarda la possibilità di proclamare uno sciopero.

Fu proposta in tal senso (ma mai attuata) una riforma dello statuto delle Camere in cui si introduceva l’obbligo per queste a iscrivere le loro sezioni alle Federazioni. Alle strutture territoriali camerali si sarebbe affidato il compito di gestire attività locali come il collocamento, l’assistenza e l’istruzione popolare. Tutto ciò sempre in collegamento con le altre forme di associazionismo socialista come cooperative e società di mutuo soccorso.

Nel disegno di Cabrini le Federazioni, invece, avrebbero dovuto guidare l’attività di resistenza in senso stretto, nonché la cura delle relazioni con la controparte datoriale. Nei fatti una divisione del lavoro su due livelli, verticale e orizzontale.

Compito del Segretariato sarebbe stato anche quello di dialogare con le istituzioni per ottenere provvedimenti a favore della classe lavoratrice e vigilare sull’applicazione della legislazione sociale, faticosamente ottenuta in quegli anni. Dirigenti importanti del Segretariato come Rigola, Cabrini e Chiesa sedevano infatti anche in Parlamento.

La crisi del Segretariato e la nascita della CGdL

Purtroppo, le divisioni ideologiche interne al partito e un indebolimento della leadership riformista, non permisero al progetto di decollare come voluto, ed il Segretariato mostrò tutta la sua fragilità.

Esempi importanti di questa debolezza, furono sia lo sciopero dei tipografi di Roma del 1903, che il primo sciopero nazionale del 1904, proclamato dopo la strage di Buggerru. In entrambi i casi il Segretariato non riuscì ad imprimere alcuna direzione al movimento operaio, che non trovò sbocco positivo dopo le agitazioni cavalcate dai massimalisti. I quali, nel 1905, riuscirono a conquistare anche la maggioranza in seno al Segretariato.

A questo punto, i socialisti riformisti avevano di fronte a loro due alternative: andare alla resa dei conti con i massimalisti o cercare una strada alternativa.

Scelsero la seconda, decidendo di fondare la prima confederazione della storia del nostro paese: la CGdL. Era i giorni tra 29 di settembre e il 1° ottobre del 1906.

Iniziava una nuova e importante storia, in cui si fece tesoro dell’esperienza del Segretariato Nazionale della Resistenza: il primo embrione di confederalità. Tentativo sfortunato, ma totalmente in linea con quell’idea tipica del riformismo socialista, secondo cui, volendo usare le parole di Filippo Turati, “il massimalismo è il male del socialismo”.

 

 

 

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