Starbucks contro i sindacati: ondate di proteste negli USA

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03.09.2022

“Sono stato licenziato perché ero un leader sindacale nella mia filiale. La mia direttrice non è riuscita nemmeno a spiegarmi perché mi stavano licenziando. Non riusciva a guardarmi negli occhi”. Queste le parole di Sam Amato, un ex dipendente di Starbucks a Buffalo, New York.

Amato è stato licenziato poche settimane fa dopo 13 anni di lavoro, accusato di aver chiuso il negozio in anticipo. I fatti raccontano una situazione molto diversa.

A marzo si era votato per individuare una rappresentanza sindacale nella sede e Amato, una volta eletto, aveva cominciato a impegnarsi per la difesa dei diritti dei lavoratori.

Non a caso, dopo il suo licenziamento, molti dipendenti dello Starbucks hanno abbandonato il posto di lavoro e iniziato a scioperare.

La Starbucks Workers United, un’organizzazione che si propone di aiutare i lavoratori di Starbucks in tutti gli Stati Uniti ha seguito da vicino la vicenda, postando video degli scioperi diventati virali, che hanno attirato l’attenzione pubblica soprattutto perché Amato è solo uno dei tanti leader sindacali che Starbucks ha licenziato negli ultimi mesi.

E infatti sono quasi 220 gli Starbucks che negli Stati Uniti si sono sindacalizzati nell’ultimo anno a cui hanno seguito dei licenziamenti.

Una buona notizia arriva poche settimane fa: un giudice statunitense ha ordinato a Starbucks di reintegrare sette dipendenti in un locale di Memphis, in Tennessee, licenziati per aver sostenuto una campagna sindacale.

Secondo quanto riportato dai media Usa, lo US National Labor Relations Board ha fornito prove sufficienti che i licenziamenti all’inizio di quest’anno erano motivati da sentimenti anti-sindacali.

La società da parte sua ha dichiarato che farà ricorso e che i licenziamenti sono dovuto a violazioni delle loro politiche aziendali e di sicurezza.

Il sindacato rende i lavoratori uniti e organizzati e più forti nel far valere i propri diritti.

I risultati raggiunti dai dipendenti di Starbucks siano da monito e da esempio alle aziende che negano il diritto a un lavoro giusto, equo, dignitoso e ben retribuito.

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