Il sovraffollamento delle carceri: Cause ed effetti

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20.06.2023

Dopo una certa diminuzione registratasi nel periodo pandemico e dovuta principalmente al ridotto numero di reati e di processi celebrati a causa dei lockdown, nonché a talune misure deflattive finalizzate specificatamente a ridurre le presenze in carcere per motivi sanitari, il numero dei detenuti è tornato a raggiungere livelli di guardia e, soprattutto, il trend si presenta costantemente in crescita.

Oggi i ristretti nei penitenziari ammontano a 57.230 su 51.153 posti disponibili, con un tasso di sovraffollamento del 12%

Le cause del sovraffollamento delle carceri

Il dato, già di per sé allarmante, va però interpretato tenendo conto soprattutto di due fattori: vi è un certo numero di posti inagibili e, dunque, inoccupabili che fanno abbassare il totale di quelli effettivamente disponibili. Inoltre, il sovraffollamento non è omogeneo.

Su quest’ultimo aspetto s’intende dire che non è equamente distribuito fra le varie carceri, fra i diversi circuiti detentivi (maschile, femminile, media sicurezza, alta sicurezza, etc.) e persino nell’ambito dei diversi settori del medesimo penitenziario.

Questo fa sì che vi siano punte di sovrappopolamento del 138% in ambito regionale (Puglia) e addirittura del 180% in qualche carcere (Como).

Più detenuti e meno poliziotti

A tutto ciò, peraltro, fa da contraltare il sottodimensionamento dell’organico del Corpo di polizia penitenziaria e delle altre figure professionali che operano negli istituti di pena, nonché le gravi deficienze del sistema sanitario.

In particolare, per quanto concerne il Corpo di polizia penitenziaria, che nel carcere rappresenta la parte di personale di gran lunga predominante, a fronte di un fabbisogno quantificato e validato dallo stesso Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in 54mila unità, sono effettivamente in servizio meno di 36mila poliziotte e poliziotti, con un deficit organico di oltre 18mila operatori.

Se la matematica non è un’opinione, il 12% di detenuti in più e il 34% di appartenenti alla Polizia penitenziaria in meno bastano da sé a certificare le gravi problematiche che incidono negativamente sui livelli di sicurezza così come sulle condizioni di detenzione e della qualità dei servizi offerti all’utenza.

Una inadeguatezza strutturale

A questo, tuttavia, si uniscono deficienze strutturali e architettoniche, inadeguatezza di impianti elettronici e tecnologici, insufficienza e vetustà degli equipaggiamenti, ma soprattutto legislazione inappropriata e anacronistica e disorganizzazione imperante.

Un mix esplosivo che alimenta il crimine e il malaffare interno, con molti penitenziari che sono vere proprie piazze di spaccio – come ha dichiarato persino l’attuale Procuratore Nazionale Antimafia, Giovanni Melillo, nelle vesti di Procuratore della Repubblica di Napoli – in carceri ingovernabili con operatori abbandonati – come ha detto invece il consigliere del CSM Sebastiano Ardita.

Un sistema d’esecuzione penale, dunque, specie quello inframurario, molto distante dal poter anche solo ambire al perseguimento del mandato costituzionale racchiuso nell’art. 27 della Carta in relazione alla funzione rieducativa delle pene.

I danni ai lavoratori del sistema penitenziario

Ma un sistema carcerario che, solo per citarne alcuni altri,  non risponde neppure al dettato degli artt. 36 e 37 della legge fondamentale dello Stato in un contesto in cui per le lavoratrici e i lavoratori del Corpo di polizia penitenziaria non sono ancora garantite retribuzioni proporzionate alla quantità e alla qualità della prestazione, non vi è limite alla durata del servizio giornaliero, sono compromesse sicurezza e salubrità sui luoghi di lavoro, non vi è certezza di ferie annuali e riposo settimanale, continua a perpetrarsi fortissima discriminazione di genere e parlare di conciliazione di tempi di vita e lavoro è un perfetto ossimoro.

Come se non fosse già troppo, a ciò si aggiunga l’inefficienza del servizio sanitario, la non gestione dei detenuti con patologie psichiatriche – con malati di mente non curati e pressoché abbandonati a sé stessi e, non di rado, trattenuti in carcere senza un titolo giuridico che lo prescriva (sine titulo) – e il lugubre quadro dell’illegalità del sistema carcerario e, di rimando, di quello penale è dipinto.

Tutto questo determina, palesemente, una serie di effetti collaterali che incidono sulla sicurezza anche per via della commissione di reati in carcere e della mancata interruzione dei rapporti con l’esterno per gli appartenenti alla criminalità organizzata, per le risse, talvolta gli omicidi fra i ristretti, le aggressioni nei confronti degli operatori (oltre  4 al giorno quelle più gravi), le rivolte, le evasioni e non ultimo, il tragico fenomeno dell’altissima incidenza dei suicidi che riguarda sia i reclusi sia gli operatori.

Senza giustizia non c’è libertà

È di ogni evidenza che, dopo anni di abbandono e di assenza di strategie che mirassero compiutamente e in maniera organica all’effettiva funzionalità del sistema penitenziario, la politica, il Parlamento, il Governo dovrebbero investire sulle carceri.

Passi che l’esecuzione penale possa essere considerata un costo (non ci sarebbe se non ci fosse chi delinque), ma è un costo necessario da sostenere nell’interesse collettivo affinché si trasformi in un investimento economico e volano di sviluppo per il Paese.

Se non funziona il sistema d’esecuzione penale non funziona la giustizia, non c’è giustizia. E se non c’è giustizia, non c’è libertà per le persone e per le imprese.

In altri termini, il Governo e il Parlamento, al di là della narrazione e delle mere declamazioni di principio, dovrebbero prendere concretamente atto della perdurante emergenza penitenziaria.

In primo luogo, varando, con procedure d’urgenza, un decreto carceri con misure indispensabili a metterle in sicurezza partendo da cospicue assunzioni straordinarie nel Corpo di polizia penitenziaria. Inoltre, approvando una legge delega per la reingegnerizzazione strutturale dell’apparato d’esecuzione penale e particolarmente di quello inframurario.

Gennarino De Fazio, UILPA

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