Solidarnosc, il sindacato polacco che sconfisse il comunismo
17.09.2023
Quando la Seconda guerra terminò con la vittoria degli Alleati contro il totalitarismo nazifascista, la Polonia – suo malgrado – si ritrovò soggiogata a un’altra dittatura: quella comunista, dominata dall’Unione sovietica staliniana.
Per Stalin, la Polonia doveva diventare il “centro” del suo dominio nell’Europa orientale. Ma di fatto, si rilevò il paese più riottoso al dominio sovietico. Questo, ovviamente, per ragioni storiche, nonché per la presenza di una Chiesa cattolica forte e radicata, poco disposta a cedere spazio all’ateismo comunista. Altro fattore di resistenza al bolscevismo collettivista era il diffuso mondo contadino tradizionalmente anti-russo.
Questa conflittualità non si trasformò mai nella sventura di un’invasione sovietica, cosa che invece successe in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968, quando il popolo ebbe il coraggio di ribellarsi alla dittatura comunista.
Ma già nel 1956 – in occasione di un brusco aumento dei prezzi – a Poznam gli operai polacchi scioperarono contro il regime, chiedendo “pane e libertà”. La rivolta fu repressa nel sangue, con circa 100 morti e 600 feriti tra i contestatori.
Anche nel dicembre del 1970, il governo della Repubblica popolare di Polonia presieduto da Władysław Gomułka, annunciò improvvisamente un massiccio aumento del costo per gli alimenti di base. Questo scatenò un altro importante moto di protesta, soprattutto nelle città di Danzica, Gdynia, Elbląg e Stettino.
Tra gli organizzatori della protesta c’era anche un elettricista cattolico: Lech Walesa, allora ventisettenne.
Anche questa volta, i disordini vennero repressi nel sangue e i morti tra i manifestanti furono 42. Oltre mille i feriti e migliaia le persone arrestate.
Altre manifestazioni si ebbero anche nel 1976, mentre nel 1977 nel paese si cominciano ad organizzare le cosiddette Università Volanti: incontri clandestini tenuti da intellettuali e docenti universitari. La sinergia tra operai e intellettuali sarà una delle caratteristiche costanti dei movimenti di protesta polacchi.
Intanto, 16 ottobre 1978, a Roma, viene eletto al soglio pontificio il polacco, nonché intransigente anticomunista, Karol Józef Wojtyła, che individuò proprio nella Polonia la meta del suo primo viaggio pastorale nel 1979. Era un messaggio chiaro al regime, che vide le piazze riempirsi di folle oceaniche (mai inquadrate dalla televisione di stato), le quali non acclamavano solo il vicario di Pietro, ma vedevano nel papa una speranza di libertà e cambiamento.
Nel 1980, a seguito di un’altra crisi economica, gli operai dei cantieri navali “Lenin” a Danzica entrano in sciopero. La scintilla che da fuoco alle proteste è però di natura più politica, perché le manifestazioni iniziano a seguito del licenziamento dell’operaia e attivista Anna Walentynowicz,
Alla testa del movimento c’è Lech Walesa e la mobilitazione si estende velocemente su tutto il territorio polacco, chiedendo la riassunzione della Walentynowicz, aumenti salariali, dei sussidi nonché la costruzione di un monumento in memoria degli operai uccisi durante la repressione del 1970.
Il governo polacco dovette cedere davanti all’impeto della protesta operaia. Alla fine di agosto il regime e Walesa firmano un accordo in 21 punti, nel quale, oltre a miglioramenti di natura economica e alla riassunzione della Walentynowicz, si stabiliscono diritti a tutela della maternità, maggiore libertà di stampa e di espressione, il diritto di sciopero. Ma al primo punto del patto troviamo il diritto ad avere un sindacato libero e indipendente dal governo.
Nasce il Sindacato Indipendente Autogestit Solidarnosc, un movimento al cui interno confluiranno non solo istanze economico-sociali, ma anche politiche.
Solidarnosc sarà il primo sindacato libero in un paese comunista, che svolgerà un ruolo decisivo per la conquista della libertà.
Il regime comunista capì la forza d’urto del movimento operaio e della sua capacità di minarne le fondamenta, e così il 13 dicembre del 1981 emana lo stato di guerra per bloccarne le iniziative, mettendone fuori legge gli attivisti. Migliaia gli oppositori vengono imprigionati; soppresse la maggior parte delle libertà civili. Iniziano i licenziamenti per ritorsione assieme ai processi politici. Anche Walesa viene privato della libertà per un anno.
La lotta per la libertà torna ad essere clandestina, ma gli operai polacchi non erano soli, perché furono appoggiati da un moto imponente di opinione pubblica mondiale, nonché dai nostri sindacati confederali.
La UIL inizia ad avere rapporti strutturati con i sindacati di Cecoslovacchia e Polonia fin dalla seconda metà degli anni Settanta. Nel 1981 è tra gli organizzatori del viaggio di Walesa in Italia e sosterrà anche economicamente, oltre che politicamente, la lotta di Solidarnosc per la libertà.
Quando, nel 1984, viene assegnato a Walesa il premio Nobel per la pace, il sindacalista manderà la moglie a Stoccolma per ritirarlo. Il suo timore era che non gli venisse consentito il rientro in patria.
Momenti drammatici arrivano anche nel 1984, quando venne rapito, torturato, ucciso e gettato nella Vistola il cappellano di Solidarnosc padre Jerzy Popieluszko. L’omicidio fu opera di uomini dei reparti speciali del Ministero degli Interni.
Poi, arriva la Perestroika e la storia accelera sui binari della libertà. Nel febbraio dell’89 vengono indette elezioni “semilibere”. Fu concordato che, al di là dei suffragi conseguiti, i comunisti avrebbero a prescindere mantenuto la maggioranza dei seggi al Senato (65% dei seggi). Ma Solidarnosc, comunque, ottiene un vero e proprio plebiscito.
Il 9 novembre viene abbattuto il Muro di Berlino e circa un anno dopo vengono indette nuove elezioni in Polonia, questa volta libere. Walesa è eletto presidente della repubblica.
Un effetto domino si abbatte su tutta la “cortina di ferro”. Il comunismo langue, ormai esamine dopo decenni di terrore e morte. A dargli una spallata forte è stato un movimento di classe: Solidarnosc.
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