SMART WORKING, COSA DICE IL PROTOCOLLO FIRMATO DA SINDACATI E GOVERNO
23.12.2021
Governo e sindacati hanno siglato il “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile”. Linee guida per lavoratrici, lavoratori e aziende che regolano quella modalità di lavoro che abbiamo imparato a definire “smartworking” durante il periodo della pandemia.
Il caos attorno alla definizione di lavoro agile è stato tantissimo. Così come le “autogestioni” dovute ai lockdown per l’emergenza Covid-19.
Anche l’approccio delle lavoratrici e dei lavoratori non è stato uniforme e univoco. C’è chi ha salutato con favore e piacere questa accelerazione, seppur improvvisa, verso forme più flessibili nell’organizzazione del lavoro e chi, invece, ha subìto una serie di difficoltà, materiali e psicologiche.
Complessivamente, secondo la ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, a settembre, si contavano complessivamente 1,77 milioni di lavoratori agili nelle grandi imprese, 630mila nelle pmi, 810mila nelle microimprese e 860mila nella Pa.
Progetti di smart working strutturati o informali sono presenti nell’81% delle grandi imprese (contro il 65% del 2019), nel 53% delle pmi (nel 2019 erano il 30%) e nel 67% delle Pa (contro il 23% pre-Covid).
In questo contesto il valore del Protocollo firmato dai sindacati è significativo. Si attribuisce alla contrattazione il compito di gestire un modo di lavorare tutto nuovo, regolamentandolo e dando più certezze a chi sceglie o si trova in condizione di lavorare in smart working.
Tanti i punti regolamentati, tra i quali:
- orari e disconnessione;
- tutela della salute e sicurezza;
- diritti sindacali;
- formazione;
- alternanza tra il lavoro agile e quello “in presenza”, cioè sul luogo di lavoro;
- scelta del luogo di lavoro (smart working non significa necessariamente home working) che deve essere idoneo assicurando sicurezza e riservatezza;
- dotazioni tecnologiche;
- adesione delle lavoratrici e dei lavoratori volontaria, individuale e reversibile;
- applicazione degli stessi diritti economici e normativi, previsti dalla legislazione e dal Contratto Collettivo applicato, anche con riferimento ai premi di risultato, nonché alle stesse forme di welfare aziendale e di benefit dei colleghi presenti in sede.
Un testo necessario, insomma, per gestire le sfide del cambiamento organizzativo del lavoro che pensiamo appartenere al futuro ma che, invece, è già nelle nostre vite. Anche per il sindacato è un terreno ricco di novità, sia dal punto di vista contrattuale, sia dal punto di vista socio-culturale.
Il lavoro è stato intenso. L’intento è sempre stato quello di mettere al centro la persona cercando di interpretare quali siano le tendenze che ci porteranno in un futuro molto prossimo a cambiare i nostri stessi comportamenti sul lavoro.
Di certo c’è che in tanti hanno gradito la possibilità dello smart working soprattutto come strumento di work-life balance. Un mezzo, cioè, per bilanciare i tempi di lavoro con quelli della vita privata e familiare. Di contro, però, c’è un sostanziale digital divide familiare. Spesso è la casa il fulcro dello smart working con i suoi limiti tecnologici e, soprattutto, quando c’è necessità di condividere spazi e reti tra più membri della famiglia. Altra nota dolente è la tendenza a utilizzare lo smartworking come espediente per coordinare il lavoro di cura (assistenza a bambini o anziani) con il proprio lavoro.
Questo comporta un eccessivo stress da non sottovalutare.
Quello dell’ufficio resta, poi, un contesto relazione più dinamico e soddisfacente. Sempre secondo lo studio del PoliMi, la comunicazione tra colleghi è stata un po’ il tallone d’Achille nel periodo del lockdown. Peggiorata per il 55% delle grandi imprese, il 44% delle pmi e il 48% delle Pa.
Nell’ambito della salute e sicurezza, pesa sicuramente il tecnostress e l’overworking. E in tal senso il protocollo interviene definendo orari e momenti di disconnessione.
Un ulteriore beneficio che può comportare il lavoro agile è sicuramente quello di rendere più sostenibile dal punto di vista ambientale il tessuto produttivo. “Si può stimare – si legge nella ricerca – che l’applicazione dello smart working ai livelli previsti dopo la pandemia comporterà minori emissioni per circa 1,8 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, pari all’anidride carbonica che potrebbero assorbire 51 milioni di alberi.”
Esistono insomma benefici sociali, ambientali, economici e produttivi nell’applicare, bene, lo smartworking.
La cornice definita da Governo e sindacati, dopo un lungo lavoro, è un punto di partenza importante per aprire le porte a una dimensione di lavoro finora sconosciuta o solo immaginata.
Lo smart working è un nuovo modello di lavoro che può bilanciare i benefici di diverse modalità di lavoro e approccio all’organizzazione di tempi e luoghi. È bene cogliere la sfida verso la modernizzazione di processi ormai inadeguati.
Redazione TERZO MILLENNIO
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