Si aggrava la repressione in Tunisia

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19.01.2022

Dalla Tunisia, in questi giorni, arrivano informazioni preoccupanti: la repressione del Governo Saied non accenna a fermarsi. Anzi, gli ultimi fatti non lasciano ben sperare e la CSI – il sindacato internazionale – ha espresso grande apprensione.
Andiamo con ordine.
Il paese ha affrontato una crisi crescente da quando lo scorso 25 luglio, il Presidente Kais Saied ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi e ha preso il potere assoluto vietando al parlamento di riunirsi, in un contesto di crescente povertà e disoccupazione unito ad una cattiva gestione della pandemia COVID-19.
A questo quadro, che racconta una già difficile situazione socio economica, in cui sta venendo meno senza troppe remore, il rispetto dei diritti, si stanno aggiungendo gravi fatti di repressione antisindacale da parte delle autorità sotto il controllo del Presidente Kais Saied.
Lo scorso 13 gennaio, i lavoratori della televisione pubblica che scioperavano contro il rifiuto delle autorità di rinnovare il contratto collettivo sono stati circondati dalla polizia e sottoposti ad interrogatorio. Alcuni dei lavoratori sono stati poi costretti a riprendere l’attività lavorativa nel tentativo di interrompere lo sciopero.
Il giorno successivo, nella ricorrenza del decimo anniversario della rivoluzione che ha deposto il dittatore Ben Ali, la tensione è diventata altissima. Decine di migliaia di manifestanti che marciavano per protestare contro il Governo sono stati attaccati dalle forze dell’ordine con gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e percosse. Gli arresti e le detenzioni con accuse a carico sono innumerevoli.
Anche la repressione sindacale è molto forte. Il sindacato tunisino UGTT dal canto suo è impegnato in primissima linea, giocando un ruolo vitale nella rivoluzione e continuando ad essere centrali nella vita sociale e civile del paese. Per questa ragione, l’attenzione della CSI è altissima: la Segretaria generale Sharan Burrow, per questo, ha ribadito di essere al fianco dei rappresentanti dei lavoratori tunisini per sostenerli nel tentativo di fermare la repressione e per assicurare che la Tunisia non si pieghi semplicemente ai diktat del FMI, che rischierebbero di aumentare la povertà e la disoccupazione.

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