Sette scioperi memorabili

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02.02.2023

Parliamo di episodi abbastanza lontani nel tempo da poterli inquadrare storicamente. Queste lotte, insieme a tante altre qui non citate, andrebbero ricordate come tappe di costruzione non solo del sindacalismo occidentale, ma delle società occidentali stesse. Non sempre viene loro reso il merito che hanno avuto nella democratizzazione dei nostri Stati e nella costruzione della classe lavoratrice, componente decisiva della classe media.

  1. Forse non tutti sanno che la Rivoluzione Francese non fu amica dei lavoratori. Abolì le corporazioni, viste come un residuo dell’ancien régime, e impedì la nascita dei sindacati (con la Legge Le Chapelier sul delitto di coalizione, del 1791). La libertà era solo per gli imprenditori, non per i lavoratori. Nei primi decenni dell’Ottocento, le rivolte operaie in Francia vennero ferocemente soffocate, come quella di Rouen del 1830, quella dei canut, i tessitori di seta di Lione, guidati da Martin Buisson, nel 1831, e nuovamente quella di Lione del 1834, che fece 1.200 morti. C’erano poche alternative: subire, oppure battersi fino alla morte, come diceva lo slogan sulle bandiere dei canut, che Filippo Turati riprenderà nel suo Inno dei Lavoratori: vivre en travaillant ou mourir en combattant (vivere del lavoro o morire combattendo).

 

  1. Il primo grande sciopero della preistoria sindacale italiana fu quello di Biella del 1877. Anche qui come già in Inghilterra e in Francia, la prima classe operaia fu quella tessile. Nel 1864, dopo un primo lungo sciopero dei tessitori del Biellese, mirato soprattutto contro il regime delle multe che procurava gravi decurtazioni di salario, Quintino Sella affidò al grande giurista riformatore Pasquale Stanislao Mancini la redazione di un regolamento di fabbrica, che venne sottoscritto dagli operai e dagli industriali. Ma la mediazione, come spesso succede, creò scontento da entrambe le parti. I dissenzienti tra i lavoratori prolungarono lo sciopero fino a fine anno, ma ne uscirono sconfitti. Chi nel padronato mugugnava, riusciva a coalizzarsi a inizio 1877 per rigettare il regolamento, e proporne uno unilaterale che ogni dipendente avrebbe dovuto sottoscrivere, pena il licenziamento. I lavoratori risposero con il primo grande sciopero della storia sindacale italiana, che terminò con la vittoria su tutta la linea degli operai, il ritiro del nuovo regolamento padronale e la rimessa in vigore di quello stilato da Pasquale Stanislao Mancini: l’atto di nascita delle relazioni industriali in Italia.

 

  1. Lo sciopero portuale di Londra del 1889 è stato definito lo sciopero più famoso del mondo. È il trionfo del nuovo sindacalismo, aperto anche ai lavoratori non qualificati. Il grido di battaglia: sindacalismo per tutti! Lo sciopero fu sostenuto da pubbliche sottoscrizioni, e anche l’opinione pubblica borghese si schierò con gli scioperanti. John Burns, operaio meccanico, iscritto alla Amalgamated Society of Engineers (ASE), fu il maggior leader dello sciopero: inconfondibile punto di riferimento il suo cappello di paglia bianco. Curioso osservare come il sindacato di John Burns, la ASE, fondata nel 1851, fosse ai suoi tempi l’esempio di un nuovo modello di sindacato, moderato e concreto, che univa mutuo soccorso e contrattazione, ma che era incentrato sui lavoratori qualificati. Lo sciopero del porto di Londra chiarirà che il nuovo modello di sindacato della ASE era diventato vecchio.

 

  1. L’altro grande sciopero portuale fu quello di Genova, del 1900. Il Prefetto aveva sciolto la Camera del Lavoro considerandola centro di sedizione. Lo aveva fatto altre due volte in precedenza. Ma stavolta non aveva calcolato la portata della reazione dei lavoratori genovesi. Il porto ne fu l’epicentro, con memorabili giornate di mobilitazione, dal 19 al 23 dicembre. La crisi politica che ne seguì fu senza precedenti: per la prima volta, uno sciopero fece cadere un Governo. Il capo del governo Giuseppe Saracco fu costretto a intervenire. Luigi Einaudi denunciò come anti-liberale il comportamento del Prefetto: le Leghe di Resistenza erano legittime. Cadde il Governo Saracco. Il nuovo governo, di Giuseppe Zanardelli, con Giovanni Giolitti ministro dell’interno, attuò una svolta nei confronti del movimento dei lavoratori, che permise al sindacato di operare senza dover mettere in conto sempre e comunque la repressione dello Stato. Gli spazi che si aprirono vennero pienamente sfruttati, fiorirono le vertenze, si stipularono molti accordi importanti.

 

  1. Le lavoratrici stagionali delle risaie, le mondine, sono state protagoniste di molte pagine della storia del primo sindacalismo italiano, a cavallo tra Otto e Novecento, in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Sergio Negri, nel suo romanzo storico Se Otto Ore (2016), racconta la conquista delle otto ore da parte delle mondine di Vercelli, nel 1906: “Poi, una voce concitata che giungeva dal balcone del municipio attirò l’attenzione di quella folla ansiosa. Dopo qualche istante di smarrimento, sulla piazza scese un silenzio carico di tensione. Riacquistata la quiete, la voce di una mondariso che si stava sbracciando dal poggiolo del municipio annunciò che in quel momento le commissioni avevano raggiunto l’accordo per le otto ore in risaia. Era la notizia che tutti aspettavano da molti anni. Incredulità, disorientamento, esultanza, stupore: molte emozioni contrastanti in un istante occuparono i pensieri di quella moltitudine di persone raccolta nella piazza. Dopo qualche attimo di smarrimento, la folla manifestò in molti modi la sua esultanza per il risultato ottenuto. In molti si abbracciarono e improvvisarono danze scaramantiche, le donne lanciarono in alto i loro copricapo, altre intonarono canti festosi.”

 

  1. Lo sciopero delle camiciaie di New York del 1909 è una grande storia che merita di essere conosciuta. La vita di fabbrica all’epoca era durissima: divieto di canto, di risa, di parola; perquisizioni arbitrarie; molestie sessuali; estorsione di caparre per garantire la non iscrizione al sindacato. Il personaggio-chiave di questo conflitto fu Clara Leimlich, ebrea, immigrata ucraina a New York. I proprietari delle fabbriche risposero alla mobilitazione con la serrata, l’uso di bande di prostitute e teppisti contro le lavoratrici e i picchetti. Polizia e giudici furono apertamente ostili alle lavoratrici. La Leimlich subì un duro pestaggio, che anni dopo commenterà così: unions aren’t built easy (i sindacati non sono facili da costruire). Il 22 novembre 1909 si tenne un’assemblea di massa alla Cooper Union’s Great Hall. Il Presidente della AFL non vedeva bene lo sciopero delle camiciaie e sottovalutava le donne. Poi prese la parola Clara Leimlich, in yiddish, e chiese lo sciopero generale. Si giurò per lo sciopero, che un giornalista definì “a show of women’s power” (una dimostrazione del potere delle donne). Le richieste: settimana di 52 ore; un aumento del 20% del salario; ferie pagate; basta con il costo di ago e filo a carico delle lavoratrici; riconoscimento del sindacato. L’aiuto, insperato, decisivo, venne dalla … brigata impellicciata, la mink brigade, alcune delle donne più ricche di New York, che solidarizzarono con le scioperanti. Si giunse così all’apertura del negoziato, ma permaneva il rifiuto di riconoscimento del sindacato, per cui lo sciopero continuò. Molte aziende cominciarono a cedere. La Blanck-Harris non riconobbe il sindacato, ma accettò che vi fossero degli iscritti. Il commento della Leimlich: well, we showed them! (be’, gliel’abbiamo fatta vedere!).

 

  1. L’unico sciopero del secondo dopoguerra di questa piccola rassegna di grandi scioperi (ve ne sarebbero tanti altri da raccontare) ha in comune con i precedenti il suo essere l’inizio di una nuova tradizione. In questo caso, si tratta dello sciopero generale per la casa del 19 novembre 1969. Siamo alla fine dell’Autunno Caldo del ’69, che ha visto grandi lotte e conquiste, rinnovi contrattuali con salario e riduzione d’orario. Con lo sciopero per la casa, alle tematiche contrattuali, categoriali, si aggiunge un tema sociale, una riforma: il sindacalismo confederale affronta i problemi che il lavoratore vive sul posto di lavoro, ma anche quelli che incontra fuori dal posto di lavoro. È la via italiana alla costruzione dello Stato Sociale.

Roberto Campo

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