Scafista: lo squalo o un pesciolino di una grande rete criminale?
23.03.2023
Nell’uso comune della lingua italiana il termine «scafista» è spesso utilizzato in ambito giornalistico per indicare chi porta immigrati irregolari utilizzando imbarcazioni a motore o chi contrabbanda sigarette trasportandole con veloci motoscafi.
È storia malavitosa napoletana tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Gli scafi blu, con il loro prezioso carico di sigarette di contrabbando, inseguiti di notte dalle motovedette della Guardia di finanza nel golfo di Napoli.
Ai tempi nostri, invece, da quello che si sa, la base di questa attività illecita è in Libia, Turchia con ramificazioni in Afghanistan e Pakistan. Pretendono una parte del pagamento prima della partenza ed una parte a traversata compiuta. Cifre elevate, chi parla di 4mila euro, chi di 7mila. Incassano, gestiscono le cosiddette «safehouse» dove i migranti vengono parcheggiati in attesa dell’organizzazione del viaggio, scelgono gli scafisti e l’imbarcazione adatta per la traversata.
Non si sa molto altro perché si tratta di organizzazioni ben nascoste. Nemmeno seguire la scia dei soldi (lezione giudiziaria del Giudice Falcone) funziona. Spesso i pagamenti delle tratte avvengono lungo agenzie della hawala, (conosciuta anche come hundi) sistema informale di trasferimento di valori basato sulle prestazioni e sull’onore di una vasta rete di mediatori, localizzati principalmente in Medio Oriente, Nord Africa, nel Corno d’Africa ed in Asia meridionale estraneo ai controlli del sistema bancario. Chi fa il lavoro sporco sono gli scafisti. Funziona quasi sempre così: sono uomini reclutati e messi alla guida della traversata o sotto minaccia di armi o con la violenza o c’è chi lo fa perché non ha i soldi per pagarsi il viaggio.
Come Abel (nome di fantasia) che da due anni vive in Francia. Lavora come addetto alle pulizie, anche se non ha un contratto. Abel è arrivato in Italia dalla Libia nel 2016. “Il mare era cattivo e tutti vomitavano”, ricorda. Poi la salvezza: la guardia costiera italiana li ha soccorsi e li ha portati in Sicilia, ma solo una volta arrivato in porto ha scoperto di aver commesso un reato: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Era il mozzo dell’imbarcazione e tutti i migranti sulla barca lo hanno individuato come uno degli scafisti.
Samir aveva vent’anni ed era arrivato in Libia dal Senegal, quando i libici l’hanno costretto a mettersi al timone di un’imbarcazione a motore di vetroresina. “Ci hanno scortato a largo con delle moto d’acqua, hanno acceso il motore e mi hanno costretto a mettermi al timone”, racconta il ragazzo che oggi fa l’operaio agricolo. “Non avevo mai condotto un’imbarcazione ed ero terrorizzato”, racconta. Dice di avere superato questa grande prova solo grazie alla sua fede in Dio.
La barca è stata soccorsa da una nave della guardia costiera italiana, era il luglio 2016. Samir è stato arrestato all’arrivo nel porto di Palermo, non ha mai negato di essere la persona al timone dell’imbarcazione, ma ha spiegato di essere stato costretto con la forza a guidarla e di non appartenere a nessuna organizzazione criminale.
Ci sono molte persone in carcere per questo reato. Spesso chi guida le imbarcazioni non fa parte della rete criminale che ha organizzato il viaggio. Chi guida non lucra sulla vita degli altri, al massimo è un migrante che non paga il viaggio. Criminalizzare lo scafista significa non conoscere il fenomeno migratorio nella sua complessità.
Il governo, dopo l’ennesima tragedia del mare come quella di Cutro, ha deciso di adottare la linea dura approvando le nuove norme contro la tratta nel decreto migranti. La norma principale riguarda i reati legati alla tratta delle persone e prevede un aumento delle pene per il traffico dei migranti fino a 30 anni per chi provoca la morte o lesioni gravi.
La norma mette sullo stesso piano chi organizza, finanzia e specula su questi viaggi della morte con chi è materialmente incaricato di guidare il barcone (il cosiddetto scafista). Pur essendo questi ultimi anche loro colpevoli, la cosa appare dubbia soprattutto sul piano della proporzionalità della pena. È noto che, di scafisti d’occasione, i veri trafficanti ne troveranno a migliaia, anche solo per avere uno sconto sul viaggio, mentre i veri organizzatori rimarranno al sicuro in paesi dove la legge che punisce tali reati praticamente non esiste e, dunque, possono farla franca. Questa norma rischia di colpire solo i pesciolini più piccoli con scarsi risultati sul piano della lotta alla piaga del trafficking.
Dipartimento Immigrazione Uil
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