Ricchi e poveri: guerra, clima e pandemia allargano la forbice

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20.09.2022

Guerra, pandemia e cambiamento climatico spaventano il mondo intero. Ma se la paura è condivisa, il peso delle conseguenze no. È la popolazione più povera che sta soffrendo maggiormente gli effetti di questo difficile periodo storico. Lo provano i dati Ocse sui cosiddetti “contesti fragili” cioè gli Stati e i territori più esposti a rischi economici, sociali e ambientali. Se l’anno scorso se ne contavano 60, ora il numero è decisamente in aumento

I dati OCSE

Parliamo del 24% della popolazione mondiale in cui si concentra il 73% di coloro che vivono in estrema povertà, l’80% dei morti in conflitti e il 95% delle persone che necessitano di assistenza umanitaria. Oltre a ciò, mentre ci preoccupiamo dell’aumento delle bollette e del caro energia, nel Sud del mondo si fanno ancora i conti con la pandemia. Nei luoghi fragili, solo una persona su tre ha ricevuto il vaccino anti-covid, quando nei paesi ricchi lo hanno ricevuto tre persone su quattro.

L’allarme delle altre organizzazioni

Queste gravi disparità sono certificate anche da altri studi e statistiche. Ad esempio, nel rapporto Oxfam 2022 “La Pandemia della disuguaglianza” è stimato che tra il 1995 e il 2021, l’1% più ricco della popolazione mondiale ha beneficiato del 38% del surplus di ricchezza. Solo il 2,3% del surplus è stato redistribuito alla metà più povera. A supporto di questi numeri ci sono anche le ricerche condotte dalle Nazioni Unite secondo cui oltre il 75% della popolazione mondiale, concentrato per di più nei Paesi in via di sviluppo, vive in una società in cui il reddito è distribuito in maniera meno omogenea rispetto agli anni Novanta.

Forbice sociale e cambiamento climatico

La forbice sociale è lampante e si sta progressivamente allargando. Sul versante del cambiamento climatico è ancora più evidente. Infatti, i 60 contesti fragili individuati dall’OCSE producono solo il 4% delle emissioni inquinanti globali, ma ne subiscono di più gli effetti. Per questo il Sud del mondo si sta mobilitando per richiedere alle economie più ricche dei finanziamenti con cui far fronte alle perdite e ai danni del cambiamento climatico. Lo ha rivelato il The Guardian sulla base di documenti riservati che proverebbero come i paesi meno sviluppati vorrebbero una tassa sui combustibili fossili. Sempre secondo la testata inglese queste richieste compaiono in un paper prossimamente discusso all’interno dell’Assemblea Generale dell’ONU.

I dibattiti della COP26

La COP26 di un anno fa a Glasgow aveva dibattuto temi simili. Si era parlato di mettere a punto un sistema di monitoraggio delle perdite e dei danni del cambiamento climatico. Tuttavia, non è stato firmato nulla su come finanziarlo e su chi avrebbe dovuto contribuire. In più sarà difficile ottenere dei risultati nel prossimo summit sul clima di novembre. Il nuovo quadro geopolitico e le nuove tensioni internazionali complicheranno di molto possibili negoziazioni. E’ una strada in salita, ma bisogna fare presto. Il potenziale rischio a cui sono esposti i paesi più poveri si fa più serio con l’aggravarsi delle condizioni climatiche e ambientali.  Il caso delle isole dei Caraibi è indicativo: se la temperatura continuerà ad aumentare, con il conseguente innalzamento del livello del mare, potrebbe verificarsi un “super temporale” capace di provocare dei danni da sette bilioni di dollari nella sola nazione insulare, cioè sei volte il suo prodotto interno lordo.

E’ un percorso quindi lungo e complicato.  Ma il tempo scarseggia. Il divario tra nord e sud del mondo è sempre più profondo e si riflette a livello microscopico nelle disparità tra singoli. Serve un impegno tempestivo, nazionale e internazionale per combinare l’opera di redistribuzione della ricchezza e la salvaguardia dell’ambiente, tutelando i paesi più poveri e vulnerabili al cambiamento climatico.

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