Reddito minimo. Ce lo chiede l’Europa!

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06.02.2023

“Garantire che ogni persona nell’Unione possa godere di una vita dignitosa” è l’obiettivo che il Consiglio Europeo si prefigge con la raccomandazione emanata lunedì 30 gennaio 2023, che invita gli Stati Membri a dotarsi di una legge sul reddito minimo.

Il documento approvato dell’organo presieduto dai capi di Stato e di governo europei mira a combattere la povertà, l’esclusione sociale e a perseguire livelli elevati di occupazione, proponendo un adeguato sostegno economico per le persone che non dispongono di risorse sufficienti a mantenere un livello di benessere e una qualità di vita soddisfacente. Nel documento, l’adeguatezza del reddito minimo è definita in funzione sia della possibilità di accedere ai servizi abilitanti ed essenziali per le persone sia dall’integrazione nel mercato del lavoro di chi può lavorare. In pratica, la raccomandazione del Consiglio afferma la necessità per i paesi dell’Unione di munirsi, in modo coordinato, di uno strumento di contrasto alla povertà e alla marginalizzazione, affinché si costituisca una rete di sicurezza sociale in tutta Europa.

Il termine “rete” in questa circostanza non è metaforico ma letterale, dal momento in cui sono molti i nodi legati tra loro attraverso lo stesso strumento. Per il Consiglio Europeo, il reddito minimo dovrebbe combinare le politiche per l’impiego con quelle per l’istruzione e la formazione. Inoltre, l’accesso al reddito minimo, sempre secondo l’istituzione europea, dovrebbe essere illimitato nel tempo, purché i percettori continuino a soddisfare i criteri di ammissibilità e le condizionalità, ovvero fintanto che non trovino una professione adatta alle proprie competenze e con una paga giusta. Insomma, a prescindere che si chiami “reddito minimo”, “reddito di cittadinanza” o “reddito di inclusione”, i governi nazionali sono invitati a predisporre non solamente uno strumento di sostegno economico, ma anche un insieme di interventi di carattere sociale che supportino lo sviluppo umano della persona oltre a quello professionale, al fine di facilitarne l’integrazione nella comunità di appartenenza e l’inserimento – o reinserimento – nel mercato del lavoro.

A questa potenziale buona notizia, però, ne segue una più amara: la risoluzione del Consiglio Europeo, approvata a seguito di un accordo politico raggiunto tra tutti i primi ministri e i presidenti degli Stati membri dell’UE,  non è vincolante per gli Stati membri. La raccomandazione sul reddito minimo non deve essere obbligatoriamente attuata dai governi nazionali, che sono invece liberi di accogliere il provvedimento o ignorarlo, ritrovandosi così in una spirale di incoerenza per cui in patria gli esecutivi contraddicono il proprio operato in sede europea.

Alla luce delle recenti modifiche apportate con la Legge di Bilancio 2023, l’attuale governo presieduto dal presidente Giorgia Meloni sembra respingere al mittente l’invito a estendere la rete di protezione contro l’esclusione sociale. Non solamente, infatti, dal prossimo luglio il Reddito di cittadinanza (RdC) sarà sottratto agli occupabili dopo la prima offerta di lavoro rifiutata, ma il limite massimo di percezione del RdC sarà ridotto a sette mesi, abbandonando milioni di persone a sopravvivere in condizioni di pericolo e insicurezza sociale senza alcun tipo di sostegno materiale.

Nella società occidentale contemporanea, in cui il modello individualista che esalta il sacrificio è quello vincente, il fallimento è personale e la povertà è il prezzo da pagare per l’insuccesso. Da qui nasce la criminalizzazione dei percettori del RdC, verso i quali nel migliore dei casi si dimostra compassione, ma nel peggiore li si accusa di parassitismo. La UIL, in quanto organizzazione che si propone di ascoltare, accogliere e rappresentare le necessità delle persone, si oppone a questa visione. La persona, in quanto essere multidimensionale, non è solamente un ingranaggio del sistema economico ed è portatrice di bisogni, prima ancora che di interessi, che devono essere soddisfatti a prescindere dalla propria capacità lavorativa, perché la vita è l’unico bene universale che esiste e in quanto tale deve essere tutelato.

“Ce lo chiede l’Europa” è stato spesso intimato come avvertimento o monito, altre volte come un’accusa, una scusa o un pretesto per dei provvedimenti poco graditi all’elettorato. In questo caso, “ce lo chiede l’Europa” suonerebbe piuttosto come un grido di speranza per tutte quelle persone e famiglie abbandonate a combattere contro la precarietà delle proprie vite.

Dipartimento Internazionale UIL

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