REDDITO DI LIBERTÀ: per sconfiggere la violenza economica ci vuole molto di più.
24.07.2024
REDDITO DI LIBERTÀ: Per sconfiggere la violenza economica ci vuole molto di più.
Si può subire violenza in molti modi. Il femminicidio non è altro che l’apice di una complessa piramide di abusi più subdoli e sottili, non sempre facili da individuare e combattere. Uno di questi è la violenza economica.
Cos’è la violenza economica?
Il controllo del bilancio familiare da parte dell’uomo, l’impossibilità di avere un conto corrente, lo stesso sovraccarico nel lavoro di cura che costringe le donne alla disoccupazione o al part time, sono possibili strumenti più o meno espliciti di violenza. Con la scusa manipolatoria di non voler far faticare la compagna o di essere più esperto nelle finanze, l’uomo usa spesso i soldi come arma di prevaricazione.
Come funziona il Reddito di Libertà.
Va da sé che un percorso di fuoriuscita dalla violenza non può prescindere da un sostegno economico. Scappare dal proprio carnefice senza le risorse necessarie per mantenere sé stesse o i propri figli/e, è decisamente complicato. Ecco perché è nato il reddito di libertà: un sussidio statale di 400 euro per un massimo di 12 mensilità. Istituito nel 2021, è diventato strutturale con la legge di bilancio del 2024 che ha stanziato 10 milioni di euro per il triennio tra 2024 e il 2026, e 6 milioni per il 2027.
La misura è accessibile per le donne vittime di violenza sia con figli/e o senza, che sono assistite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali. Nello specifico le destinatarie sono cittadine italiane, comunitarie o extracomunitarie con regolare permesso di soggiorno, aventi lo status di rifugiate politiche o lo status di protezione sussidiaria.
In combinazione con il vero e proprio reddito di libertà, è previsto l’esonero contributivo sulle assunzioni. I datori che assumeranno le beneficiarie del reddito non dovranno pagare i contributi previdenziali della dipendente. Lo sgravio spetta per 24 mesi nel caso di contratti a tempo indeterminato, per 12 mesi nel caso di contratti a termine. Dura invece 18 mesi nel caso di trasformazione di un rapporto a tempo determinato in indeterminato. Altro dettaglio importante: la misura si applica anche per rapporti di lavoro part time, in somministrazione o in cooperativa. Il Reddito di libertà è compatibile con altre forme di assistenza come l’assegno di inclusione, l’indennità di disoccupazione (Naspi) o la Cassa integrazione.
Una misura insufficiente.
Fin qui tutto bene. La ratio del sostegno è più che condivisibile. Il reddito nasce per aiutare le donne vittime di violenza a riconquistare la propria autonomia e a sostenere le spese del percorso scolastico dei figli/e. Peccato, però, che in concreto il fine della misura rimanga del tutto irrealizzato.
Innanzitutto, l’idea di sostenere finanziariamente le donne che subiscono abusi con soli 400 euro è utopica. Secondo poi, il reddito di libertà, dato il criterio della residenza in Italia, esclude le donne senza fissa dimora o che hanno difficoltà, proprio per via della violenza subita, a presentare la documentazione necessaria per ottenere il reddito. Altra grave lacuna è l’assenza di linee guida nazionali per la valutazione di ogni caso. Non esiste, infatti, un sistema di analisi dello status economico delle donne uguale per tutti i servizi sociali e i centri antiviolenza. Di frequente, ad esempio, viene considerato l’insieme di proprietà immobili e mobili, e non il carattere precario del lavoro della donna o l’esigenza di una casa sicura dove rifugiarsi. Lo ha denunciato ActionAid nel suo rapporto «Diritti in bilico», l’indagine sulle politiche a sostegno dell’indipendenza socioeconomica delle donne che hanno subito violenza.
Quindi non stupirà nessuno che, a conti fatti, i risultati del reddito di libertà siano stati assolutamente insufficienti. Tra il 2020 e il 2022, con un finanziamento di 12 milioni di euro, hanno potuto beneficiarne un massimo di 2.500 donne. Un numero decisamente basso se consideriamo che, stando ai dati ISTAT, ogni anno sono ben 21mila le donne inserite nei percorsi di uscita dalla violenza con i requisiti per accedere al sostegno. Il gap è auto-evidente e va colmato.
Per spezzare le catene di soprusi e abusi, le donne hanno bisogno di un reddito superiore ai 400 euro, una casa sicura e un’occupazione che garantisca l’indipendenza. È necessario, quindi, un approccio politico-economico integrato e strutturale che possa contare su maggiori risorse.
I fondi destinati al reddito di libertà devono essere incrementati. Va realizzato un più ampio percorso collettivo e multidisciplinare per de-costruire ogni stereotipo e abbattere fino dalle basi la piramide della violenza.
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L'Appunto
di Pierpaolo Bombardieri

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