Proteste in Francia per la riforma delle pensioni. Le ragioni spiegate dal Segretario Generale del French Confederation Force Ouvrière (FO)

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05.04.2023

Continuano a crescere le proteste in Francia per la dibattuta riforma delle pensioni del Governo Macron. Da mesi piazze e strade di diverse città sono riempite da lavoratrici, lavoratori, pensionati ma anche giovani che ritengono non accettabile l’innalzamento dell’età pensionabile. Il presidente francese tira dritto per la sua strada e la risposta dei sindacati francesi è la mobilitazione, forti anche di un grande consenso da parte dell’opinione pubblica. Ne abbiamo parlato con il Segretario Generale del French Confederation Force Ouvrière (FO), Frédéric SOUILLOT.

Segretario, la vostra mobilitazione è nata contro il progressivo innalzamento dell’età pensionabile. Quando bisogna diminuire il debito pubblico sono sempre le pensioni ad essere toccate.  

Recentemente, FO ha reagito alle parole del segretario generale dell’OCSE che incoraggiava il governo francese a «rimanere sulla sua linea e andare fino in fondo» nella sua riforma delle pensioni, considerando che «viviamo più vecchi e viviamo più sani», per questo motivo «bisognerebbe accettare di lavorare un po’ più a lungo». Incoraggiare il fatto di andare in pensione più tardi è una prassi abituale da parte dell’OCSE o dell’Unione europea sin dalla creazione del mercato unico: un modo rapido per ridurre la spesa pubblica o per rallentarne l’aumento. 

In questo contesto, si sono susseguite riforme volte a limitare l’aumento della spesa pensionistica in Francia. Per quasi 30 anni, ci siamo confrontati con diverse importanti riforme delle pensioni: per contenere l’aumento delle pensioni, aumentare la durata dei contributi richiesti per ottenere una pensione completa, da 37,5 anni all’inizio degli anni ’90 a 43 anni dopo l’ultima riforma adottata nel 2014, ma anche l’innalzamento dell’età legale di partenza da 60 a 62 anni nel 2010. Il progetto di riforma del 2023 si inserisce in questa continuità. Esso prevede in particolare un nuovo innalzamento dell’età legale di partenza a 64 anni e un’accelerazione del previsto aumento della durata dei contributi.

Il Presidente Macron tira dritto per la sua strada e afferma che la riforma entro fine anno verrà applicata. È mancato totalmente il confronto con i sindacati? 

Nonostante le mobilitazioni che si sono susseguite dal 19 gennaio e nonostante l’opposizione espressa da una larga maggioranza della popolazione, in particolare dei lavoratori, il governo rifiuta di vedere e di ascoltare il rifiuto massiccio di questo progetto di riforma. Il successo delle proteste in Francia non viene meno, poiché tutte le organizzazioni riunite in intersindacale respingono questo progetto e chiedono insieme di proseguire gli scioperi e le manifestazioni. Sollecitato da una lettera inviata in marzo dall’intersindacale, il Presidente della Repubblica ha rifiutato di riceverci. 

Prima della presentazione della riforma, il governo ha organizzato delle concertazioni con le organizzazioni sindacali e padronali per evocare diversi punti della riforma futura, ma l’alzamento dell’età di pensione era posto come un presupposto, non negoziabile. Restava solo il limite da fissare: 64 o 65 anni.

Sono molte le proteste in Francia da parte delle donne perché si sentono ulteriormente penalizzate da questa riforma. Perché?

La pensione media percepita dalle donne è già inferiore di quasi il 40% a quella degli uomini. Questo divario risulta dalle disuguaglianze al lavoro: salari, carriere interrotte per congedi parentali, tempo parziale, lavori precari, ecc… E le disuguaglianze osservate durante la vita attiva si prolungano nel loro pensionamento! Le donne che già lavorano più a lungo per compensare delle carriere spesso triturate o relegate a tempi parziali subiti saranno particolarmente colpite dalla riforma: per ottenere una pensione a tasso pieno queste ultime dovranno lavorare sempre più a lungo!

L’alzamento dell’età di pensione a 64 anni porterà alla perdita totale o parziale del beneficio dei trimestri convalidati per la maternità. Questo meccanismo, di fatto rimesso in discussione oggi, non permette purtroppo di compensare le disuguaglianze subite durante la vita professionale, consentendo alle donne che hanno avuto figli di andare prima in pensione.

La vostra mobilitazione ha visto una grande partecipazione anche di molti giovani. I temi pensionistici riguardano anche loro.

Per FO, non c’è un problema di finanziamento del sistema pensionistico, c’è un problema di occupazione. Non abbiamo mai smesso di sottolineare che questa questione centrale dell’occupazione, in termini di accesso o di mantenimento dell’occupazione, ma anche in termini di qualità dell’occupazione (livello dei salari, disparità di salari e di carriere, precarietà – contratti brevi e molto brevi, tempo parziale), doveva essere affrontata prioritariamente, poiché il modo migliore per aumentare le entrate nel sistema pensionistico è di sviluppare l’occupazione perenne (con contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno). L’impegno dei giovani, che entrano sempre più tardi nel mercato del lavoro, si inserisce in questo contesto occupazionale. I giovani sono presenti nelle manifestazioni non solo per «solidarietà» verso gli anziani, ma anche per esprimere il loro timore per il futuro. Coloro che iniziano oggi la loro carriera professionale sono spesso convinti che non potranno beneficiare degli stessi diritti alla pensione dei loro anziani. Ciò influenza il modo in cui vedono il lavoro e il modo di pensare la loro carriera professionale.

Molti personaggi dello spettacolo e non solo hanno aderito alle proteste in Francia. L’impressione dall’Italia è che ci sia un paese molto unito contro questa riforma e contro questo governo. Come mai?

Man mano che crescevano le proteste in Francia, il rifiuto di questa riforma ha continuato ad intensificarsi. Tutte le indagini hanno dimostrato che il governo ha perso la battaglia dell’opinione pubblica, in particolare tra i lavoratori e le lavoratrici. Più di due terzi della popolazione sostiene le mobilitazioni, il 72% degli intervistati da diversi istituti di sondaggio è contrario alla riforma. Tra questi, il 78% degli attivi, il 79% dei dipendenti, l’80% dei 50-64 anni, che hanno capito che saranno fortemente colpiti da questa riforma. Ma solo il 52% dei pensionati…

Questo rifiuto massiccio rimanda innanzitutto a un fatto documentato da anni: il deterioramento delle condizioni di occupazione e di lavoro. 

I lavoratori con le attività più difficili e le condizioni d’impiego più precarie sono al centro del rifiuto, ma anche questo è fortemente espresso dai più qualificati. Il rifiuto culmina nei settori di attività noti per la gravosità delle condizioni di lavoro, come l’industria, i servizi alla persona, i trasporti, la sanità e l’istruzione. Abbiamo potuto sottolineare ogni volta l’eccezionale mobilizzazione delle città medie e piccole che spesso accumulano le difficoltà, concentrano anche una parte importante degli operai e degli impiegati. 

Al di là della questione delle pensioni, c’è anche quello del nostro ruolo e della nostra capacità di trasmettere le aspettative e le preoccupazioni dei lavoratori, dell’insieme dei lavoratori. La contestazione è stata alimentata anche dal degrado delle condizioni di lavoro, dalla mancanza di riconoscimento. In un contesto di inflazione persistente, con un clima sociale particolarmente degradato, una situazione politica instabile, un potere d’acquisto a mezz’asta e probabili nuove catastrofi climatiche. La mobilitazione è servita da catalizzatore, poiché le difficoltà preesistevano: salari, insoddisfazione del lavoro, precarietà, mesi difficili. 

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