Previdenza complementare
30.09.2024
Per effetto dei numerosi interventi in campo previdenziale che si sono susseguiti a partire dalla metà degli anni 90’ fino ad approdare alla legge Fornero, tutti concordano nel ritenere che il sistema pubblico obbligatorio erogherà trattamenti pensionistici decrescenti e nettamente inferiori a quelli attuali.
Considerando, poi, altri fenomeni, quali l’aumento dell’età di inizio lavoro dei giovani e la maggiore frammentazione dei periodi di contribuzione dovuta alle eventuali discontinuità lavorative nonché alla adozione ormai quasi a tutto campo della applicazione del metodo contributivo, la riduzione delle pensioni di base tenderà ad accentuarsi ulteriormente.
Tutto ciò fa nascere ai lavoratori di oggi, i pensionati di domani, il problema di un reddito insufficiente per mantenere un tenore di vita adeguato alla fine dell’attività lavorativa.
Di qui, la necessità di guardare alla opportunità derivante dalla previdenza complementare quale strumento non solo utile ma, in alcuni casi, addirittura indispensabile, per mitigare i rischi specifici che interessano il sistema pensionistico di base e per aumentare la probabilità di conseguire prestazioni previdenziali nel complesso più elevate.
Ma vediamo di che cosa si tratta.
Attualmente disciplinata dal D.lgs.252/2005 relativamente al settore privato e dal D.lgs. 124/1993 per quanto concerne il comparto del pubblico impiego, la previdenza complementare, o secondo pilastro previdenziale, è il sistema di previdenza privata e volontaria che consente di integrare la pensione di base obbligatoria (o di primo pilastro) con versamenti volontari. Essa, quindi, ha come obiettivo primario quello di concorrere ad assicurare al lavoratore un più adeguato livello di tutela pensionistica mediante, appunto, il beneficio di una pensione integrativa alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base.
Il sistema della previdenza complementare si fonda su una molteplicità di forme pensionistiche (fondi pensione) incaricate di raccogliere il risparmio previdenziale degli iscritti e di valorizzarlo attraverso i rendimenti ottenuti dagli investimenti eseguiti sui mercati finanziari.
Le forme pensionistiche complementari, nella gestione degli investimenti, sono tenute al rigoroso rispetto di regole di prudenza, definite per legge. Tali regole devono tener conto della finalità previdenziale e non speculativa dell’investimento stesso. Inoltre, tutti gli investimenti devono essere adeguatamente diversificati ed effettuati tenendo conto dei limiti indicati dalla normativa in vigore.
Tra le diverse forme di previdenza complementare a disposizione dei lavoratori, quelle che sicuramente offrono condizioni di maggior favore per gli iscritti, sono i fondi chiusi o negoziali e cioè quelli originati nell’ambito della contrattazione collettiva (nazionale o aziendale), che costituisce la loro “fonte istitutiva”.
Rispetto alle altre tipologie di fondi pensione, istituiti e gestiti da banche o assicurazioni (es. Piani individuali pensionistici di tipo assicurativo, i c.d. PIP), quelli negoziali garantiscono maggiori vantaggi quali ad esempio:
1) il diritto, per chi si iscrive al fondo negoziale di riferimento versando oltre al TFR maturando anche il proprio contributo individuale, di beneficiare del contributo a carico del datore di lavoro nella misura stabilita dalla contrattazione collettiva;
2) l’applicazione di costi di amministrazione e gestione decisamente più bassi rispetto ai prodotti offerti dal mercato bancario e assicurativo (il tema dei costi applicati è importante da valutare, in quanto possono avere un impatto significativo sulla pensione integrativa futura che verrà erogata);
3) una maggiore tutela derivante dalla possibilità di migliorare le norme presenti nel contratto di lavoro;
4) il vantaggio di una struttura di governo del fondo più trasparente e controllata derivante anche dal poter contare, all’interno degli organi, della presenza di propri rappresentanti.
A questi benefici se ne aggiungono poi altri comuni alla previdenza complementare in generale, tra cui sicuramente il più importante è quello di poter beneficiare di un regime fiscale agevolato sia nella fase di accumulo (deducibilità dei contributi versati e trattamento fiscale favorevole dei rendimenti della gestione finanziaria) sia nel momento di erogazione delle prestazioni (regime fiscale di favore della rendita, riscatto e anticipazioni).
L’adesione alla previdenza complementare è del tutto libera e volontaria per il lavoratore.
I lavoratori dipendenti del settore privato hanno la possibilità di aderire, secondo quanto previsto dagli accordi collettivi, anche aziendali, relativi al contratto di lavoro applicato, ad un fondo pensione di riferimento individuato dagli accordi stessi (c.d. adesione collettiva ad un fondo negoziale o ad un fondo aperto o preesistente). Tali accordi stabiliscono anche la misura minima della contribuzione destinata al finanziamento della propria posizione individuale presso il fondo.
Nel caso non si abbia un fondo contrattuale di riferimento oppure se il lavoratore decida di iscriversi ad una forma di previdenza complementare diversa da quella prevista dall’accordo costitutivo relativo al contratto di lavoro applicato, lo stesso può aderire ad un fondo aperto o a un PIP (adesione individuale). In tal caso la posizione individuale verrà alimentata solo dal proprio versamento non sorgendo alcun diritto di vedersi corrisposto il contributo anche da parte del datore di lavoro.
In caso di prima occupazione, il lavoratore dipendente avrà sei mesi di tempo dalla assunzione per decidere se destinare il proprio TFR futuro alla previdenza complementare (adesione esplicita) oppure di non aderire e mantenere il TFR in azienda (scelta quest’ultima che può essere in qualsiasi momento modificata a favore della adesione attraverso il conferimento del TFR maturando ad un fondo pensione). Trascorso il predetto termine senza avere espresso alcuna volontà, scatta l’applicazione del silenzio assenso e il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, salvo accordi aziendali diversi (c.d. adesione tacita).
Il lavoratore può decidere di integrare la propria posizione, versando nel fondo, in aggiunta al TFR anche un ulteriore contributo a proprio carico; come abbiamo visto, solo nel caso il lavoratore abbia aderito al fondo di riferimento contrattuale, il suo datore di lavoro sarà obbligato al versamento di un proprio contributo nella misura fissata dalle fonti istitutive.
Anche i dipendenti pubblici, il cui rapporto di lavoro è disciplinato da contratti o accordi collettivi (c.d. lavoratori dipendenti del pubblico impiego contrattualizzato) possono aderire alla previdenza complementare. A differenza però dei lavoratori del settore privato, tali lavoratori soltanto se aderiscono ai fondi pensione negoziali di riferimento, potranno alimentare la propria posizione individuale conferendo il proprio TFR futuro (a seconda dei casi, per intero o in parte) e al tempo stesso beneficiare del contributo del datore di lavoro. Nel caso, invece, decidano di aderire ad altre forme pensionistiche individuali (fondi pensione aperti e PIP) potranno versare solo il proprio contributo senza possibilità di conferire alcuna quota di TFR né di beneficiare del contributo del datore di lavoro. I lavoratori dipendenti del pubblico impiego che si trovano nei vari regimi di TFS, (indennità di buonuscita, indennità di premio servizio e indennità di anzianità), se decidono di aderire al proprio fondo negoziale di riferimento, devono però prima optare per il passaggio al regime di TFR.
In analogia a quanto avviene nel settore privato, per i dipendenti pubblici assunti successivamente al 1° gennaio 2019, è stato introdotto un meccanismo che prevede sia l’adesione espressa, mediante una esplicita manifestazione di volontà dell’aderente, sia l’adesione mediante silenzio-assenso (cosiddetta “adesione tacita”). Pertanto, il lavoratore assunto successivamente al 1° gennaio 2019, avrà 6/9 mesi di tempo dalla assunzione per decidere se aderire alla previdenza complementare, trascorsi i quali senza avere manifestato una scelta si troverà tacitamente iscritto al fondo pensione di riferimento (potrà, ad ogni modo, disporre di un termine di trenta giorni per recedere senza applicazione di costi e senza indicazione del motivo).
Vi sono dei contratti che prevedono l’iscrizione automatica dei dipendenti al fondo pensione negoziale di riferimento, mediante il versamento da parte del datore di lavoro del contributo fissato dagli accordi collettivi per l’adesione contrattuale (il lavoratore è comunque sempre libero di modificare la sua adesione da contrattuale in esplicita. In qualsiasi momento sarà, infatti, possibile versare il TFR maturando e un ulteriore contributo mensile, ricevendo per questo motivo un contributo aggiuntivo da parte del datore di lavoro).
Se previsto dai relativi Statuti/Regolamenti, possono aderire, inoltre, al fondo pensione anche i familiari fiscalmente a carico di lavoratori iscritti al fondo stesso che provvederanno a versare una contribuzione specifica a loro favore.
I contributi versati dagli iscritti al fondo pensione vengono accantonati su un conto individuale e investiti in strumenti finanziari da gestori specializzati sulla base delle indicazioni impartite dal fondo stesso. I rendimenti prodotti sono variabili nel tempo ed in funzione dell’andamento dei mercati finanziari e delle scelte di gestione.
Per i dipendenti pubblici viene previsto un differente meccanismo in base al quale il datore di lavoro versa sul conto “reale” della posizione individuale dell’aderente solo il contributo a carico del lavoratore e quello a proprio carico. Gli accantonamenti delle quote del TFR del lavoratore sono invece contabilizzati e rivalutati su un conto “virtuale” tenuto dall’INPS: tali quote non sono effettivamente versate al fondo pensione man mano che maturano, ma vengono accantonate figurativamente presso l’INPS e sono conferite al fondo al termine del rapporto di lavoro.
Durante il periodo di adesione, in presenza di alcune condizioni e nei casi previsti dalla legge, è data facoltà all’iscritto di richiedere anticipazioni sulla posizione individuale maturata nel fondo per far fronte a determinate esigenze (es. spese sanitarie di eccezionale gravità, acquisto/ristrutturazione prima casa per sé o figli) o, in talune situazione di difficoltà lavorativa (es. inoccupazione, invalidità), di riscattare, parzialmente o totalmente, il montante fino a quel momento accumulato presso il fondo. È inoltre possibile, trascorso un determinato periodo di tempo, trasferire la propria posizione presso un’altra forma di previdenza complementare. In caso di decesso prima del pensionamento la posizione individuale può essere riscattata dai soggetti designati dall’iscritto oppure dagli eredi.
Una volta maturati i requisiti per la prestazione pensionistica, l’iscritto potrà chiedere che la propria posizione individuale maturata presso il fondo venga tutta trasformata in una rendita calcolata in base all’età e al capitale accumulato (scegliendo il tipo di rendita che intende percepire, tra quelle previste dal fondo). In alternativa può scegliere la liquidazione della prestazione in forma di capitale per un importo, comunque, non superiore al 50% del montante maturato e il rimanente importo sotto forma di rendita, ovvero, al ricorrere di determinate condizioni, può chiedere una liquidazione interamente in capitale.
Viene inoltre prevista la possibilità per iscritti ad un fondo pensione, al verificarsi di determinate circostanze e in prossimità del pensionamento, di accedere alla c.d. R.I.T.A. (Rendita integrativa temporanea anticipata), una prestazione il cui scopo è quello di offrire un sostegno finanziario, attraverso l’erogazione frazionata di tutto o parte del montante accumulato dall’aderente, sotto forma di rendita, fino al conseguimento dell’età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia.
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