La precarietà giovanile in Italia: una crisi che non può più essere ignorata

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22.07.2024

Nell’immaginario collettivo, si sente spesso dire che “i giovani di oggi non hanno voglia di lavorare”. Questa visione stereotipata non solo è sbagliata, ma anche dannosa, poiché distorce la realtà delle sfide che le nuove generazioni affrontano nel mercato del lavoro. Un mercato caratterizzato da contratti precari e di breve durata, salari bassi, difficili opportunità di crescita e di avanzamento di carriera, e una flessibilità lavorativa che spesso non si traduce in una reale conciliazione tra vita e lavoro. E coloro che sono soggetti a queste condizioni sono principalmente i “giovani”.

Analizzando la condizione occupazionale dei giovani in Italia, emergono diverse criticità strutturali che sottolineano l’urgenza di interventi politici e sociali mirati. La persistenza di alti tassi di disoccupazione e la predominanza di contratti atipici riflettono non solo una crisi di natura economica, ma anche un fallimento sistemico nel fornire un contesto lavorativo adeguato alle nuove generazioni. Per comprendere appieno questa situazione, è utile analizzare alcuni dati forniti dall’Eurostat e dall’Istat per il 2023.

L’Italia si trova al terzo posto in Europa per il più alto tasso di disoccupazione giovanile. Secondo i dati Eurostat 2023, la disoccupazione giovanile in Italia è al 16,7%, un dato allarmante se confrontato con la media europea dell’11,2%. Inoltre, il nostro Paese è all’ultimo posto in Europa per tasso di occupazione giovanile, con solo il 34,7%, inferiore persino a quello della Grecia.

Collegato a questo fenomeno c’è anche un aggravante di genere: l’Italia è il secondo Paese europeo con il più alto gender gap nell’occupazione giovanile, con una differenza del 10,4% tra giovani donne e uomini occupati. Questo dato diventa ancora più significativo se confrontato con Paesi europei più virtuosi, come la Finlandia, dove il tasso di occupazione femminile supera quello maschile di 0,5 punti percentuali. Importante notare, come rilevato dal Gender Gap Report 2024, abbiamo perso otto posizioni su questo indice rispetto all’anno passato.

Anche il tasso di inattività giovanile, rappresentato dai NEET (Not in Education, Employment or Training), è particolarmente preoccupante. In Italia, il 18% dei giovani rientra in questa categoria, il secondo valore più alto in Europa dopo la Romania (20,6%). Questo fenomeno riguarda 1,5 milioni di giovani, un dato molto distante dalla media europea del 12%. Questa condizione è spesso determinata da profondi divari territoriali e disuguaglianze, espressione di una vera e propria emergenza sociale. La percentuale dei NEET, non a caso, è un indicatore chiave utilizzato per studiare lo stato di salute economica e lavorativa di una nazione.

L’occupazione giovanile in Italia non solo è nettamente inferiore rispetto agli altri Paesi europei, ma è anche precaria. L’osservatorio sul precariato dell’INPS afferma che nel 2023 sono stati attivati 3,16 milioni di contratti in favore di lavoratori under 30. Disaggregando le attivazioni per tipologia contrattuale, i dati mostrano che il 79,80% delle nuove attivazioni per i giovani è avvenuto mediante contratti temporanei (tempo determinato, stagionale, in somministrazione, a chiamata).

E le retribuzioni? Anche queste non sono rassicuranti. Soprattutto i giovani risentono fortemente degli squilibri del nostro sistema retributivo: nel 2022, nel settore privato, la retribuzione media annua dei giovani fino a 29 anni è di 13mila euro. Questo dato include sia chi ha contratti stabili sia chi non li ha, con questi ultimi che in media guadagnano molto meno: circa 8 mila euro annui. Ciò significa che i giovani guadagnano in media il 42,2% in meno rispetto al totale dei dipendenti nel settore privato.

Di fronte a salari bassi, contratti instabili e divari di genere frutto di retaggi antiquati, non sorprende la decisione di migliaia di giovani di emigrare all’estero in cerca di condizioni più favorevoli e che permettano loro di costruirsi un futuro. Decisione che, più che essere una scelta, sembra diventare una necessità. Negli ultimi 20 anni, infatti, l’Italia ha perso più di un quinto dei suoi giovani ed è diventata ultima in Europa per presenza di under 35.

Tutti questi dati mostrano una fotografia drammatica della situazione delle nuove generazioni in Italia, che non può quindi essere spiegata con la semplice affermazione “i giovani non hanno voglia di lavorare”. È necessario rivedere le politiche finora implementate e adottare riforme strutturali per affrontare il problema del precariato giovanile, che non può più essere ignorato.

Ridurre il ricorso ai contratti a termine sostenendo una riforma sul modello di quella spagnola, incentivare i contratti di apprendistato con una forte componente formativa e costruire una pensione di garanzia per i giovani con carriere discontinue, sono solo alcune delle proposte che la UIL da anni porta avanti per affrontare la precarizzazione del mercato del lavoro. Inoltre, come UIL, abbiamo recentemente lanciato una campagna per dire “No ai lavoratori fantasma“: una battaglia sociale e culturale volta a sensibilizzare l’opinione pubblica e a lottare contro la precarietà nel nostro paese, condizione che interessa sempre più spesso giovani e donne.

È tempo di agire e di restituire ai giovani la possibilità di un futuro dignitoso e stabile in Italia.

Dipartimento Internazionale UIL

 

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