Periferie abbandonate: il case study di Napoli Est. Un flebile messaggio di speranza.
14.12.2022
Poco prima di entrare nella città, alle porte di Napoli, c’è un susseguirsi di capannoni abbandonati, fabbriche dismesse, ciminiere spente che arrivano fino al vecchio deposito dell’Agip, a Vigliena, a pochi metri dal porto, dove le navi pompavano benzina direttamente dalle gigantesche cisterne almeno fino al 21 dicembre dell’85 quando una dirompente esplosione all’interno del deposito fece tremare Napoli e i napoletani, generando un immane disastro ambientale che oggi ancora sta là ad aspettare di essere risanato come un grande bubbone alla bocca della città.
Ed è proprio qui, nella periferia di Napoli Est, nel vecchio quartiere produttivo ed operaio che l’Apple, la gigantesca multinazionale statunitense della “mela col morso”, ha deciso di investire con l’Apple Developer Academy, rivolta a giovani studenti affinché sviluppino idee nuove per app innovative e diventino progettatori, oppure, perché no, imprenditori di domani.
L’Academy è approdata a Napoli nel 2016, nella facoltà di Ingegneria di San Giovanni a Teduccio e, laddove un tempo si producevano conserve di pomodori e pelati sotto il grande marchio italiano della Cirio, il colosso tecnologico di Cupertino oggi offre la possibilità di riscoprire e formare programmatori, creatori a tutto tondo, fornendo le conoscenze necessarie alla progettazione di app per dispositivi Apple.
I corsi offerti hanno varie sedi sparse nel mondo, tra cui in Curitiba (Brasile), Pohang (Corea del Sud), Riyadh (Arabia Saudita), Detroit (Stati Uniti d’America). Nello specifico, tutte risultano collocate in quartieri di periferia e con forti disagi sociali. Quella di Napoli è l’unica sede in Europa della Apple Developer Academy ed i suoi programmi continueranno fino al 2025.
Durante il corso tutti gli studenti hanno accesso ai dispositivi e ai software di cui hanno bisogno, ed anche dopo conseguito il diploma continueranno ad avere accesso a un Mac e un iPhone per i due anni successivi, oltre a ricevere un account da Apple Developer che permette di pubblicare le proprie applicazioni sull’App Store e contatti con relatori esterni, mentre gli studenti del programma Pier (riservato a coloro che hanno già frequentato il corso) sono coinvolti nella creazione e progettazione di app ed altri progetti per soggetti esterni che aiutino le comunità locali alla risoluzione di varie problematiche in ambito pubblico e privato.
Ad oggi i talenti raccontano di come la presenza di questa occasione abbia cambiato la loro traiettoria di carriera: tra i progetti ed applicazioni sviluppate si spazia dai videogiochi ad app di utility come “Sunlitt”, dedicata alle indicazioni della posizione del sole ed i suoi raggi in qualsiasi luogo ed in qualsiasi ora, utile a fotografi, campeggiatori, architetti ma anche a chi cerca casa; “Anne”, un traduttore in codice morse per sordociechi che sfrutta la vibrazione dei dispositivi;” Truesteppy” che accompagna le passeggiate dei non vedenti avvisandoli quando si avvicinano troppo agli ostacoli.
Trattandosi di competenze ricercate nel mondo del lavoro odierno, il tasso di giovani che trova lavoro dopo aver frequentato questi corsi è alta, (80%) e nonostante gli studenti siano vincolati da accordi di riservatezza, hanno la piena proprietà delle idee sviluppate durante il periodo di studi e hanno la possibilità di collaborazioni dirette con altre aziende. In sintesi, si tratta una grande opportunità per gli aspiranti creativi e per la stessa città di Napoli.
Eppure, questo faro di speranza, conoscenza ed innovazione che si innalza sulle zone circostanti, va in contrasto con un territorio desolato e “smantellato”. Napoli Est, come Bagnoli, restano delle grandi incompiute, nonostante il coraggio di pochi imprenditori, come la costruzione del Polo alimentare con le Eccellenze Campane di Paolo Scudieri (amministratore delegato dell’Adler) e le associazioni culturali attive sul territorio, come il teatro Nest o le officine fotografiche del Teatro San Carlo, sono ancora troppo poche le azioni “audaci” di crescita e sviluppo a lungo termine. E se si pensa che sempre in quel territorio da poco è stata dismessa la Whirpool nonostante la lotta durata due anni di lavoratori e sindacati, le speranze di un cambiamento reale muoiono sul nascere.
L’esempio del colosso Apple è unico nel suo genere e dovrebbe essere ripetuto, dovrebbe essere accolto da altre grandi realtà industriali o di ricerca.
La periferia orientale di Napoli è zona economica speciale (ZES) e gode di agevolazioni e strumenti particolari. Abbiamo, inoltre, le risorse del tanto declamato PNRR, perché allora non osare e trasformare Napoli Est in un polo di ricerca e nuove tecnologie? Perché non si fanno investimenti seri anche su infrastrutture e logistica in modo da attrarre nuovi investitori in quell’area? Insomma, perché non si vuole “mordere la mela” dello sviluppo, della crescita e dell’occupazione in una città che ha sete di lavoro e occupazione?
Il case study di Apple è un esempio positivo di un’imprenditoria, a volte virtuosa, in grado di valorizzare i territori abbandonati. Un obiettivo che, tuttavia, non può essere lasciato solo alle grandi multinazionali che, spesso, danno con una mano e tolgono con l’altra. La politica non può rimanere assente incurante dei bisogni di quelle parti del Paese oggi abbandonate.
Su questi temi è fondamentale discuterne insieme, società civile, parti sociali e istituzioni, per riuscire realmente a costruire nuove politiche industriali, energetiche e innovative adeguate nel nostro Paese capaci di creare lavoro stabile, dignitoso, rispettoso dei diritti e delle persone per un futuro migliore, per tutti.
Officina Civile
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