L’esaurimento delle risorse sulla Terra – Overshoot Day

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05.08.2022

Secondo le stime fornite dall’ONU, nel novembre del 2022 il mondo sarà abitato da otto miliardi di esseri umani.

Per capire le proporzioni di tale aumento, basti pensare che nel 1950 eravamo “appena” 2,5 miliardi. Questa crescita vertiginosa è sicuramente legata al miglioramento generale delle condizioni di vita delle persone.

Si pensi, per esempio, alla diminuzione drastica e diffusa della mortalità infantile e al progresso della medicina, resa anche accessibile (almeno in parte del mondo) grazie ai sistemi di welfare state.

Senza dimenticare, ovviamente, le migliori condizioni alimentari generali. Tutto ciò è senza ombra di dubbio un fattore positivo, pur se non va mai taciuto che questi benefici sono distribuiti ancora in modo molto diseguale.

A fronte di questi miglioramenti, si assiste da tempo ad un peggioramento degli equilibri del nostro ecosistema, sottoposto da troppo tempo ad uno stress eccessivo rispetto alla sua capacità di rigenerarsi, per fornirci altre risorse da consumare.

In sostanza, lo sfruttamento sta diventando eccessivo.

Tanto da portarsi dietro anche degli effetti sul clima che stanno creando, anno dopo anno, sempre più evidenti problemi come siccità, aumento delle temperature medie con conseguente scioglimento dei ghiacciai e la possibilità non remota di migrazioni impetuose da parte di quelle popolazioni che non riusciranno più a vivere nella propria terra per via di condizioni avverse non più sopportabili. Infatti, uno dei tanti modi di quantificare il cambiamento climatico è il calcolo delle potenziali conseguenze del riscaldamento sui luoghi storicamente abitati dagli esseri umani.

Consumiamo troppo e male dell’unico ambiente in cui viviamo. Il Global Footprint Network, una organizzazione senza scopo di lucro che calcola l’impronta ecologica umana, afferma che l’uomo divora il capitale naturale come se disponesse di quasi due globi terresti da cui attingere queste risorse (1,75 per l’esattezza). Ogni anno, l’istituto stabilisce qual è il giorno in cui cominciamo a consumare ciò che “non abbiamo”, che prende il nome di Earth Overshoot Day: il giorno del sovraconsumo; la data internazionale riconosciuta come quella in cui si esauriscono le risorse naturali sfruttabili per tutto l’anno.

Quest’anno l’Earth Overshoot Day è caduto il 28 luglio scorso, mentre l’anno prima coincise con il 29 luglio.

Quindi, il consumo “a debito” è ora più veloce e in Italia la velocità (e la voracità) è ancora maggiore, in quanto il giorno nefasto si è consumato addirittura il 15 maggio. Nel 2020, invece, a causa dello stop delle attività produttive per via del covid, l’Earth Overshoot Day fu il 22 di agosto.

Un countdown, in sostanza, che pone tutti davanti alla necessità di ripensare modelli sia di vita che produttivi. Perché le date di “non ritorno” vengono sempre più evidenziate per dare il senso, ed anche un ritmo diverso, alle scelte politiche necessarie a porre rimedio ad una situazione sempre più precaria.

Ovvio che le questioni sono molto complesse e la “transizione” (ecologica) è, come dice la parola stessa, un passaggio; che vuole decisione e risolutezza per avere effetto, ma di certo non ha bisogno di rigidità ideologiche da “muro contro muro”.

Correre, si, ma stabilendo modi, tempi e direzione per non incorrere in ipotesi “decrescitiste” dall’indubbio fascino, ma dalla scarsa capacità di contenere e controllare i problemi economico-sociali. Fondamentale, quindi, aumentare la percentuale di uso di energia rinnovabile (oggi a circa l’11% del totale), attraverso nuovi e copiosi investimenti, che al contempo vanno ridotti nel campo delle risorse energetiche fossili. Rendere le case smart, per diminuire le emissioni di gas serra.

Aumentare l’efficienza degli apparecchi refrigeranti che troppo spesso hanno perdite di gas fluorurati contenute negli apparecchi. Cambiare lo stile di vita alimentare (basti pensare a quanto inquinano gli allevamenti intensivi). Spingere sull’auto elettrica e sul trasporto sostenibile e alternativo soprattutto nelle città e altro ancora.

È facile intuire che tutto questo o ha valenza globale o rischia di essere poco incisivo (e qui entriamo nel campo degli interessi divergenti delle potenze economiche nel mondo, oltre che delle tensioni internazionali attuali).

Ma è altrettanto semplice intuire come ogni cambiamento ha dei riverberi nel mondo del lavoro che vanno valutati, accompagnati e se si può anticipati per garantire tenuta economica generale, ma anche al fine di non lasciare nessun indietro o ai margini di un mondo che cambia.

Si pensi, solo a titolo esemplificativo, alla conversione elettrica dell’auto, che ci pone incognite in termini di mantenimento (e se possibile, allargamento) della forza lavoro, nonché di indipendenza produttiva rispetto a tutta la filiera (basti pensare alla difficoltà di approvvigionamento dei semiconduttori).

C’è bisogno di decisioni politiche nette e importanti.

Ma c’è altrettanto bisogno di grossi investimenti soprattutto in campo scientifico.

E questo sarà realmente possibile solo se saremo in grado di mantenere livelli di crescita economica adeguati. Se è vero che il prodotto interno lordo non può essere l’unica base di ragionamento per prendere decisioni politiche, lo è altrettanto la constatazione che perdere di vista la crescita potrebbe essere ferale per ogni ipotesi di miglioramento reale, quanto inclusivo.

Il prossimo Earth Overshoot Day si sta già avvicinando. Cerchiamo di farlo coincidere almeno (per ora) con il Capodanno.

Raffaele Tedesco

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