La lotta delle mondine di Vercelli per la giornata di otto ore

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01.06.2023

Per la storia del lavoro, la conquista della giornata lavorativa di otto ore rappresenta un momento fondamentale. Uno straordinario successo per le organizzazioni politiche e sindacali che la sostenevano, non di rado a costo di immani sacrifici e spargimenti di sangue.

L’Italia di inizio Novecento è un paese in forte cambiamento. Il mondo del lavoro si presenta estremamente magmatico e con un proletariato industriale e bracciantile che versa in condizioni di vita molto difficili. 

“Dormo fra le pecore e li cani / pe’ fa’ magna’ l’agnelli e li romani”, raccontava uno stornello contadino dell’epoca. Parole che danno l’idea della vita miserabile di chi, come raccontava Vittorio Buttis rispetto alla sua esperienza in Puglia, “lavorava ogni dì pel suo padrone dall’alba fino al crepuscolo”. Un proletariato, riferisce Oddino Morgari, che versava “ovunque in uno stato terribile, con punte particolarmente acute in alcune zone del Meridione”. 

Ovviamente, non se la passava molto meglio chi lavorava in fabbrica, dove raramente la giornata lavorativa era inferiore alle 12 ore (con un regolamento del febbraio 1886 si era limitata la giornata lavorativa a 8 ore per i fanciulli dai 9 ai 12 anni e la durata notturna a 6 ore per i fanciulli dai 12 ai 15 anni) e la potestà del padrone era esercitata in maniera brutalmente autoritaria.

Parola d’ordine: Sciopero

All’alba del XX secolo, davanti all’asprezza di condizioni di vita e lavoro così intollerabili, lo “sciopero divenne la parola d’ordine in tutte le campagne e in tutte le città d’Italia”. 

Ovviamente, si chiedevano paghe più alte, tali almeno da garantire la sopravvivenza, nonché orari più bassi, per uscire dalla morsa del lavoro “dall’alba al tramonto”.

L’introduzione in Italia della giornata di otto ore venne sancita per legge nel 1919 per quanto riguarda il solo settore metallurgico. Una lotta che nel settore agricolo iniziò molto prima ed ebbe nella zona di Vercelli uno snodo fondamentale nella prima decade del ‘900.

Le mondine di Vercelli

In quel periodo, nelle campagne attorno a Vercelli, caratterizzate da terreni paludosi dove si coltivava riso, si stava verificando un forte cambiamento nella produzione agricola, improntata ora a sistemi di produzione capitalista, e dove rimanevano durissime le condizioni di lavoro delle mondine, addette alla coltivazione e alla raccolta del cereale. Un lavoro, per altro, segnato dal rischio di contrarre malattie endemiche come la malaria e la tubercolosi.

Compito delle mondine era quello di trapiantare le piantine vecchie con quelle nuove, togliendo le erbe infestanti. Non potevano interrompere il loro lavoro, che durava tra le dieci e le dodici ore al giorno, soprattutto tra maggio e luglio. 

Le risaie erano infestate da topi, bisce, sanguisughe e zanzare. Nonché rane, che spesso catturavano per consumarle come pasto la sera. Tutto il giorno nell’acqua, con conseguenze per gli arti facilmente immaginabili. 

Non di rado, molte lavoratrici provenivano da posti lontani come “stagionali” e vivevano in capannoni e cascine in disuso, dormendo su giacigli di legno e paglia e recandosi al lavoro a piedi, perché il costo del trasporto gli era spesso decurtato dal salario.

Il Regolamento Cantelli 

Già nel 1903, i Ministri dell’Interno e dell’Agricoltura emanarono un regolamento del lavoro nelle risaie, passato alla storia come “Regolamento Cantelli”. In esso era stabilito che bisognava “provvedere i lavoratori di buona acqua potabile e di ricoveri notturni sufficienti ed igienici; che i lavori non comincino prima di una ora dopo il levar del sole e cessino un’ora prima del tramonto; che non di abbiano ad impiegar ragazzi sotto i 13 anni; non permettere il lavoro nell’acqua se i lavoratori non sono calzati”. La giornata lavorativa, quindi, non si sarebbe dovuta protrarre oltre le otto ore. 

Fu questa la base delle lotte bracciantili, fatte di scioperi e repressioni durissime da parte delle forze dell’ordine e che portarono a ingiuste condanne da parte della magistratura. Lotte che ebbero buoni risultati in paesi del vercellese come Carisio, Tricerro e Lamporo, dove si conquistarono le otto ore.

Ma il “Regolamento Cantelli” non si applicava ancora ovunque, e importante fu la lotta delle mondine di Vercelli, che proseguirono a proclamare scioperi e a subire cariche delle forze dell’ordine, ma trovarono una forte solidarietà anche nei lavoratori di città, nei contadini e nei commercianti.   

Una conquista di civiltà e democrazia

Il primo giugno del 1906, a Vercelli la situazione si fa molto tesa. Scoppiano incidenti e, visto l’alzarsi la situazione che poteva portare a rivolgimenti imprevisti e drammatici, una parte degli agrari cedette alle richieste delle mondine, che ottennero così una paga oraria di 25 centesimi e la giornata lavorativa di otto ore, con la libertà per le squadre di scegliere se lavorarne fino a nove.

Fondamentale per la lotta di braccianti e contadini fu la figura dell’avvocato socialista Modesto Cugnolio, che difendeva i lavoratori dall’accusa di “attentato alla libertà del lavoro”: ovvero, per aver scioperato. 

La conquista delle mondine vercellesi sarà così un punto di riferimento per l’intero movimento operaio e contadino italiano. Una conquista di civiltà e democrazia in tempi difficili, dove combattere per i propri diritti voleva dire mettere a rischio la propria libertà e non di rado la vita.

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