Molestie all’adunata degli Alpini, coinvolte 150 donne

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12.05.2022

Monta il caso delle molestie all’adunata degli Alpini a Rimini. L’associazione “Non una di meno” sta raccogliendo, via Instagram, le testimonianze di numerosissime donne che hanno subìto molestie da parte dei partecipanti all’adunata. E si parla già di 150 donne che raccontano episodi di violenza di cui sono state vittime in quei giorni.

Cat-calling, prepotenze, stalking, insulti sessisti, palpeggi. Partito da Rimini la scorsa settimana, il caso è finito all’attenzione dei media e delle Istituzioni. Sui fatti che coinvolgono il corpo degli Alpini si stanno già muovendo le attiviste dell’associazione di tutela delle donne come “Non una di meno”, con il supporto e il sostegno di “DiRe” e dei Centri Antiviolenza. L’impegno è quello di fare luce sull’accaduto, sostenere e tutelare tutte le donne coinvolte e offese da comportamenti violenti e accendere i riflettori su una piaga sociale che ci coinvolge ogni giorno: la violenza contro le donne.

LA VIOLENZA SULLE DONNE SI NASCONDE OVUNQUE

È tra noi. La leggiamo, la ascoltiamo, la viviamo ovunque. Non solo sui giornali, ma a casa dei vicini, nei bar, per strada, sul posto di lavoro. È l’esperienza dell’amica, della vicina, della collega.

La violenza sulle donne non è rappresentata solo dai femminicidi, che pure sono diventati un bollettino di guerra costante (25 femminicidi in 5 mesi). È violenza sproloquiare insulti sessisti per strada. È violenza umiliare le ragazzine per una gonna troppo corta (?).

È violenza palpeggiare sugli autobus, fare allusioni spinte, avvicinarsi con insistenza nonostante palesi rifiuti. È violenza insultare, offendere, seguire, sminuire.

È violenza anche pensare di poter trattare le donne come “cose” a cui non dovere rispetto e non come persone.

L’eco che stanno generando fatti come quelli di Rimini è importantissima. Bisogna fortemente e caparbiamente lavorare sulla diffusione della cultura del rispetto delle donne, dell’uguaglianza, dell’amore verso il genere umano.

Rompere il silenzio è il primo passo. Quello più importante. Troppe volte le donne che subiscono violenze chiudono l’umiliazione in sé stesse, perché avvilite non solo dal trauma subito, ma soprattutto dalla paura del giudizio o dal timore di non essere credute. Vittime due volte: dell’atto violento e della cultura generale ancora piena zeppa di stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni che vedono la donna “inferiore”. Il “gentil sesso”, dove gentile non è un complimento ma sinonimo di debolezza.

COSA FA IL SINDACATO

Anche la Uil è impegnata in questo processo di rinnovamento e di diffusione di una cultura nuova. Un nuovo approccio capace di sradicare concezioni patriarcali figlie di una storia sbagliata che non può riconoscersi nel nostro quotidiano e ancor più nel futuro. Lo fa con la contrattazione, nelle riflessioni e nelle proposte per migliorare le politiche di genere. Lo fa lottando per garantire le pari opportunità nei luoghi di lavoro. Lo fa con i Centri di ascolto per mobbing e stalking.

Proprio ieri si è svolta l’Assemblea Nazionale del coordinamento UIL per le pari opportunità e le politiche di genere che ha toccato anche questi argomenti.  Colmare i gap salariali (il cosiddetto gender pay gap), tecnologici, culturali è una priorità sociale ed economica. Cambiare il verso di queste spirali negative può cambiare anche la percezione distorta della donna che porta alla violenza. Per colpire le disuguaglianze e puntare alla crescita e allo sviluppo del Paese, in senso etico, morale ed economico. 

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