Fermare la fuga dei medici all’estero. Le proposte della UIL
31.05.2024
Da tempo la UIL sottolinea al Governo come siano anni ormai che il numero di contratti di formazione specialistica risulta inferiore rispetto a quanto richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni e dai reali bisogni per la tutela della salute.
Dal 2019 al 2021, sono andati all’estero 21.397 medici, fra i quali 14.341 specialisti (esclusi quelli partiti per motivi di studio).
Secondo una recente proiezione, al termine del 2024 saranno circa 30.000 i camici bianchi che potrebbero scegliere di andare lasciare il nostro Paese. A questi si sommano i circa 1.500-1700 giovani medici italiani che vanno a specializzarsi all’estero ogni anno, per poi non tornare in Italia.
La mancanza dei fondi per la sanità
Dobbiamo partire dalla constatazione che esiste un grosso deficit di finanziamento: sono anni che non vengono stanziate le risorse necessarie per far fronte alle richieste delle regioni e finanziare la formazione specialistica.
Come Uil ci siamo soffermati ad analizzare l’imbuto formativo, cioè il differenziale tra il numero di contratti di formazione specialistica a disposizione e il numero di candidati che rimangono nel limbo formativo, o i medici neo-abilitati che provano il test per la prima volta o medici che non sono entrati nelle scuole di specializzazione negli anni precedenti. Ebbene guardando i numeri ci si rende conto di quanto faticoso sia e quanta dispersione di medici specialisti ci sia.
I dati prodotti dalla ALS 2023 (associazione specializzandi) raccontano che il numero di contratti di medicina di emergenza–urgenza non assegnati rappresentano il 76% dei posti sul bando. Ciò si traduce, solo nel 2023, in 128 specializzandi d’emergenza – urgenza in meno, senza contare che molti, pur iniziando la specializzazione, abbandonano durante gli anni.
Utilizzando questi dati e facendo una proiezione, significa che tra 5 anni il rapporto sarà di 1 specialista di Medicina emergenza-urgenza ogni 125 mila abitanti. Ci chiediamo dunque chi lavorerà nei nostri pronto soccorsi?
Ma l’imbuto formativo non è la sola causa della fuga dei neo-medici.
Troppa burocrazia
Un altro problema è legato all’ impostazione burocratica e legislativa della specializzazione. In Inghilterra, per esempio, esiste un curriculum formativo di 350 pagine per ogni disciplina medica, ed è necessario per specializzarsi, per iniziare un tirocinio che è comunque retribuito. In Italia tutti gli obiettivi formativi delle scuole di specializzazione sono racchiusi nello stesso decreto. E quel decreto dedica due pagine di obiettivi generici per ogni specializzazione.
È necessario aprire una vera riflessione sulla formazione specialistica dei medici in questo Paese e sfruttare al massimo il potenziale delle reti formative, ragionando su soluzioni che non siano “toppe” ma percorsi strutturati. Non basta prevedere l’assunzione degli specializzandi dell’ultimo anno, con il rischio di scaricare grosse responsabilità su chi ancora deve ultimare la formazione.
Invece, serve capire come creare una rete e favorire l’appetibilità del SSN tra i medici strutturati e i giovani medici.
Valorizzare le carriere
Per farlo, sicuramente il primo tassello è agire sul CCNL, con un investimento che riconosca remunerazioni più alte al pari dei paesi Europei, una riscrittura dell’orario di lavoro di alcuni istituti quali il servizio di guardia e il servizio di pronta disponibilità. Poi, bisognerebbe agire sulle condizioni di lavoro e valorizzare le carriere attraverso il riconoscimento e l’attribuzione degli incarichi.
Il Governo non può pensare di fare restare i “nuovi e vecchi medici” nei reparti di emergenza-urgenza aumentando il compenso dell’orario aggiuntivo.
Servono risorse per il FSN, per la formazione e per l’innovazione che va potenziata o il nostro Paese perderà tutti i suoi talenti.
Servizio Politiche Sociali e Welfare, Sanità, Mezzogiorno, Immigrazione
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