Lo Smart working in Italia

4' di lettura
Mi piace!
0%
Sono perplesso
0%
È triste
0%
Mi fa arrabbiare
0%
È fantastico!!!
0%

02.08.2023

Prima di tutto iniziamo con un esperimento. Prendiamo circa 300 lavoratori sparsi in 11 diverse aziende e per 6 mesi chiediamo loro di lavorare in smart working per 2/3 giorni a settimana. Risultato? Le poche persone hanno risparmiato 700mila chilometri di spostamenti (circa 17 volte il giro del pianeta solo per andare a lavorare) e hanno evitato di buttare nel pianeta CO2 pari a quella assorbita da 32 ettari di foresta in un anno. Ecco, questo esperimento è stato organizzato da Stantec in Emilia, una multinazionale canadese, che da ben prima del Covid sta ragionando sull’impatto positivo del lavoro da casa, arrivando a mettere addirittura a punto un algoritmo che calcolasse i vantaggi immediati per tutti.

Lo Smart Working dopo il Covid

Eppure, passata l’emergenza le cose hanno preso una piega diversa. Nel 2022 circa 3,6 milioni di persone hanno operato in smart, un crollo di 500mila addetti rispetto al 2021, durante la pandemia erano 7 milioni a lavorare a distanza. È come se le imprese italiane non riuscissero a sganciarsi dall’idea da Anni 50 che il lavoratore debba essere messo sotto controllo mentre il legislatore di fatto poco alla volta ha mollato il tema per strada.

Certo ci sono alcuni problemi da risolvere, anche all’interno delle aziende, una sfida anche per il sindacato. Spesso i costi del lavoro da casa vengono scaricati sul lavoratore “privilegiato”. Spesso chi non può usufruire dello smart per la natura del proprio lavoro si sente escluso dalla soluzione offerta agli altri colleghi. Su questo anche in aziende strutturate e importanti sono nate delle conflittualità tra lavoratori.

Settimana lavorativa di 4 giorni

In verità ci sarebbe una soluzione anche per loro. Anche qui partiamo da un esperimento. Regno Unito, giugno 2022: qualcosa come 61 aziende (dal tech al manifatturiero) per 2.900 lavoratori britannici hanno aderito al più grande test del mondo sulla settimana lavorativa di 4 giorni (34 ore/settimana di media) a parità di salario, da provare nei 6 mesi successivi. La produttività è scesa? Dopo 6 mesi di esperimento la risposta è no. La vita privata è migliorata? La risposta è sì, parecchio, portando benefici anche alle imprese, tanto che 56 imprese delle 61 dell’esperimento continueranno con questa organizzazione di loro iniziativa.

La produttività italiana

Fino a qui tutto bene, fino a che non si fanno i conti con il sistema Italia. Ci sono delle specificità con cui bisogna fare i conti e le cose si complicano. La produttività italiana da decenni è un problema, sempre sotto alla media UE. I fattori sono tanti (spesso a chi fa comodo punta il dito sui lavoratori) ma il nostro è un Paese dove non spicchiamo per investimenti su digitale e tecnologie (tanto che stiamo arrivando lunghissimi rispetto alla grande transizione ormai in corso).

Le imprese italiane sono incapaci di investire, parliamo di una miriade di piccole e piccolissime aziende, una mentalità che scarica sul lavoro i margini di profitto. Prendiamo atto a esempio che il gruppo bancario Intesa Sanpaolo vuole avviare la riduzione a 4 giorni lavorativi a parità di salario ma si tratta di decisioni marginali. Perché nel nostro Paese non è il tipo di modello di impresa dominante, anzi, proprio il contrario. E se vogliamo essere un po’ pignoli, lo stesso gruppo bancario ha chiesto di portare a 9 ore quotidiane il lavoro nei restanti 4 giorni, quindi comunque 36 ore di media lavorativa.

L’approccio delle imprese al lavoro

L’Italia è il Paese dove i salari negli ultimi 30 anni sono scesi, unico caso in tutta l’Unione Europea, con una contrazione del 2,9% mentre si registra un aumento dei costi della vita. Per cui il ricorso allo straordinario (l’esatto contrario della riduzione della settimana lavorativa) è vitale per milioni di lavoratori per sopravvivere, persone che si trovano a lavorare a meno di  800 euro netti al mese per 40 ore lavorate (alla pari di un sussidio sociale di alcuni paesi europei).

Il guaio è che in Italia da tempo l’approccio al tema lavoro da parte delle imprese non è sano e quindi diventa complicato trovare una soluzione sana, come la riduzione dell’orario di lavoro, per il futuro dei lavoratori. Uno stallo che porta il Paese in una situazione che ormai sta mostrando tutti i suoi limiti e che pone al sindacato una sfida immane.

Francesco Leitner, Uil Milano e Lombardia

Articoli Correlati