LE STRUTTURE RESIDENZIALI SOCIO-ASSISTENZIALI E SOCIO-SANITARIE NEL NOSTRO PAESE

8' di lettura
Mi piace!
100%
Sono perplesso
0%
È triste
0%
Mi fa arrabbiare
0%
È fantastico!!!
0%

29.11.2022

La storia dell’assistenza alle persone fragili nel nostro Paese è lunga e viene da lontano, già prima delle organizzazioni di beneficienza (Opere Pie) disciplinate dalla legge del 1862 cd. “Rattazzi”, esistevano azioni pubbliche di sostegno agli infermi, ai poveri e fornivano assistenza ai figli dei caduti in guerra.

Dobbiamo attendere la prima metà degli anni ’90, durante i quali, si concretizzano diversi passaggi legislativi per avere una maggiore definizione delle Strutture Residenziali Socio-Assistenziali e Socio-Sanitarie sanitarie. Con la Legge Finanziaria n. 67 del 1988 (art.20), si avvia un piano di investimenti sanitari per la realizzazione sul territorio nazionale di 140.000 posti in strutture residenziali, per anziani che non possono essere assistiti a domicilio e che richiedono trattamenti continui. La stessa legge da forza ad un approccio integrato con il sociale, la cui centralità è preservare le capacità e l’autonomia delle persone attraverso la prevenzione e la riabilitazione.

Occorre distinguere: le Strutture Residenziali Sociosanitarie assistono prevalentemente utenti anziani non autosufficienti, destinando a questa categoria di ospiti il 75% dei posti letto disponibili, mentre agli anziani autosufficienti e alle persone con disabilità sono destinati, rispettivamente, il 9%  ed il 7% dei posti letto; le Strutture  socioassistenziali forniscono prevalentemente accoglienza e tutela a persone con varie forme di disagio: il 41% dei posti letto è indirizzata all’accoglienza abitativa, il 39% alla funzione socioeducativa che ospita principalmente minori di 18 anni.

L’ISTAT con il rapporto diffuso il 21 novembre u.s., mette in evidenza come al 31 dicembre 2020, le Strutture residenziali attive nel nostro Paese sono 12.630, con un’offerta di circa 412mila posti letto, sette ogni mille persone residenti. L’offerta è maggiore nel Nord-est, con 9,9 posti letto ogni 1.000 residenti, mentre nel Sud del Paese supera di poco i tre posti, con appena il 10% dei posti letto complessivi.

Gli ospiti totali al 31 dicembre 2020 sono 342.361, il 75% degli ospiti sono ultrasessantacinquenni, il 20% ha un’età tra i 18 e 64 anni e il restante 5% è composto da minori.

Gli anziani nelle strutture

Sono oltre 255mila gli anziani ultra-sessantaquattrenni ospiti delle strutture residenziali, poco più di 18 per 1.000 anziani residenti; di questi, oltre 14 sono in condizione di non autosufficienza (per un totale di 202.174 anziani non autosufficienti).

La componente femminile prevale nettamente su quella maschile: su quattro ospiti anziani, tre sono donne.

Oltre i due terzi degli anziani assistiti nelle strutture residenziali (76%) ha superato la soglia degli 80 anni di età, quota che si attesta al 77% per i non autosufficienti e si riduce al 70% per gli anziani autosufficienti. Gli ultraottantenni costituiscono quindi la quota preponderante degli ospiti anziani, con un tasso di ricovero pari a 63 ospiti per 1.000 residenti, oltre 14 volte superiore a quello registrato per gli anziani con meno di 75 anni di età, per i quali il tasso si riduce a 4,4 ricoverati per 1.000 residenti.

Il ricorso all’istituzionalizzazione è più forte nelle regioni del Nord-est il cui tasso di ricovero si attesta ai livelli più alti con 28 ospiti per 1.000 anziani residenti e raggiunge valori massimi nelle Province Autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente 34 e 36 per 1.000 abitanti di pari età). Le regioni del Sud presentano un livello di istituzionalizzazione più basso: otto ogni 1.000 anziani residenti.

La situazione che riguarda i minori

Al 31 dicembre 2020, gli ospiti complessivamente accolti nelle strutture residenziali sono 18.772, e rappresentano il 2‰ dell’intera popolazione minorenne in Italia.

Le strutture residenziali ospitano ragazzi con problematiche di varia natura, che provengono da contesti molto diversi: la maggior parte (il 52%) non presenta specifici problemi di salute, si tratta prevalentemente di minori stranieri privi di una figura parentale di riferimento o di ragazzi allontanati da un nucleo familiare non in grado di assicurare loro adeguata cura.

Un terzo degli ospiti invece è composto da giovani con problemi di dipendenza che hanno intrapreso un percorso riabilitativo, mentre la quota residua, il 16% degli ospiti, è costituita da minori con problemi di salute mentale o con disabilità che necessitano di specifiche cure o assistenza. Qualunque sia il tipo di disagio, la componente femminile risulta più contenuta, due ragazzi accolti su tre sono maschi; tale proporzione, in linea con la composizione per genere dei flussi migratori, aumenta tra i minori stranieri.

Tra il 2015 e il 2020 i bambini e i ragazzi ospitati sono diminuiti di 2.300 unità. Si è ridotta la presenza dei minori stranieri che ha sempre rappresentato una quota consistente degli ospiti minori: nel 2015 i minori stranieri rappresentavano il 46% del totale degli ospiti di pari età, nel 2020 tale percentuale è scesa al 39%.

Nel 2020, più di un terzo gli ospiti con meno di 18 anni sono stati accolti per problemi economici, incapacità educativa o problemi psico-fisici dei genitori. Una percentuale rilevante (23%) è rappresentata invece da minori accolti con il proprio genitore. Gli ospiti con meno di 18 anni sono in prevalenza adolescenti: il 60% ha infatti un’età compresa tra gli 11 e 17 anni; altrettanto cospicua la quota di bambini con meno di 11 anni, che si attesta al 40%, tra questi i più piccoli, i bambini con meno di cinque anni, costituiscono il 23% degli ospiti complessivi.

L’accoglienza dei minori in strutture residenziali risulta più diffusa nei territori in cui è più alto il numero di giovani “stranieri non accompagnati” come accade per esempio in Sicilia, dove si registra un tasso di presenza quasi doppio rispetto al dato medio nazionale. Il Sud ha invece la quota più bassa di minori accolti, poco più di un minore per ogni 1.000 residenti nella stessa fascia di età, contro i due del dato medio nazionale. Nelle altre aree del paese si riscontra una distribuzione abbastanza omogenea dei giovani ospiti.

La permanenza dei minorenni nelle strutture di accoglienza dipende dagli obiettivi presenti nel progetto che i servizi sociali elaborano, in genere non dovrebbe superare i 24 mesi salvo eventuali proroghe disposte dal tribunale per i minori per casi particolari. Nel 2020, tre minori su quattro sono stati ospitati per meno di due anni; tra coloro che sono rimasti per un periodo superiore, l’8,5% ha una permanenza di oltre quattro anni. Queste lunghe permanenze potrebbero riguardare situazioni di maggiore vulnerabilità che non riescono a trovare una soluzione prima del compimento della maggiore età.

Nelle due casistiche di assistenza (anziani e minori), il Nord si distingue per servizi fortemente concentrati sugli anziani non autosufficienti, il doppio rispetto al Mezzogiorno; il Centro ha una quota maggiore, rispetto al dato nazionale, di posti letto per anziani autosufficienti e per adulti con disagio sociale. Al Sud, invece, si trova una quota maggiore di posti letto dedicati a persone con disabilità o con patologie psichiatriche. Nelle Isole, infine, si riscontra un livello di offerta maggiore per minori e persone con patologie psichiatriche, pari al doppio della media nazionale, e agli stranieri/immigrati, sei volte maggiore rispetto alla media

Chi si occupa delle strutture residenziali?

La titolarità delle strutture residenziali è in carico a Enti non Profit nel 44% dei casi, a enti pubblici nel 20%, a enti privati for profit in circa il 24% dei casi e nel 12% a enti religiosi. Nell’88% delle residenze sono i titolari a gestire direttamente le strutture, mentre nel 10% i titolari danno in gestione le loro strutture ad altri enti; il 2% viene gestito in forma mista.

I comportamenti dei titolari sono diversificati sul territorio, soprattutto per quanto concerne la gestione delle strutture pubbliche. Infatti, al Nord sette strutture pubbliche su 10 sono gestite direttamente o indirettamente da enti pubblici, il 26% da enti non profit. La percentuale di strutture pubbliche gestite da enti non profit è molto più alta sia al Centro (41%) che nel Mezzogiorno (36%). Riguardo le strutture che hanno un altro ente titolare si riscontra una preferenza, su tutto il territorio, verso una gestione diretta o affidata a enti con la stessa natura giuridica. Nel 4% dei casi le strutture profit del Nord affidano la gestione a imprese non profit, quota che scende a meno dell’1% nelle altre ripartizioni.

Nei 12.630 presidi residenziali, nel 2020, risultano impiegati 343.497 lavoratori in varie attività, ai quali vanno aggiunti oltre 35mila volontari.

Il personale sanitario, organizzato in otto qualifiche professionali, rappresenta più del 63,8% della forza lavoro impegnata all’interno delle strutture residenziali. Poco più del 57% si concentra in tre qualifiche professionali, di cui oltre 118mila sono assistenti sociosanitari (34,4% del totale del personale retribuito). Le altre due principali figure sono: altri addetti assistenza alla persona (38.827, pari all’11,3%) e professioni sanitarie infermieristiche (39.107; 11,4%).

L’Organizzazione del lavoro da parte del personale

Per quanto concerne l’orario di lavoro, nella sua organizzazione il settore fa largo uso del part time. A essere impiegati con un regime di orario a tempo pieno sono infatti solo il 58% dei dipendenti.

Le differenze sono però significative guardando le singole professioni. La quota di part time oscilla tra un minimo del 28% tra gli operatori sociosanitari (28,0%) e un massimo del 78,2% tra i mediatori culturali. All’interno di questa forbice emerge in modo evidente che le figure professionali addette alla gestione della struttura e all’assistenza diretta dell’ospite sono quelle che più frequentemente hanno un orario di lavoro a tempo pieno. Al contrario, i professionisti sociosanitari, il personale addetto alla riabilitazione o alla formazione e i mediatori sono quelli che, rispondendo a bisogni specifici e in alcuni casi temporanei, lavorano più frequentemente in regime di part time.

Migliorare le strutture per anziani

I dati riportati dall’ Istat confermano, ancora una volta, quanto è urgente intervenire su questi presidi assistenziali riformandone alle fondamenta, sia gli standard funzionali che organizzativi. Una complessità, che va dalla innovazione e ottimizzazione delle strutture, alla formazione del personale, alle condizioni di lavoro e alla valorizzazione dei professionisti che vi operano. Costruire quindi, un nuovo modello di assistenza residenziale, più flessibile e aperto a garanzia di una migliore assistenza ad una popolazione anziana non autosufficiente e non solo. Un modello sanitario e sociosanitario che va ricondotto e affrontato all’interno del nuovo modello di assistenza sanitaria e sociosanitaria territoriale futura dei progetti e degli investimenti del PNRR.

Dipartimento UIL Politiche di Cittadinanza del Sociale e del Welfare

Articoli Correlati