Lavoro stagionale

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11.08.2022

Con l’arrivo della bella stagione, in Italia si aprono lidi, si sistemano in spiaggia migliaia di ombrelloni, si riorganizzano imprese di ristorazione, recettive e ricreative in un vortice di attività che si definiscono “stagionali”.

Si parla di lavoro stagionale quando un’attività lavorativa si svolge in un determinato periodo dell’anno e manca il carattere della continuità.

Tutto, quindi, è concepito più sul “breve periodo”, tentando di massimizzare il più possibile quei mesi estivi, che coincidono in linea di massima con il periodo di ferie di italiani e stranieri, i quali affollano il litorale come le montagne del Bel Paese, senza contare l’affluenza nelle città d’arte.

Quella di cui stiamo parlando è certamente una macchina potente e complessa, che per funzionare bene (e per bene, intendiamo virtuosamente per tutti) ha bisogno di una serie di fattori. Il lavoro di migliaia di persone ne è, ovviamente, parte fondamentale. Le braccia di camerieri e baristi; di “spiaggini” e bagnini, di cuochi e aiuto cuochi; di receptionist che sanno quattro lingue come di organizzatori del divertimento e visite guidate. Ma l’elenco è lunghissimo (tra i lavori stagionali c’è ovviamente anche l’agricoltura, ma per ora ci fermiamo a delle considerazioni sul settore terziario).

Eppure, anche quest’anno, e non solo in Italia si parla – con un linguaggio mediatico – di “emergenza stagionale”: ovvero, si discute sulla mancanza di lavoratori e lavoratrici stagionali, persone impiegate in lavori legati alla bella stagione, dalla ristorazione ai servizi alberghieri e turistici.

 Federalberghi, ha stimato che quest’anno manchino 300mila lavoratori, rispetto alle esigenze del settore.

Di questi, circa un terzo sono camerieri, mentre i restanti sono cuochi, baristi, receptionist, animatori turistici e agenti di viaggio. Tanto che anche Gardaland, che ha comunicato la chiusura anticipata di 13 attrazioni nella fascia serale (19-23), a causa di mancanza di persone da impiegare all’assistenza, si è trovata in difficoltà. Questa discussione, poi, si è saldata con la polemica sul Reddito di cittadinanza (RdC), ritenuto da qualcuno un disincentivo rispetto alla scelta di andare a lavorare. Eppure, i dati Inps mostrano una fotografia diversa, perché le assunzioni di lavoratori stagionali risultano aumentate negli ultimi due anni.

Forse, invece di generalizzare sulla presunta voglia di divano dei giovani, sarebbe il caso di andare a verificare le motivazioni che stanno dietro questa mancanza di manodopera.

Probabilmente legate alle condizioni in cui si svolge la prestazione di lavoro.

Stiamo parlando di paghe inadeguate, turni, riposi, tipologie contrattuali applicate (se non di totale lavoro in nero), orario effettivo di lavoro, possibilità di conciliazione lavoro/famiglia, permessi, lavoro notturno non pagato per quanto dovuto.

Intanto, è utile ricordare che anche in Paesi dove non c’è il RdC si fa fatica a trovare personale. Nel caso dell’Italia, invece, è giusto sottolineare che il reddito di cittadinanza medio percepito è di circa 580 euro. Una somma che se è in grado di dissuadere una persona dall’andare a lavorare in una cucina, vuol dire che la dissuasione è prima di tutto nel salario promesso piuttosto che di quello garantito da un ammortizzatore sociale, oltre che nelle condizioni generali di lavoro.

Scarsa remunerazione, precarietà e grande fatica sono tra le caratteristiche principali del lavoro stagionale. È per tale motivo che, oltre alla necessità di fare di più sul piano dei controlli da parte dell’Ispettorato del lavoro (nell’ultimo report disponibile, risalente al 2020, l’Ispettorato ha eseguito 9408 controlli a fronte di irregolarità presenti nel 73,4% dei casi!), è giunto il momento di fare una riflessione più complessa sul fenomeno della stagionalità, tirando fuori il lavoratore da un sistema dove appare troppo spesso come una spugna da strizzare e non solo perché fa caldo.

Il lavoro senza qualità diventa inevitabilmente solo fatica e sulla qualità del lavoro si può e si deve intervenire.

Inoltre diciamo anche che gli interventi sulla qualità del lavoro rappresentano una complessa sfida tecnica, organizzativa e normativa.

Oltre, quindi, a norme e controlli stringenti per prevenire e reprimere abusi, c’è una sfida che potremmo definire anche di mentalità (la prima, e più difficile, è far comprendere agli imprenditori che risparmiare sui lavoratori è per le loro tasche “utile” oggi, ma improduttivo domani), soprattutto dopo l’avvento della pandemia, che ha cambiato per sempre le priorità delle persone, con una maggiore attenzione alla conciliazione virtuosa tra tempo di lavoro e vita privata.

In termini pratici, per esempio, agire già sui turni sarebbe un passo avanti. In molti lavori stagionali vige il sistema di orario di lavoro giornaliero “spezzato” tra turno di mattina e sera, che vuol dire oggi essere a disposizione tutto il giorno, senza possibilità, in quelle poche ore di riposo, di riuscire realmente a fare “altro”.  Non di rado, manca anche il giorno di riposo e questo rende impossibile godere un minimo degli affetti familiari almeno una volta a settimana.

C’è un segnale di riduzione dell’offerta di lavoro stagionale da parte degli adulti, e questo può riferirsi presumibilmente con quanto appena detto: alla difficoltà, oggi avvertita più che nel passato, di costruire intorno alle professionalità tipicamente spendibili nel settore adeguati progetti di vita. E – come sottolineato da Bruno Anastasia, Maurizio Gambuzza e Maurizio Rasera in un articolo su “Lavoce.info” – bisogna anche «tener conto che la domanda di lavoro può crescere non solo in funzione dell’incremento dei turisti, ma anche dell’innalzamento (necessario) della qualità dei servizi offerti».

Il fenomeno della scarsità di offerta di lavoro nel settore terziario/turistico appare quindi legata molto a dinamiche osservate negli Usa con riguardo alla cosiddetta “Great Resignation”: ovvero, l’abbandono volontario del lavoro, il quale trova la sua ragione in condizioni di lavorative non ritenute adeguate rispetto alle esigenze della persona.

La pandemia ha esasperato la dinamica delle trasformazioni del lavoro, evidenziando con ancora maggiore chiarezza la fragilità di un sistema di lavori senza qualità. Porre rimedio significa concretamente, e non solo a parole, rimettere il lavoro al centro della società.

Raffaele Tedesco

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