L’Autunno caldo e la lotta unitaria dei metalmeccanici per il Contratto

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21.12.2023

Era il 21 dicembre del 1969, quando l’allora ministro del lavoro, Carlo Donat Cattin, si presenta in televisione, rivolgendosi all’Italia intera. Lo fa in un contesto che fino ad allora non era proprio dell’Esecutivo, perché il ministro va a spiegare il contenuto dell’accordo appena raggiunto dalle parti sociali sul rinnovo del Contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici del settore privato. Una vicenda che ha visto per la prima volta in età repubblicana l’intervento del Governo al fine di trovare un accordo.

Gli industriali non la presero bene, ma la scelta del ministro fu dettata non solo da un interesse che, visto il numero dei lavoratori e l’importanza dei settori industriali coinvolti, travalicava quello delle sole parti in causa, diventando quindi generale, ma ci fu una precisa scelta di schierarsi con la parte più debole: i lavoratori.

In circa settant’anni eravamo così passati dalle “cannonate di Stato” di Bava Beccaris, benedette dal Re Umberto I, che uccidevano i proletari, a un intervento di tutt’altro spessore, volto non solo a comporre un conflitto, ma a dare al lavoratore la possibilità di fare sindacato in fabbrica in maniera non clandestina. Ciò – nelle intenzioni del Ministro – avrebbe portato benefici anche alla vita democratica italiana nel suo complesso.

«La conclusione della vertenza per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici dipendenti dalle aziende private – dichiarò Donat Cattin – giunge proprio allo scadere dell’autunno, anzi il primo giorno d’inverno e chiude un ciclo […]; chiude questo autunno combattuto, molto vivace».

L’Autunno caldo

L’autunno vivace menzionato è passato alla storia come “Autunno caldo” (espressione coniata dal socialista Francesco De Martino), proprio per la spinta rivendicativa del sindacato durante i rinnovi contrattuali. Una moto enorme, che ha portato nelle strade e nelle piazze italiane milioni di lavoratori.

Scioperi e manifestazioni che non furono un’esplosione di collera completamente senza preavviso. Già nel 1967 e nei primi mesi del ’68 si verificarono grosse mobilitazioni alla Fiat, all’Olivetti, all’Innocenti, alle acciaierie Falck, come all’Italsider, alla Dalmine, alla Zoppas, all’ Indesit e al Petrolchimico di Marghera.

Il movimento sindacale italiano, qualche tempo prima, aveva riportato dei successi importanti sul versante delle pensioni e delle “zone salariali”. Questo permetteva ai Sindacati confederali di marcare la linea rispetto allo spontaneismo operaio sui luoghi di lavoro, troppo spesso di marca massimalista, che non poco consenso trovava nella base operaia.

Di tutta questa vicenda, il CCNL dei metalmeccanici rappresenta sicuramente uno dei momenti culminanti e ciò non solo perché l’industria (pubblica e privata) era la spina dorsale della produzione nazionale. Infatti, è proprio dalle federazioni delle tute blu (FIOM, FIM e UILM) che arrivano quasi contemporaneamente forti segnali non solo di cambiamento, ma anche di unità d’azione.

La contestazione operaia contro l’autoritarismo nelle fabbriche

Nelle fabbriche si contestava l’autoritarismo nell’organizzazione del lavoro. Forte era la spinta egualitaria che proveniva dalla base, mossa dall’idea-forza di conquistare il rispetto per la propria dignità come persone prima ancora che come operai. Non a caso, aumenta la sensibilità di un’intera classe nei confronti della rivendicazione di maggior la difesa dell’integrità fisica del lavoratore.

Non è inutile ricordare come, tra il 1968 e il 1969, si perpetrassero nel nostro Paese eccidi di lavoratori che manifestavano per i propri diritti. Il 2 dicembre 1968 ad Avola muoiono due braccianti. Due lavoratori sono uccisi invece a Battipaglia il 9 aprile 1969.

Il mondo del lavoro viene ancora intimidito e represso. In questo contesto di forti tensioni, il contratto metalmeccanico non rappresenta solo la prova della forza del movimento sindacale, ma è un vero cambio di marcia e non solo in termini salariali.

Cosa prevedeva il contratto

Se infatti gli aumenti in busta paga sono considerevoli (13.500 lire al mese su base egualitaria), viene raggiunta la parità di trattamento tra impiegati/operai e si conquista la progressiva riduzione dell’orario di lavoro (che nel 1972 arriverà a 40 ore settimanali). Insieme alla parità di trattamento tra impiegati e operai in fatto di assistenza per malattia e infortunio, nel contratto c’è il primo riconoscimento del Sindacato in fabbrica. È un passo avanti verso una matura democrazia sindacale, perché le tute blu potranno riunirsi in assemblea, così come potranno fare i loro rappresentanti durante le ore di lavoro retribuite dall’azienda.

Intanto, al Senato, il 2 dicembre dello stesso anno,  si era aperto il dibattito sullo Statuto dei lavoratori, che verrà approvato dall’assemblea di Palazzo Madama il 12 dicembre successivo.

La Costituzione entrerà in fabbrica nel giugno del 1970 grazie anche alla spinta poderosa del movimento operaio in quell’Autunno caldo.

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