La sfida dell’elettrico nel settore dell’auto si può vincere

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16.02.2023

Forse non tutti lo sanno: l’automobile nasce elettrica. Era il 1867 e veniva presentato all’Esposizione Universale di Parigi dall’inventore austriaco Franz Kavogl il primo veicolo a trazione elettrica. In Italia è il conte Giuseppe Carli di Castelnuovo Garfagnana, insieme all’ingegner Francesco Boggio, a realizzare la prima auto elettrica tricolore, siamo nel 1891.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento le automobili alimentate con accumulatori al piombo acido iniziarono a percorrere le polverose vie dei parchi cittadini sotto gli occhi curiosi della gente e sotto quelli più allarmati delle forze dell’ordine. Le limitate prestazioni non rallentavano certo la crescita di un mercato che aveva fame di velocità.  La stessa fame che portò successivamente al motore a scoppio e decretò la fine di quello elettrico.


Se pensiamo al dibattito di questi giorni sullo stop alla produzione del motore endotermico nel 2035, voluto dall’Unione europea, e al fatto che nel primo decennio del Novecento negli Stati Uniti un terzo dei veicoli circolanti era elettrico, ci rendiamo conto che bisognerebbe forse tornare indietro nel tempo per andare nel futuro. E invece no, i nostri politici vogliono restare inchiodati al presente pur di non programmare la transizione ecologica e digitale, pur di non fare scelte coraggiose, ma necessarie. La differenza tra loro e il sindacato è evidente ancora una volta: noi affrontiamo le questioni, noi restiamo ancorati alla realtà perché sappiamo che solo prendendo atto della trasformazione in corso possiamo lottare davvero per i lavoratori, cercare le soluzioni migliori e assicurare un futuro al nostro Paese.


Lo scorso ottobre al Congresso della Uilm Nazionale è stata presentata una ricerca proprio su questo tema, commissionata a Està, Ente di ricerca non profit che si occupa di economia e sostenibilità. Il report ha evidenziato un dato importante: la transizione ecologica e digitale impatterà notevolmente sul settore dell’automotive mettendo a rischio fino a 120mila posti di lavoro, in particolare parliamo di lavoratori in aziende che producono componentistica per auto (Secondo Anfia circa 900). Se non ci sarà programmazione, se non ci sarà formazione, se non si metterà in atto una politica industriale in grado di accompagnare il cambiamento sarà un vero disastro sul piano sociale e occupazionale.
Ma cosa si può fare nel concreto? Intanto noi siamo convinti che occorra aumentare i salari e il potere di acquisto dei lavoratori per innescare un circolo virtuoso e risollevare la nostra economia. Dobbiamo invertire un trend italiano che non va di pari passo con il resto d’Europa, anzi. Negli ultimi 30 anni i salari in Italia sono aumentati dello 0,3%. Allo stesso tempo in Germania e Francia +33%, in Inghilterra +50,5% e negli Stati Uniti +52%. Solo nel 2022, a causa dell’inflazione, in Italia i salari reali hanno perso 6 punti percentuali, oltre il doppio di quanto perso dalla media Ue.


A questo dobbiamo aggiungere la necessaria riduzione dell’orario di lavoro, perché se non si è in grado di creare nuovo lavoro non ci resta che redistribuire quello che c’è.
Molti Paesi in Europa, e non solo, stanno sperimentando questa formula con risultati anche molto soddisfacenti. È dimostrato infatti che il livello di produzione nelle aziende che stanno sperimentando la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario sia cresciuto. Si lavora meno, ma si lavora meglio. E magari si lavora tutti.
Nel frattempo, però, il Governo deve accelerare sapendo che il tema della mobilità elettrica è fatto dalla produzione, ma anche dalle infrastrutture, dalle colonnine di rifornimento, dalla rete della componentistica. E non da ultimo, dalla convenienza economica dell’autovettura. In Italia le vendite di auto elettriche sono aumentate solo del 2,6% contro il +13% della media europea: manca una politica tesa a rendere l’acquisto conveniente. Se un’auto elettrica piccola costa più di 30mila euro e una media 50mila euro, con batterie che vanno sostituite dopo 8 anni, chi si può permettere di comprarle? Occorre mettere in sicurezza i nostri lavoratori e le nostre aziende, che costituiscono indubbiamente il vero patrimonio di questo Paese.

Ufficio Comunicazione UILM

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