LA SCUOLA COSTA TROPPO, i salari non stanno al passo.
06.09.2023
LA SCUOLA COSTA TROPPO, i salari non stanno al passo
I prezzi corrono, anche tra gli scaffali delle cartolerie. Se andare a scuola è un diritto, nei fatti sta diventando un privilegio. Perché studiare costa. Specie in questo periodo di crisi in cui, in tutta Europea, la spesa per il materiale scolastico sta aumentando due volte più velocemente dei salari. Il prezzo di articoli essenziali come penne, matite o zaini, tra gennaio e maggio di quest’anno, è salito, in media, del 13 %. Mentre il tasso di aumento dei compensi nominali era dell’8% l’anno scorso ed è sceso al 6% nell’anno corrente. Per meglio comprendere la portata del fenomeno, basti ricordare che nel 2019 l’aumento più elevato dei costi della cancelleria era solo dell’1,7%.
A diffondere questi dati è la Confederazione Europea dei Sindacati, ovviamente allarmata per le ricadute sulle famiglie più in difficoltà. Soprattutto perché l’inflazione non risparmia altri prodotti come i libri di testo, l’abbigliamento e le calzature per bambini e bambine. Anche in questo caso, il cartellino dei prezzi sta aumentando più rapidamente delle retribuzioni in molti paesi membri. In cima alla lista degli Stati con il differenziale più ampio troviamo Olanda, Svezia e Danimarca. Il divario più contenuto è invece in Francia e Grecia. Il nostro paese si colloca quasi nel mezzo. Nello specifico se l’aumento della cancelleria è stato del 9% tra gennaio e maggio del 2023, quello delle retribuzioni si è fermato al 4%.
Le testimonianze dirette.
Ma il Sindacato comunitario non si è limitato a condividere statistiche. A queste ha affiancato le testimonianze dirette di insegnanti e genitori di tutta Europa. Audrius Gelžinis, funzionario pubblico, iscritto alla Confederazione sindacale lituana, riporta la situazione nel suo paese: “I costi totali associati alla scuola sono aumentati di circa il 20%. (…). In media si parla di circa 100 euro a bambino, senza contare il costo dei vestiti. Dovremo anche contribuire alle gite didattiche, ai servizi di stampa e a varie altre spese. Un mio vicino ha dovuto spendere 80 euro per la figlia di quarta elementare, mentre solo l’anno scorso ne bastavano 50”.
Non racconta buone nuove neanche Marine, insegnante francese di Force Ouvrier: “Genitori e studenti sono in grande difficoltà questo autunno. L’inflazione si riflette a casa ma anche a scuola, ad esempio nella mensa scolastica, che per alcuni bambini rappresenta l’unico pasto della giornata (…)”.
Monica Pascuzzi, insegnante di scuola superiore di Lamezia Terme – e iscritta alla UIL – restituisce un quadro, se possibile, ancora più preoccupante: “Ho una figlia che sta iniziando il primo anno delle superiori. Secondo i calcoli fatti, solo per i libri di testo spenderemo circa 320 euro, poiché non vengono forniti gratuitamente. Inoltre, le serviranno fino a 3 dizionari e, da quello che ho visto, un dizionario può costare fino a 120 euro. A questo bisogna aggiungere tutto quello che chiamiamo kit, dall’astuccio allo zaino e così via; quindi, penso che spenderemo tra i 600 e i 700 euro solo per questo. È un peccato che non possiamo almeno avere i libri di testo gratuitamente come avviene in altri paesi”.
La lettera di Esther Lynch
La corsa dei prezzi, quindi, incalza e non farà altro che peggiorare i dati altrettanto disarmanti della povertà infantile in Europa. Tanto è vero che il numero degli under-18 a rischio è passato dal 23% al 25 % in soli tre anni, dal 2019 al 2022.
Per il sindacato europeo è inaccettabile che lavoratori e lavoratrici paghino lo scotto dell’inflazione quando le grandi aziende continuano a incassare extraprofitti record, a loro volta causa dell’impennata dei prezzi. C’è un evidente problema di redistribuzione della ricchezza che attraversa tutto il continente. E l’Unione non può stare a guardare. Le istituzioni comunitarie devono rispolverare il proprio modello sociale e assicurare investimenti per aumentare il lavoro stabile e sicuro, per garantire salari più elevati e per favorire la contrattazione collettiva. Parallelamente, è fondamentale mettere a punto una politica industriale comune che proietti l’Europa verso una giusta transizione. Tutti elementi chiave di riforma in linea con le posizioni dei sindacati confederali italiani e, in particolar modo, dell’Unione Italiana del Lavoro.
Gli effetti di tre anni di crisi e decenni di neoliberismo estremo stanno colpendo duramente le fasce più deboli della società. È arrivato il momento di cambiare rotta con assiduo dialogo tra istituzioni e sindacati. La CES è pronta a fare la sua parte e la UIL non è da meno. Sta alla politica raccogliere l’invito.
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