La Rivoluzione ungherese del 1956. Quando Budapest si ribellò al comunismo sovietico

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04.11.2023

Luigi Fossati era un giornalista dell’Avanti!, il quotidiano del Partito socialista italiano. Nel 1956, nei giorni compresi tra la fine di ottobre i primi di novembre, si trovava per caso a Budapest. Dalla capitale magiara poté assistere a una delle più grandi tragedie del Secondo dopoguerra consumatesi in Europa: la Rivoluzione ungherese.

All’alba del 4 novembre – nella sua rubrica intitolata Scrivo da Budapest – annotò: “Ogni contatto tra la capitale ungherese e il mondo è interrotto […]. Squadre di insorti scavavano ampie buche nella massicciata stradale e disponevano nidi di mitragliatrici alle finestre delle case. Budapest si era svegliata alle 4,45; gli schianti delle artiglierie, le raffiche rapide e insistenti delle mitragliatrici, il rumore pesante delle colonne dei carri armati in movimento, hanno riportato in città l’allarme e l’incubo dei giorni scorsi. Alle 5 la radio di Budapest ha tramesso un breve, drammatico appello del Presidente dei Consiglio Imre Nagy: «Le truppe sovietiche – ha detto – hanno attaccato Budapest. I reparti ungheresi resistono. Il governo rimane al suo posto. Rendiamo noti questi fatti al popolo ungherese e al mondo intero» “. Fu un bagno di sangue.

Il 1956, fu un anno denso di avvenimenti. Intanto, scoppiò la crisi di Suez, che mise a dura prova gli equilibri mondiali, così come disegnati a Yalta dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale. Ma anche oltre cortina stavano avvenendo fatti in grado di destabilizzare l’apparente granitico mondo sovietico.

Josif Stalin era morto nel marzo del 1953 e già nel giugno successivo gli operai di Berlino Est si erano ribellati contro il regime comunista. Nel febbraio del1956, viene celebrato il XX congresso del PCUS e i dirigenti sovietici erano ben consci che all’interno dei paesi del Patto di Varsavia covava lo scontento, vista l’assenza di libertà, unita alla penuria economica generale. Obbiettivo del congresso, secondo Nikita Krusciov – il successore di Stalin alla guida dell’Unione Sovietica – era quello di procedere alla “destalinizzazione” e in un rapporto segreto (reso pubblico dal New York Times nel giugno successivo), denunciò i crimini commessi da Stalin e il fallimento dell’economia fondata sulla collettivizzazione.

Nel mondo comunista si aprirono false speranze. Il 28 giugno del 1956, a Poznam in Polonia, si mobilitano – come avvenuto a Berlino est tre anni prima – ancora una volta gli operai. Lo sciopero si trasformò anche qui in ribellione contro l’oppressione, venendo represso brutalmente dalle forze di sicurezza comuniste polacche.

Inizia la rivolta a Budapest

Il 23 ottobre successivo, a scendere in piazza furono gli studenti ungheresi di Budapest, in solidarietà con l’aspirazione alla libertà dei polacchi e con il sogno un socialismo diverso da quello sovietico. Il raduno intorno alla statua dell’eroe nazionale Sandar Petofi, si trasforma presto in una protesta a cui aderisce tanta parte della popolazione. Si chiedeva una destalinizzazione più veloce, maggiore autonomia da Mosca, la fine della presenza delle truppe sovietiche in Ungheria, il ripristino della vecchia bandiera e elezioni pluripartitiche.

La manifestazione si spostò verso il Parlamento, da dove intervenne Imre Nagy, un comunista critico, che fu capace di intercettare i sentimenti di libertà del suo popolo. Anche molti soldati solidarizzarono con i manifestanti, mentre il governo intimava alla folla di disperdersi.

In segno di protesta, gli ungheresi strappano il simbolo della stella comunista dagli edifici. Abbattono la statua di Stalin e si riversano verso la radio. Qui comincia la tragedia, perché i militari iniziano a sparare sulla folla.

All’indomani viene proclamata la legge marziale, mentre con l’intervento dell’Armata Rossa la protesta si trasforma in una vera insurrezione.

Nagy viene nominato primo ministro, con la speranza che potesse riportare un po’ di ordine e calmare la popolazione.

Intanto, nelle fabbriche gli operai proclamano lo sciopero generale, formano consigli di fabbrica e prendono anche il controllo di molti poteri locali.

Si cerca una mediazione politica con l’Unione Sovietica per scongiurare che la situazione precipiti oltre. In un discorso tenuto il 30 ottobre Nagy annuncia una decisione storica: l’abolizione del sistema del partito unico, con il contestuale inizio di una trattativa con i russi per il loro ritiro.

I carri armati sovietici escono dalla capitale, ma si appostano poco distanti, mantenendo il controllo dell’aeroporto e dei più importanti snodi stradali.

La fine della rivoluzione e la morte di Nagy

Il 2 novembre, però, le truppe sovietiche ritornano sui loro passi e accerchiano la capitale. Poi, arriva il 4 novembre, di cui ci ha dato conto Luigi Fossati. Sarà una strage: strage di vite e strage di libertà.

La delegazione del governo ungherese che tentò la trattativa, fu interamente arrestata. Nagy e altri suoi collaboratori furono tratti presso il quartier generale del KGB a Budapest, per poi essere trasferiti in Romania.

Il 17 giugno del 1956, dopo essere stato condannato a morte, Nagy fu giustiziato insieme ad altri suoi collaboratori. Ai capi dei partiti comunisti di tutto il mondo fu chiesto di pronunciarsi sul verdetto di condanna. Si astenne solo il polacco Gomulka. Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano, votò a favore dell’esecuzione di Nagy.

Saranno oltre 30.000 gli ungheresi che caddero durante la breve rivoluzione. Con essi si spense il sogno di un’Ungheria libera, non più oppressa sotto il tallone di ferro sovietico.

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