L’ Angelus, di Jean-François Millet (1858-59): la nobiltà del lavoro

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28.08.2024

Due contadini, un uomo e una donna, sono assorti in preghiera in un campo alla luce del tramonto.

Sono rappresentati in primo piano sullo sfondo della terra coltivata (un campo di patate), dipinta mediante una serie di bruni, ocra, verdi e “terre d’ombra”.

Il rintocco della campana, che proviene dalla chiesa sullo sfondo, ha interrotto il lavoro: è “l’Angelus”, la breve preghiera che alla sera chiama i fedeli ad un momento di raccoglimento.

In alto, a destra, nel tratto di cielo che sovrasta il campanile, si libra un volo di uccelli.

Le due figure sono in controluce: la testa dell’uomo, china in avanti, è del tutto in ombra, quasi non vediamo i suoi tratti; quella della donna, di profilo, risulta più evidente, perché contrasta col chiarore del cielo.

Le teste chine, il cappello in mano, le mani giunte comunicano la sacralità del momento: è come essere in chiesa.

La prospettiva è leggermente ribassata, come è evidente dall’orizzonte alto e questo conferisce una certa monumentalità alle figure: il lavoro umano, per Millet, ha una sua nobiltà e sacralità che la povertà estrema e anche la miseria, come è evidente in questo caso, non può annullare.

La luce dorata del tramonto sfuma il contorno dei corpi, sfiora gli oggetti abbandonati a terra: la carriola già quasi colma di sacchi di patate, il rastrello, il cesto accanto ai piedi.

Il quadro non è stato dipinto “en plein air” come potrebbe sembrare, sappiamo però che è frutto della conoscenza diretta e precisa della vita contadina e del lavoro dei campi.

Millet aderisce ai canoni del Realismo fondato da Courbet e partecipa direttamente alla “Scuola di Barbizon”, il gruppo di artisti che vivendo in comunità, si era trasferito in quel villaggio ai margini della foresta di Fontainebleau (non lontano da Parigi).

Qui, insieme agli altri artisti come Corot e Rousseau, conduce una vita semplice, a contatto con la natura, e fa esperienza unitaria e collettiva dei nuovi valori del Realismo, con una evidente predilezione per i temi paesaggistici.

Millet era di origine contadina, e fino ai suoi 20 anni aveva condiviso il lavoro dei campi con i suoi familiari, presso il villaggio di Chailly en Bière in Normandia. In questo dipinto, secondo la sua stessa testimonianza, egli rappresenta una scena quotidiana della sua prima giovinezza, una realtà ben conosciuta e sperimentata, autentica e vera, anche se, in questo caso, filtrata dal ricordo.

I colori tenui sfumati del tramonto di una giornata serena e la tecnica del controluce, favoriscono il riemergere del ricordo. È lo stesso artista a raccontare, presentando l’opera nella prima esposizione, come i suoi familiari fossero soliti interrompere il lavoro al suono delle campane, sollecitati dalla nonna, per recitare la breve preghiera.

La tenue luminosità che avvolge le figure, le immerge totalmente nel paesaggio naturale: vediamo che l’impasto cromatico è il medesimo sia per le zolle della terra che per i cespugli e i ciuffi d’erba; sia per gli indumenti che per le povere cose che compaiono nella scena. Notiamo anche una variazione cromatica all’ altezza di due terzi della superficie pittorica: il campo coltivato, zappato e rastrellato, si differenzia da quello incolto con l’erba e i cespugli di un verde cupo misto al colore dell’ombra della sera. I contadini, vestiti degli umili indumenti e degli zoccoli di legno che li caratterizzano, sono “fatti” della stessa materia della terra che lavorano, non si distinguono da essa.

Il quadro ebbe uno straordinario successo, anche se non immediato e, contrariamente ai dipinti dei pittori realisti, non fu oggetto di accuse e anatemi da parte della critica.

J.F. Millet aderì certamente alla concezione artistica del Realismo ma lo fece con una sensibilità per il paesaggio ancora di impronta romantica, sulla scia dell’insegnamento del pittore britannico Constable che aveva avuto un grande ruolo negli ambienti parigini degli anni ‘30-’40 dell’800. L’amore e l’interesse per la natura di tutto il gruppo dei “barbizonniers” risultò evidente anche dalla strenua difesa che questi artisti fecero degli alberi della foresta di Fontainebleau quando furono minacciati da un intervento di abbattimento a fini speculativi.

Il grande Victor Hugo lo celebrò con parole di entusiasmo, mettendone in evidenza il tema romantico della dignità del popolo, della religiosità degli umili, della nobiltà del lavoro.

Licia Lisei, Storica dell’arte

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