La lotta di Giacomo Matteotti e le radici della nostra libertà
10.06.2025
10 giugno 1924: il fascismo uccide giacomo Matteotti. Un turpe assassinio di un uomo democratico, il primo ad individuare i tratti pericolosi del partito di Mussolini.
Attraverso un’inchiesta, pubblicata nel 1924, intitolata “Un anno di dominazione fascista”, aveva già denunciato i crimini e la carica liberticida delle camicie nere.
“Il governo fascista giustifica la conquista armata del potere politico, l’uso della violenza e il rischio della guerra civile, con la necessità urgente di ripristinare l’autorità della legge e dello Stato, e di restaurare l’economia e la finanza salvandole dall’estrema ruina. I numeri, i fatti e i documenti raccolti in queste pagine dimostrano invece che mai tanto, come nell’anno fascista, l’arbitrio si è sostituito alla legge, lo Stato asservito alla fazione, e divisa la Nazione in due ordini, dominatori e sudditi. L’economia e la finanza italiana nel loro complesso hanno continuato quel miglioramento e quella lenta ricostruzione delle devastazioni della guerra, che erano già cominciati ed avviati negli anni precedenti; ma ad opera delle energie sane del paese, non per gli eccessi o le stravaganze della dominazione fascista; alla quale una sola cosa è certamente dovuta: che i profitti della speculazione e del capitalismo sono aumentati di tanto, di quanto sono diminuiti i compensi e le più piccole risorse della classe lavoratrice e dei ceti intermedi, che hanno perduta insieme ogni libertà e ogni dignità di cittadini”.
Così scriveva Giacomo Matteotti, nell’introduzione della sua inchiesta di denuncia del dominio fascista. Una riflessione che, come si può ben evincere, tiene insieme i due poli su cui si tende il filo della democrazia: libertà e giustizia sociale.
Una posizione, questa, fin dalle origini propria dei socialisti riformisti. Un riformismo, quello di Matteotti, che vuole trasformare la società, emancipando le masse popolari, ma sempre dentro le istituzioni, non abbattendo i primi germogli di democrazia del nostro Paese. Non a caso affermò che “il proletariato deve essere unito; un blocco solo; se c’è chi crede solamente nella violenza, quegli esca e vada ai comunisti”.
Un riformismo, quindi, contrario ad ogni sterile massimalismo, ma comunque intransigente verso qualsiasi tentativo di cancellare la libertà dell’individuo.
Un per esempio per tutti. Un impegno per noi di preservarne la memoria.
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di Pierpaolo Bombardieri

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