La guerra in Ucraina. La sofferenza dei bambini e il Promemoria di Gianni Rodari
24.02.2023
Gli occhi dei bambini sono come degli stampi, su cui gli accadimenti rimangono impressi nella maniera più viva. Una pellicola neorealista, dove gioia e tristezza sono sempre veri, e il ricordo che ne rimane non si disincaglia mai dalla vita che verrà.
Un fatto, questo, che è anche un monito. O almeno, dovrebbe esserlo, per impedire che i bambini –gli uomini del domani – siano costretti a vivere tragedie che inevitabilmente gli segnerebbero per tutta la vita.
La guerra è la cosa peggiore che gli possa capitare. Non la scelgono, ma la subiscono. Se non li uccide, li segnerà per tutta la vita. Sempre allo stesso modo, a prescindere dalle epoche, dai luoghi e dalle motivazioni che spingono gli esseri umani a spararsi addosso.
È ormai un anno, che nel pieno dell’Europa si combatte una guerra sanguinosa. Un conflitto voluto da un’autocrate; quel Vladimir Putin che, usando le parole di Anna Politkovskaja, raffigura “il figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese – [che] non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui”.
Putin il 24 febbraio dello scorso anno ha deciso di invadere l’Ucraina. Di far ripiombare l’Europa nello spettro di un conflitto armato, che non può non richiamare alla memoria i bagni di sangue dei due conflitti mondiali passati, che hanno lasciato sul campo oltre cento milioni di morti.
Le bombe sono arrivate dopo un’escalation di menzogne sciorinate dal Cremlino, come la necessità di una guerra di «legittima difesa» contro l’aggressività della Nato o l’improcrastinabile intervento per prevenire un «genocidio» nel russofono Donbass da parte dei nazisti ucraini. Bugie, ovviamente, perché dietro le bombe c’è solo la volontà di invadere un territorio che si considera come una parte inalienabile di un disegno imperialista: quell’Ucraina vista da Mosca come suo patrimonio legittimo e non come paese libero, che faticosamente cerca di costruire la sua democrazia e per farlo guarda ad Occidente.
Come dichiarato da Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia, “a un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, 438 bambini sono stati uccisi e 854 feriti. Circa 3,4 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria nel paese; 1,5 milioni sono a rischio di depressione, ansia, disturbo da stress post-traumatico e altre patologie mentali, più di 5 milioni hanno subito un’interruzione nella loro istruzione; 2 ucraini rifugiati su 3 non sono attualmente iscritti al sistema scolastico del paese ospitante, oltre 1.000 strutture sanitarie sono state danneggiate o distrutte, così come oltre 2.300 scuole primarie e secondarie”. Una catastrofe.
I bambini dovrebbero solo pensare a giocare, andare a scuola e a scoprire con sorpresa e naturalezza la vita. Invece, in Ucraina sono costretti a veder cadere bombe, che, come a Mariupol, radono al suolo un’intera città. Macerie che si accumulano, mentre i fantasmi della guerra entrano nell’animo innocente dei bimbi.
Eppure, esiste una Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. All’articolo 31 comma 1, tra l’altro, stabilisce che “gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica”.
Evidentemente non basta. Come ad essere insufficiente appare anche la storia tragica del XX secolo, che questo continente si porta dietro.
Scuole e ospedali rasi al suolo sono il simbolo della furia distruttrice di chi tra sé e la sua follia non vede altro che una malata voglia di potere, che nulla ha a che fare con l’umanità.
Siamo giustamente preoccupati per tutto quello che sta succedendo. Guardiamo con apprensione un paese aggredito, che lotta per la sua libertà e siamo convinti che in questo passaggio tragico si stia giocando anche un pezzo importante del futuro dell’Occidente.
Ma quando si vedono bambini morire, vivere in condizioni proibitive, piangere di quella disperazione innocente che è propria di chi non sa, e non può sapere, perché si combatte, ogni discorso sembra perdere senso: la vista di un bambino che soffre è disarmante, per quanto è reale.
Nei cosiddetti conflitti moderni sono cambiati i teatri di guerra rispetto al passato: non più trincee o campi di battaglia, bensì città e villaggi, con tutto quello che ciò comporta in fatto di distruzione e morte.
L’UNICEF ci dice che dal secondo conflitto mondiale in poi, oltre il 90% dei caduti nelle guerre sono civili, in metà dei casi si tratta di bambini. Chi sopravvive, cresce ma non dimentica.
Nel suo “Promemoria”, Gianni Rodari scriveva:” Ci sono cose da fare ogni giorno: lavarsi, studiare, giocare, preparare la tavola, a mezzogiorno. Ci sono cose da far di notte: chiudere gli occhi, dormire, avere sogni da sognare, orecchie per sentire. Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra”.
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