La Fonderia (Adolf Von Menzel, 1873-75)

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05.11.2024

Il dipinto rappresenta l’interno di una fonderia a Königshütte, l’odierna Chorzów, nell’Alta Slesia, regione che a quei tempi faceva parte del regno di Prussia.

Siamo negli anni 1873-75 quando Ottone di Bismark, dopo la guerra contro la Francia, fa della Prussia una grande potenza militare e industriale.

L’autore, il pittore Adolf von Menzel, come è intuitivo per la precisione con cui descrive l’ambiente e ne cura i dettagli, si inserisce nella corrente del Realismo europeo. Egli però non aderisce ai contenuti democratici e filo-socialisti, che caratterizzano questa scuola: rimarrà fedele alla casa regnante prussiana della quale fu anche pittore di corte.

Dal punto di vista stilistico, la sua adesione alla Scuola Realista è evidente: rappresenta l’interno della fonderia per conoscenza diretta e con assoluta fedeltà al vero.

Per lui vale quel che Marx ed Engels, tedeschi come lui e suoi contemporanei, dissero di Balzac: borghese e conservatore quanto si vuole, ma grande scrittore, onesto e sincero, e quindi la realtà che egli rappresenta è indiscutibilmente più vera di quella di certi scrittori o artisti populisti.

La Fonderia

Nell’ambiente della fonderia, scuro e saturo di fumo, masse di colore grigio e nero-carbone contrastano violentemente con i colori rosso-arancio delle fiamme.

L’incandescenza del metallo, e le altissime temperature delle fornaci, sono evidenti soprattutto in quella in primo piano: sembra di essere arrivati nella “Città di Dite” di dantesca memoria: è l’immagine   dell’inferno.

Decine di operai, dei quali non vediamo bene i volti e le espressioni, ma dei quali intuiamo il sudore, lo sforzo fisico, la fatica, la difficoltà del respiro, sono impegnati in un lavoro febbrile, ripetitivo, disumano.

Il dipinto rende bene l’atmosfera della fonderia ,  della quale  vediamo le strutture metalliche, i tubi, le grandi ruote che azionano i macchinari: essa è satura di vapori e fuliggine ed arsa da un calore infernale.

Possiamo ben immaginare i rumori assordanti dei magli battuti sul metallo, delle ruote che cigolano e stridono, il vociare concitato degli operai: “parole di dolore, accenti d’ira (…)”.

Alla nostra sinistra, alcuni di loro si detergono il volto e il torace con degli stracci bagnati, tentando di alleviare l’arsura degli occhi e della  pelle, mentre un vecchio, che ormai avrebbe diritto alla pensione, trascina un carrello nell’angolo in basso, accanto alla firma del pittore: forse questo  supplizio per lui avrà fine solo con la morte.

Se la “fedeltà al vero” è indiscutibile, come non pensare anche al mitico antro del dio Vulcano, l’antica divinità preposta alla forgiatura dei metalli? Gli antichi immaginavano il dio sempre all’opera nella sua fucina, a fondere metalli e forgiare armi, circondato da Titani, suoi garzoni di bottega. Non si tratta di un “volo pindarico”: il richiamo ai miti eroici dell’antichità risulta del tutto appropriato  a questa temperie culturale. Lo sviluppo delle scienze positive e della tecnica, l’ardimento e la potenza dell’industria suggeriscono l’uso di immagini mitologiche per divulgarne la conoscenza.  Von Menzel (e i suoi mentori) intendono celebrare l’aspetto eroico di questo lavoro ed esaltare la “volontà di potenza” del popolo prussiano glorificandone le “magnifiche sorti e progressive”.

All’indomani della guerra franco-prussiana (1870-1871)  

Siamo proprio all’indomani della guerra franco-prussiana (1870-1871) che vede la Francia sconfitta e umiliata mentre la Prussia, superba per la vittoria, ricca di miniere di carbone e di ferro, vive un periodo di grande slancio industriale, soprattutto nel campo della siderurgia e metallurgia. Nella fonderia di Königshütte si forgiano i binari, le locomotrici, i treni per la rete ferroviaria che attraverserà la Prussia, l’ Europa, l’ Oriente.

Dal dipinto, però, emerge anche la realtà disumana e alienante del lavoro operaio nelle fonderie: è l’altra “faccia della medaglia” di un lavoro che, per quanto “nobile”, è anche logorante e pericoloso.

I pilastri e le travi in ferro della struttura evidenziano la spazialità “aerea” della fabbrica in cui i “vuoti” predominano sui “pieni” secondo le forme resistenti e leggere della nuova architettura industriale in ferro e ghisa. La spazialità dell’ambiente è resa mediante una prospettiva dall’alto con l’orizzonte e il punto di fuga posto a circa 2/3 del dipinto.

Lungo le direttrici prospettiche che ne suggeriscono la profondità si trova la grande fornace ardente: intorno ad essa, alcuni operai quasi del tutto in controluce, sollevano e protendono le grandi tenaglie verso la barra incandescente, come antichi cavalieri in lotta contro il drago dalle fauci infuocate. La barra di metallo incandescente sul carrello nella bocca della fornace “disegna” una diagonale infuocata che, prolungandosi  nelle braccia e negli attrezzi impugnati dai lavoratori e nelle loro teste, fino in fondo al dipinto, dà forza all’impianto prospettico suggerendone la grande profondità a ampiezza.

In ombra, in primo piano, sulla destra, una serie di attrezzi dismessi, magli, pinze… e dietro un pannello di metallo, per cercare protezione dal calore e dalle scintille della fornace, alcuni operai si riposano, bevono e mangiano in disparte i cibi portati in un canestro da un ragazzo: esausti, ristorano il corpo cercando un po’ di sollievo dalla fatica brutale.

In questa parte del quadro, si intravedono nell’ombra anche alcuni personaggi dall’aspetto borghese, seduti presso un “quadro di comando”. Sembrano ricoprire una funzione di controllo e un ruolo dirigenziale.

Accecati dal fuoco e condannati a vivere  in un ambiente  dove le alte temperature si accompagnano alla mancanza d’aria, alla sporcizia , alla carenza di protezione, questi uomini sono duramente provati e logorati,  non hanno né tute né elmetti ma indossano, a mo’ di protezione, solo dei grembiuloni e dei cappellacci di cuoio. I ritmi di lavoro, la lunghezza della giornata lavorativa, la ripetitività delle mansioni, il rischio altissimo e la quantità impressionante degli incidenti, spesso mortali, sono il durissimo prezzo da pagare per questo “slancio formidabile” della rivoluzione industriale prussiana.

Von Menzel celebra l’eroismo del lavoro operaio rivelando, però, nello stesso tempo, “di che lacrime grondi e di che sangue”.

Sono questi gli anni in cui in Germania e in Europa nascono e si diffondono le idee del Socialismo in difesa dei diritti dei lavoratori, in cui si affermano le organizzazioni solidaristiche e di mutuo soccorso della classe operaia, in cui vengono pubblicate e diffuse le opere di Marx ed Engels: la classe operaia incomincia a prendere coscienza della propria condizione e si appresta a “spezzare le catene“ che la rendono schiava.

Licia Lisei, Storica dell’arte

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