La cattiveria del web o la rabbia della società?

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05.03.2023

Arrabbiarsi è una caratteristica animale, uno stato emotivo di base impulsivo ma atto a correggere un torto o a prevenirne la ripetizione, ci si può arrabbiare in modo sano e probabilmente molto spesso è una necessità farlo; altra cosa è la cattiveria, ovvero l’attitudine ad offendere e far del male con azioni e comportamenti riprovevoli e dannosi per gli altri.

Quando questi due fattori coesistono nello stesso individuo, conosciamo tutti la pericolosità alla quale l’intera società è esposta, a diversi livelli di ipotesi di azione coesistono conseguenze più o meno gravi per la collettività e di riflesso per l’individuo stesso che compie azioni impulsive mosse da rabbia e cattiveria.

Fin dalla nascita, a partire dai cartoni animati, dai film, fino ad arrivare alle canzoni, siamo costretti a scontrarci con l’idea del buono e del cattivo, eppure, nonostante l’idea comune del giusto o sbagliato sembri scontata, è chiaro che viviamo in un mondo dove i reati e le ingiustizie continuano e continueranno purtroppo ad esistere sempre.

Analizzare i cambiamenti comportamentali della società in generale permette di tracciare linee di comparazione tra i diversi momenti storici, comprendendo gli usi, i costumi e le dinamiche che raccontano i linguaggi di un’epoca. Si, perché in fondo se è vero che l’idea del giusto o sbagliato esiste, questa non è una definizione universale, ma suscettibile chiaramente alle diverse soggettività e ai diversi periodi storici.

Gli usi e i costumi nella storia hanno spesso differenziato le classi sociali sulla base della diversa istruzione, del diverso ceto sociale, della potenzialità economica e del potere esercitato in virtù del fatto di avere la capacità o meno di influenzare la vita degli altri.

Ricercando nel passato, viene da pensare che “bon ton” ha origini molto antiche, addirittura si arriva al 200 a.C quando Clemente Alessandrino, teologo e filosofo propose un trattato intitolato “Il Pedagogo” che raccoglieva le prime regole comportamentali da seguire. Sarà poi Monsignor Giovanni Della Casa nel 1558 a pubblicare l’opera “Galateo overo de’ costumi” che introduce per noi la parola che accostiamo automaticamente alle cosiddette “buone maniere”: il galateo.

Esiste un galateo per tutto, per apparecchiare la tavola, per presentarsi tra sconosciuti, per vestirsi nelle occasioni speciali e a rigor di attualità non poteva mancare anche il galateo dell’internet: il Netiquette.

Sul sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca è facilmente reperibile l’ultima versione delle regole di buon costume del web, tra le tante raccomandazioni, ad esempio, quella più banale ma non scontata è di non scrivere TOTALMENTE IN MAIUSCOLO, in quanto equivalenza della comunicazione urlata. Comunicare urlando nella vita reale può raccontare la paura, la rabbia o semplicemente la mancanza di buon costume di voler entrare con prepotenza nella vita (e nelle orecchie) di chi non ha nessun interesse a conoscere contenuti che non li riguardano.

Tornando al Netiquette, sono tipologie di raccomandazione e se ci pensiamo bene fanno riflettere; con la comunicazione via web bypassiamo i gesti e i toni della voce come la storia ha fatto per secoli con la comunicazione scritta, via posta, giornale e documentale, cambiano i mezzi su cui le comunicazioni vengono lette, ma un elemento si aggiunge ed è: l’esposizione.

Nel web siamo tutti esposti molto di più di quanto lo siamo nella vita reale, entriamo spesso in una dimensione parallela dove abbiamo tutti la potenzialità anche di essere quello che non siamo nella quotidianità di tutti i giorni, enfatizzando magari un singolo tratto della nostra personalità e permettendogli di scorrazzare liberamente senza guinzaglio in un mondo virtuale che invece che spaventarci, molto spesso immotivatamente, ci rasserena.

A questo punto tanti tasselli si incrociano e probabilmente più che chiederci se questa società è più rabbiosa o più cattiva dei secoli scorsi, chissà se invece è solo questione dell’esposizione potenziale che oggi ognuno di noi ha nella propria tasca.

Chissà nella storia dell’uomo quanti reati, ingiurie, cattiverie, maldicenze, crimini e anche solo pettegolezzi sono passati lontani dagli occhi della giustizia e della coscienza comune, oggi le notizie viaggiano istantaneamente da una parte all’’altra del globo ed è molto difficile rimanere nell’anonimato assoluto.

Eppure, questa potenziale esposizione non è abbastanza per limitare la tendenza a permettersi di essere sul web quelli che non si è nella vita reale.
Gli haters, i leoni da tastiera spesso emergono spregiudicatamente su internet e spariscono nella normalità della loro vita quotidiana non collegando assolutamente i comportamenti privi di buon gusto sul web con l’ipocrisia di rispettare una ligia vita reale.

Il cambiamento della società che vive ibridamente tra realtà e rete è al suo principio, basti pensare che solo 50 anni fa nulla di questo meccanismo era ipotizzabile o concreto. Non è quindi possibile paragonare in termini generali secoli di società dove l’internet non è esistito con la società moderna dove da poco parliamo di “nativi digitali”. Probabilmente sarà molto interessante analizzare i comportamenti buoni e quelli cattivi dei primi nativi digitali quando questi saranno l’ultima generazione in vita e si lamenteranno (come tutte le vecchie generazioni) dei loro tempi andati e del vecchio buon costume perso di un tempo.

Valerio Camplone

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