ITALO VIGLIANESI: IL PRIMO SEGRETARIO GENERALE DELLA UIL

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19.01.2024

Italo Viglianesi nacque a Caltagirone (Ct) il 1° gennaio 1916.

Scrivere su di lui vuol dire scrivere dei primi anni della UIL e di un gruppo dirigente che insieme a lui ha voluto fermamente, nonostante le difficoltà, credere ad un’idea. Immaginare un sindacato diverso, giovane e pragmatico, ma inserito nella tradizione del riformismo italiano ed europeo. Viglianesi ha riconosciuto sempre di aver operato e di avere raggiunto dei grandi risultati perché la UIL era composta da persone che avevano in comune un progetto e in questo progetto credettero sempre.

A Roma, dove si era trasferito già prima della guerra, si era arruolato come ufficiale e dopo l’8 settembre, rifiutandosi di aderire alla Repubblica Sociale, entrò nella clandestinità. Caduto in una retata dei nazisti riuscì a scappare dal convoglio in partenza dalla stazione Tiburtina che lo avrebbe – insieme a tanti altri italiani – deportato in Germania. Si nascose, aspettando l’arrivo degli alleati, vivendo tutte le limitazioni e la paura di un regime d’occupazione. Con la liberazione di Roma ricominciò a lavorare alla Montecatini, l’azienda che rappresentava la chimica italiana, avvicinandosi ed interessandosi alle vicende sindacali. In questo contesto matura la sua candidatura nella Commissione interna, venendo eletto. Dall’elezione nella commissione interna a diventare Segretario generale dei chimici della CGIL unitaria fu un passo breve, dimostrando così le sue qualità e abilità nel gestire i rapporti politico sindacali. Tuttavia, la sua vocazione fu, e rimarrà sempre, politica.

L’Italia chiedeva di tornare alla normalità, cercando di chiudere definitivamente con il recente passato, per ricominciare a vivere nel nuovo regime democratico. Viglianesi, che aveva maturato il rifiuto del totalitarismo per i soprusi violenti dello squadrismo fascista e sviluppato il proprio credo politico dalle letture degli autori della tradizione riformista classista, si rese conto che il socialismo democratico poteva esprimere e indicare una strada per la ricostruzione di un Paese distrutto dalla guerra.

Questo percorso lo portò nel 1947 a collaborare con Romita, e anche con Silone, al periodico Italia socialista.

In quello stesso anno una delegazione della CGIL fu invitata in Russia e Viglianesi ci andò per la componente socialista. Da quel viaggio ne trasse una formidabile impressione negativa: vedeva povertà diffusa, paura e nessuna libertà. Soprattutto, da un punto di vista economico, un ipertrofico sfruttamento legato alla produttività che era contrabbandato come progresso del lavoro e del socialismo, ma in realtà non si traduceva in un benessere diffuso. E poi propaganda continua ed incitamento per il partito e per Stalin. La novità – l’umanità nuova che sorgeva dalla rivoluzione – che il partito comunista aveva propagandato era svelata per quello che era: un paese arretrato governato da una dittatura. Il ritorno in Italia ebbe come risultato la convinzione che nella CGIL, che il PCI cercava di monopolizzare, non c’era uno spazio politico sufficiente per il socialismo riformista che animava le sue idee.

Era necessario recuperare la grande tradizione riformista, che la CGdL aveva avuto, per la rappresentazione degli interessi dei lavoratori. Soprattutto rimise in primo piano non solo le libertà democratiche, ma anche le giuste rivendicazioni salariali e le necessarie correzioni di un capitalismo che in Italia si concretizzava in politiche di rendita parassitarie e oziosi monopoli.

L’immediato Dopoguerra presentava un’Italia da ricostruire non solo da un punto di vista pratico, ma anche politico. Si dovevano fare i conti con un’amministrazione statunitense che controllava tutto, debiti economici e finanziarie, soprattutto, un Paese che si riconoscesse nella vita democratica e nella dialettica partitica. C’erano da ritrovare quelle radici risorgimentali e quelle libertà democratiche e liberali che si erano cominciate a vivere nei primi anni del Novecento, per costruire il nuovo tessuto sociale e politico, per orientare le scelte per il futuro del Paese. Lo scontro fu durissimo. In queste condizioni, cioè con una povertà generale e una lotta politica tra partiti filo atlantisti e una sinistra abbondantemente schierata con il bolscevismo sovietico, vennero accettati gli aiuti dagli USA per la ricostruzione, il Piano Marshall (1947). Altro motivo, questo, di profondo conflitto tra il PCI e gli altri partiti politici.

Nel 1948 si tennero le prime elezioni libere – Viglianesi fu candidato nel PSI, ma non venne eletto – con il successo della Democrazia Cristiana e la rottura del governo di unità, così come era sorto dalla fine della guerra. Nello stesso anno i cattolici uscirono dalla CGIL, fondando la L.CGIL e l’anno dopo i repubblicani e i socialdemocratici (che erano fuoriusciti dal PSI dopo la scissione di Palazzo Barberini a Roma, fondando il PSLI di Saragat) costituirono la Federazione italiana del lavoro (FIL).

La militanza politica di Italo Viglianesi nel PSI era fortemente provata, poiché il partito aveva un rapporto forte con il PCI e questa “convivenza con il massimalismo sovietico” rendeva la permanenza sempre più conflittuale.

È fondamentale capire che il rapporto tra i partiti e le parti sociali era di strettissima interazione, non essendoci – tra l’altro – incompatibilità tra gli incarichi sindacali e le cariche politiche.

Già delegato al congresso del PSI a Firenze nel 1949 Viglianesi ne uscì insieme a Romita ed altri socialisti autonomisti. Sempre con Romita fonda il Partito Socialista Unitario, divenendone il vicesegretario e dando modo alla CGIL di espellerlo. In effetti, la scelta di dimettersi dal partito servì a creare i presupposti per essere espulso dalla CGIL e poter avere le mani libere alla costruzione di una nuova realtà sindacale.

Al Congresso di Firenze furono poste le basi del nuovo partito. Nella Dichiarazione di principi, approvata in quell’occasione, il PSU restava fedele ai principi generali del socialismo quali erano quelli del 1892, aggiornati alle condizioni degli anni Cinquanta. Tra gli altri, questi erano: lottare per l’emancipazione della classe lavoratrice dall’oppressione e dallo sfruttamento capitalistici e per l’affermazione di un ordine sociale migliore e in cui i mezzi di produzione siano di proprietà collettiva; ma non tutto poteva essere richiesto o realizzato e il PSU indicava la loro armonizzazione con il piano economico generale. Questi concetti si ritroveranno in pieno nella lista degli impegni che la UIL proponeva ai lavoratori.

Questo tempo fu utile per capire cosa sarebbe potuto accadere e, soprattutto, valutare le forze in campo per stabilire le basi e la partecipazione attiva alla costituzione di un’altra centrale sindacale che accogliesse la parte laica, socialdemocratica e riformista del Paese.

All’appuntamento della Casa dell’Aviatore a Roma si arrivò costruendo consenso e associando, intorno a parole d’ordine diverse, persone e dirigenti sindacali di varia origine e provenienza. Intanto per i socialisti unitari si erano organizzati i GASU, che formavano una prima ossatura organizzativa. In questo lavoro di stimolo e di proselitismo si cercava di recuperare l’eredità di Bruno Buozzi e della CGdL insieme alle nuove priorità legate alla costruzione di nuovi modelli sindacali.

Quel giorno si stabilirono i presupposti per una nuova forza sindacale. Poverissima di mezzi, ma capace di dare un contributo importante nell’elaborazione di idee e strategie.

Inizialmente Viglianesi non fu eletto nella Segreteria della UIL. Il suo ruolo di dirigente politico di primo piano non gli consentiva di partecipare a tempo pieno alla vita della UIL. E poi, in realtà, era diffuso il sentimento della precarietà, cioè non si capiva se questa nuova organizzazione avrebbe avuto le gambe e lo spirito per resistere nel tempo. La CISL era ostile, la CGIL la sopportava in funzione anti CISL e la Confindustria la sottovalutava. Una situazione molto particolare. Questa posizione di debolezza, tuttavia, fu la forza della UIL e Viglianesi lo capì attuando un metodo attendista e di dialogo procrastinante. Il tempo era fondamentale per radicare la UIL. Così da una parte riuscì a tenere a bada le aspettative degli statunitensi, che volevano un processo di progressivo avvicinamento in funzione anti comunista tra la UIL e la CISL, dall’altra a legare l’organizzazione alle idee laico socialiste ed alla tradizione riformista di tanti protagonisti della vita sindacale prima del fascismo, per allontanare le sirene cisline e a proclamare apertamente imprescindibili i valori di libertà e autonomia dai partiti politici contro i tentativi egemonici di Di Vittorio. Questa dinamicità portava iscritti, giovani, capacità di proposta e prospettive di crescita. Uno dei punti saldi restò sempre la ricerca dell’unità sindacale per quelle problematiche particolarmente complesse e legate al benessere ed agli interessi della classe lavoratrice, insieme all’antifascismo, alla lotta operaia contro il capitalismo rapace e parassitario.

Assestata la UIL e messo da parte il partito, Viglianesi divenne il Segretario coordinatore. Il PSU aveva perso iscritti e la politica di coordinamento e di riavvicinamento delle correnti socialdemocratiche (1952) lo aveva portato nel PSDI. In questa veste poteva meglio lanciare la UIL, sia da un punto di vista ideologico, sia organizzativo. La sfida fu quella di creare un sindacato di chiara matrice socialista e al tempo stesso aperto ai contributi esterni dell’area di riferimento che la politica e la società potevano offrire. Non bisogna nascondere che il confronto nella UIL tra le componenti politiche era molte volte estremamente duro, tuttavia c’era sempre la capacità, e in questo Viglianesi era insuperabile, di andare oltre e trovare, in una mediazione importante, la soluzione. Con il tempo dimostrò le qualità di sindacalista, riscuotendo un ampio consenso tra i lavoratori, e di dirigente: sapere arrivare alla sintesi o al compromesso nelle complesse vicende che accompagnavano la crescita della UIL, sollecitare e condizionare nelle categorie e sui territori una pratica e una modalità di operare condivisa per la difesa della classe lavoratrice, saper trovare finanziamenti e sottoscrizioni per la sopravvivenza dell’Organizzazione.

Proprio questo era lo spirito che lo animava e che lui sollecitava in tutto il gruppo dirigente: credere sempre nelle idee, accendere la passione per il progetto, non sottrarsi al lavoro, impegno quotidiano per cercare di acquisire il consenso attorno alle proposte della UIL.

Viglianesi si impegnava per realizzare la costruzione di un soggetto sindacale autonomo che accompagnasse il progetto per la causa socialista riformista. Un progetto “laburista” per riempire uno spazio lasciato vuoto dai dogmatismi del PCI e della DC. Era un programma ambizioso, lontano dagli scioperi politici e dall’immobilismo filogovernativo. Fondamentalmente molto vicino ai lavoratori, in quanto erano le loro istanze che furono portate all’attenzione di una politica distratta dai piani di ricostruzione, dalle lotte per l’affermazione e la visibilità, dalle polemiche politiche e dell’arroganza della Confindustria. Questa scelta di portare i lavoratori e le loro necessità al centro dell’analisi della realtà sociale ed economica era nella tradizione della CGdL riformista, lontana dal potersi definire moderata e al tempo stesso non pregiudizialmente ostile al capitalismo. La relazione al primo congresso della UIL, ad esempio, era una dettagliata analisi della situazione sindacale ed economico-politica. Ma si fermava all’analisi perché era necessario chiarire i termini del confronto, le chiavi di lettura della realtà per poi permettere al congresso di stabilire il percorso strategico per la risoluzione dei ritardi ed aiutare le istituzioni ad evitare i pericoli di scelte politiche involutive che si annidavano nelle pieghe burocratiche dello Stato.

Nelle fabbriche si continuava a costruire il consenso e nelle Commissioni interne i rappresentanti della UIL cominciavano a raccogliere dei successi. Questo permetteva a Viglianesi – divenne Segretario generale dopo il congresso – di arringare i delegati, sottolineando i sacrifici, il lavoro e la fatica per l’affermazione dell’idea di un sindacato democratico, difensore della libertà e della classe lavoratrice. Alla fine del 1953 il Segretario detta l’agenda delle rivendicazioni, sia quelle di classe, sia degli interessi politici di riferimento. I rapporti con il PSLI erano estremamente articolati, se non complicati, per la diversa impostazione strategica della collocazione politica. Per Viglianesi era fondamentale praticare il pragmatismo riformista di Bruno Buozzi. Uno dei punti di maggiore attrito fu sull’azione sindacale, ossia sull’unità. Infatti, se la UIL aveva messo l’unità sindacale come punto principale, tutti coloro che si opponevano a qualsiasi rapporto o azione insieme ai comunisti, sia pure transitoria e legata ad un evento particolare, non potevano credere di poter lavorare fianco a fianco con coloro che consideravano avversari politici. In quegli anni Viglianesi capì, da questi eventi, che non si poteva tralasciare ogni occasione e tutte le opportunità che si presentavano, o che erano da creare, per avviare dei rapporti politici e di collaborazione sindacale che dovevano portare ad un risultato positivo per la UIL. Si cominciava a guardare oltre confine. Negli USA l’AFL era contraria alla UIL mentre il CIO si dimostrava più sensibile all’azione socialdemocratica. L’amicizia personale di Viglianesi con Walter Reuther (presidente dell’UAW) permise di avere un aiuto oltreoceano, soprattutto, un’influenza importante da presentare in Europa. L’instancabile lavoro per instaurare rapporti politici e sindacali con altre realtà riuscì a permettere alla UIL di vedere accettata l’adesione alla CISL Internazionale e comportò la partecipazione alle campagne finanziate e dirette per la ricostruzione del Paese.

Lo sforzo ideologico più grande era dedicato a convincere che la UIL aveva un ruolo e uno spazio politico, era una realtà che non voleva essere schiacciata dall’atlantismo capitalistico o dal comunismo filosovietico, rivendicando l’esistenza di una sinistra socialista, alternativa, anticapitalista non comunista. Dal punto di vista pratico, poi, la UIL rivendicava un’agibilità sindacale forte, quindi il punto principale era radicarsi e far crescere il consenso intorno alla confederazione, altrimenti sarebbe stata considerata – o ridotta – a semplice comparsa. Si cominciò con il conglobamento come azione necessaria per un riordinamento delle retribuzioni.

Tuttavia, per Viglianesi i problemi non mancavano e proprio la sua parte politica cercò di mettere in crisi la sua leadership. Il Segretario dovette resistere alla pressione che portavano nella UIL la parte più legata al partito di Saragat e furono i voti della parte repubblicana che lo aiutarono a conservare la Segreteria, quando si provò a cambiare l’assetto della Segreteria confederale. In qualche maniera, non senza delle perdite eccellenti di protagonisti della fondazione, Viglianesi rafforzò la sua posizione politica, assumendo il servizio organizzativo e quello dell’internazionale della UIL.

La strategia politica di Viglianesi, in quei tempi, era legata a conferire valore e prospettiva a questa proposta di politica sindacale. L’adesione del progetto sindacale al progetto politico del socialismo democratico prevedeva un reale dialogo tra le componenti dell’area socialista e uno sforzo organizzativo importante. Intanto nel 1955 tra le iniziative ci fu la fondazione del giornale La strada. Era un organo d’informazione destinato a illustrare e diffondere tra i lavoratori le proposte che potessero realizzare le loro aspirazioni con il rinnovamento del sistema sociale e della vita democratica del Paese, attraverso la costituzione di una forza politica fondata sull’organizzazione sindacale.

Cercava di nascere il progetto laburista. La crescita era subordinata alla condivisione di una strategia e di una prospettiva politica alternativa. I socialdemocratici si opposero, forti anche della tradizione del modello sindacale italiano che aveva cercato nel tempo di restare autonomo e pluralista.

Viglianesi, vedendo che le difficoltà superavano le speranze di una riuscita del progetto, si convinse a non continuare in quella direzione. Restando, tuttavia, convinto della giustezza di quell’intuizione dopo pochi anni cercò di rilanciare il progetto con il Movimento unitario di iniziativa socialista (MUIS). Anche in quell’occasione, nonostante gli appoggi – forse tiepidi, ma reali – dei repubblicani e della componente socialdemocratica, l’iniziativa si concluse senza risultati.

In quel periodo iniziò anche la strategia di invitare i socialisti ad entrare in UIL. Quest’opera di proselitismo, in realtà, era sempre stata condotta per reclutare dirigenti e attivisti dalla Cgil che potessero portare iscritti. Viglianesi, facendo appello alla proposta di fare un sindacato laico-socialista, riuscì ad attrarre individualmente qualche dirigente.

Questa attenzione all’accoglienza continuò in maniera pressante e creò i presupposti per la costituzione della corrente socialista nella UIL dopo l’unificazione socialista del 30 ottobre 1966.

L’attivismo di Viglianesi, e del gruppo dirigente della confederazione, aveva prodotto una particolare situazione: una debolezza “numerica” degli iscritti, ma una incredibile vivacità politica e di organizzazione. In questa particolare condizione per le ambizioni politiche della UIL, che segnavano arresti e ripartenze, era necessario che il panorama politico di riferimento acquisisse sempre maggiore ampiezza; infatti, più l’agibilità politica si irrigidiva e restringeva, maggiore era la possibilità del fallimento. Cosicché si cercavano nuove sponde e nuovi interlocutori, anche in Europa. Questa era la scelta politica. Era necessario che la UIL avesse il riformismo e la visione internazionale come riferimenti diretti nella costruzione della coscienza sindacale degli iscritti. Del resto in Europa il Piano Schuman e la Ceca erano ormai istituzioni di riferimento, a cui l’Italia aderiva. L’europeismo per la UIL non era un’idea fantasiosa, ma una realtà costruita, sia dai rapporti politici e personali che molti sindacalisti avevano realizzato all’estero con il fuoriuscitismo durante il fascismo, sia da singole personalità politiche che continuavano a garantire un respiro internazionale alle vicende sindacali della UIL, come Modigliani o V. Spinelli.

Alla Conferenza d’organizzazione del 1959 la UIL doveva finalmente fare i conti con la propria realtà, che fino ad allora aveva animato iscritti e dirigenti. In essa si sviluppava la proposta del potenziamento delle strutture di base che erano i nuclei aziendali nelle fabbriche e negli uffici, le leghe dei contadini e i rapporti che dovevano intercorrere tra i nuclei e le Commissioni Interne. Tre erano i punti fondamentali comuni che la Conferenza poneva alla base dell’assetto diverso del sindacato, partendo dalla base e contando su di essa: “1) che un sindacato moderno non può vivere di vita autonoma se non stabilisce dei propri strumenti di azione nelle aziende e non usa gli stessi per il raggiungimento dei propri fini; 2) che è indispensabile giungere ad un ridimensionamento delle C.I. poiché le stesse non debbono operare sul piano rivendicativo e contrattuale che è patrimonio indiscutibile dell’Organizzazione Sindacale; 3) che l’esistenza dei Nuclei Aziendali, come istanza organizzativa del sindacato nelle aziende e le loro funzioni debbono trovare una codificazione negli statuti e nel lavoro organizzativo della federazione e dei sindacati di categoria”. Soprattutto, il sindacato doveva poi identificarsi con i propri iscritti, coinvolgendoli, sia nelle formulazioni delle proposte, sia nella partecipazione attiva alle riunioni. Per quanto riguardava le leghe contadine e il mondo dell’agricoltura era fondamentale sviluppare una progressiva e permanente azione di penetrazione. Per ottenere questa crescita era fondamentale che si recuperasse la condizione che si era data la UIL nel 1950, ossia l’autonomia, come restava utilissimo il necessario approfondimento sulle tematiche del mondo del lavoro, con quanto di sociale annesso, per la preparazione dei responsabili sindacali proprio per tutelare la classe lavoratrice.

Viglianesi ebbe chiaro il ruolo che la sua segreteria generale doveva avere. La Uil era diventata una certezza e una garanzia che si estendeva su tutto il territorio nazionale, era ormai radicata e diffusa sindacalmente, soprattutto nelle grandi aziende, e continuava ad interpretare il ruolo di sindacato riformista, permettendo di mantenere il patrimonio ideale, condiviso, dell’azione sindacale della Confederazione generale del lavoro delle origini. E poi la convivenza con i repubblicani portava risultati importanti. Camere sindacali che si costituivano e dirigenti della Cgil che transitavano nella UIL, attratti da questa capacità di saper dialogare con tutti gli attori coinvolti nelle vicende del tempo. Nonostante ci fosse la necessità di porre chiaramente e sempre in evidenza l’esigenza di essere un sindacato che faceva dell’autonomia il proprio marchio, la scelta era di mantenere negli indirizzi politici la ricerca dell’unità, senza, però, nascondere i limiti e i freni che l’azione degli eventuali concorrenti – la CGIL e la CISL – portavano agli interessi dei lavoratori.

La sinistra identitaria della dirigenza della UIL, che disegnava il modello di sindacato democratico nell’azione e socialista nei fini, affrontava il problema che poneva il capitalismo del suo tempo. Non era più quello dell’anarchia delle forze produttive in regime di proprietà privata e delle crisi cicliche che spingevano la struttura verso la caduta e il collasso del sistema. In Italia si stava sviluppando un capitalismo familistico e di rendita che comportava le concentrazioni di potere, disponeva dei nuovi mezzi offerti dalla tecnica e dallo sviluppo delle forze produttive, ma continuava a proteggere i capitali dovuti alle rendite di posizione e i soldi bloccati all’estero con la fuga dei capitali. Questo tipo di denuncia era presente nell’analisi che Viglianesi e il gruppo dirigente presentavano in ogni occasione. Per la UIL il confronto con un padronato chiuso e ostile ai cambiamenti – nella visione di uno sviluppo che avrebbe permesso un’elevazione della classe lavoratrice con incrementi salariali e rispetto per il lavoro e il lavoratore – voleva dire costante pressione nel rivendicare il ruolo che l’intermediazione sindacale doveva avere. Per questo, il proselitismo, la propaganda e la capacità di essere presente nelle trattative e nel dibattito politico erano un impegno perenne.

Viglianesi ritornò più volte su questi argomenti, parlando di una soluzione socialista che doveva portare ad un nuovo assetto generale del Paese, mediante la programmazione democratica e le riforme di struttura. Bisognava creare le condizioni per l’impiego dei capitali, per gli investimenti produttivi, la crescita del potere democratico, del controllo politico dell’economia. Arrivando a teorizzare che la classe lavoratrice esercitasse attraverso il sindacato, in un esercizio dei poteri conforme ai valori del socialismo, il controllo per le grandi decisioni di politica economica. La risposta alla sollecitazione della Uil sul tema, cui si mostrarono favorevoli le correnti interne, portava l’organizzazione a sposare le indicazioni politiche che giungevano dalla nuova stagione del centro sinistra. Si trattava di dare l’avallo alla politica di un governo che coinvolgeva i socialisti e che si predisponeva a realizzare un nuovo assetto nei rapporti con il sindacato.

Intanto, alle votazioni del 1963, Viglianesi è eletto con il Psdi al Senato.

Nel 1964 al Congresso confederale di Montecatini, in un passaggio della relazione, Viglianesi individuava un diverso corso economico con un’impostazione alternativa per un vero progresso:

È la visione di uno sviluppo economico controllato, ma non imbrigliato, con uno sguardo al panorama internazionale e pronto ad affrontare le sfide che i tempi dettavano, lasciando le linee guida alla forza della massa dei lavoratori ed ai soggetti che li rappresentavano.

La tesi del “sindacato socialista” continuava a indicare la strategia e il percorso che il sindacato riformista doveva compiere. Dando le indicazioni di crescita, allentando i nessi causali di classe per guardare al nuovo che si stava costruendo.

Le varie anime che esistevano e che si richiamavano al socialismo giunsero ad una unificazione il 30 ottobre 1966. Pietro Nenni nella Carta dell’Unificazione abbandonò la peculiare scelta di far aderire i socialisti alla Cgil, riconoscendo l’esistenza della pluralità delle appartenenze sindacali. Finalmente si disconosceva il principio del vincolo di dipendenza esistente tra sindacato e partito politico.

Viglianesi si batteva per l’unificazione socialista e continuava a teorizzare come il sindacato avesse tutte le ragioni per partecipare a quella stagione di cambiamento. Appartenente alla corrente “Autonomia socialista” insieme ad altri sindacalisti, sottoscrisse la Carta. L’obiettivo era di giungere a un sistema politico ed economico dove ogni atto implicasse scelte democratiche determinate e democraticamente controllabili, per un fine di progresso sociale e generale del popolo lavoratore e della Nazione.

I temi dell’autonomia e dell’unità sindacale prendevano quota, come anche i diritti del lavoro e dei lavoratori. Furono questi argomenti, con nuove impostazioni e parole d’ordine, che portarono le Confederazioni, nel decennio successivo, ad un mutamento nei rapporti con i partiti e a rafforzare l’identità del sindacato come soggetto politico.

Alla fine degli anni Sessanta – a circa un ventennio dalla fondazione – la Uil aveva aggiornato le proprie strategie, restando, tuttavia, fedele alle impostazioni ideali dell’inizio. Aveva adeguato la linea, sia politica, sia economica e la spinta dei rinnovi contrattuali (come anche la riforma previdenziale), che avevano permesso incrementi retributivi, metteva la classe lavoratrice nelle condizioni di essere e sentirsi protagonista del cambiamento. A fronte di questa maggiore consapevolezza restava ancora molto da fare. Il nuovo che giungeva dalla formazione di un governo di centro sinistra, come la stessa elezione di Saragat alla Presidenza della Repubblica qualche anno prima, poneva le basi per un coinvolgimento delle parti sociali ed era l’occasione per vedere realizzati dei risultati. Viglianesi e la UIL erano pronti a sfruttare questa stagione con la forza delle idee e la rinnovata capacità dell’organizzazione di espandersi.

Quando nel 1968, a Milano, si festeggiò il diciottesimo anno della UIL l’intervento di Viglianesi non fu di ripercorrere le tappe percorse, ma indicare il lavoro che ancora era necessario fare. Era il segno di un’organizzazione giovane, che aveva necessità continua di confrontarsi con la realtà del momento per poterla condizionare e trasformarla per la realizzazione del benessere della classe lavoratrice. In quell’occasione, accanto all’elenco dei punti della piattaforma UIL e della esposizione della situazione politica, dal punto di vista esclusivamente sindacale Viglianesi pose l’unità come cardine per continuare a cercare il dialogo, sui fatti e sui punti di maggior consenso, ricordando come questa ricerca, o richiesta, fosse da sempre nei programmi della UIL.

Viglianesi aveva chiaro come stesse cambiando il Paese e raccoglieva e rilanciava le nuove aspettative che si affacciavano nel panorama nazionale ed internazionale. Aveva l’opportunità che la sua leadership, sposando la richiesta di diritti che i lavoratori, le donne e gli studenti chiedevano – e i nuovi stimoli che salivano dal basso – coniugati con gli ideali socialisti di una piena libertà e dignità della persona umana, diventasse lo strumento per tradurre tutte quelle istanze in direttrici che dovevano condurre la politica ad affrontare il nuovo che avanzava. Non mancava nell’analisi economica la ricerca di un cambio, contrattato e condiviso, del sistema di rapporti di produzione, che si consideravano critici e alternativi ai valori che erano alla base del socialismo.

Le federazioni e le categorie continuavano a crescere e Viglianesi conosceva bene il senso del lavoro continuo e dell’impegno quotidiano per la crescita della UIL grazie ai suoi iscritti e a tutti coloro che si impegnavano per dare risposte ai bisogni dei lavoratori. Al congresso del 1969, Viglianesi riconosceva che tutto il percorso di crescita fosse frutto dello spirito di sacrificio e della fede nell’idea socialista di contribuire a cambiare l’Italia. Infatti, continuava a chiamare al rafforzamento della presenza sindacale sui posti di lavoro e ad uno sforzo di fantasia e di studio per avere la capacità di elaborare strategie vincenti, sia nei confronti con le controparti durante le fasi dei rinnovi contrattuali, sia in tutte le sedi possibili. Del resto, lo stesso Governo allora in carica aveva fatto esplicita richiesta di una chiara collaborazione per il processo di integrazione economica, tra aspirazioni socialiste e continuismo democristiano.

La UIL, dunque, si caratterizzava come il sindacato che sosteneva la politica di programmazione. Lo spostamento dell’asse politico, oltre ad una diversa strategia, comportò un nuovo approccio tra le componenti all’interno della Uil. Il confronto politico interno all’organizzazione era stato condotto in un equilibrio “dinamico”, perché le prospettive e le idee erano e continuavano ad essere diverse.

Si raggiunse, nel luglio del 1969, un faticoso compromesso per la gestione dell’imminente congresso confederale. Viglianesi, che non aveva rinunciato alla Segreteria generale, si ritrovò in minoranza oltre al fatto che stavano montando le polemiche e le richieste per le incompatibilità tra incarichi sindacali e le cariche politiche. La Uil non poteva aspettare. Alle consultazioni politiche risultò nuovamente vincitore al Senato e ne fu eletto Vicepresidente il 7 maggio 1969. A quel punto annunciò il suo ritiro.

Con il 1969 si aprivano nuove prospettive per l’azione sindacale. Nuove tematiche venivano affrontate (la politica per la casa, il rapporto con il movimento studentesco, l’attenzione per i disoccupati, i diritti legati alle riforme di democratizzazione del Paese, ecc.) oltre ad affrontare la fase dell’ondata contestativa dell’autunno caldo che stava gonfiandosi. Bisognava rivedere il ruolo del sindacato rispetto al sistema politico. Le conquiste normative e contrattuali del sindacato, nei tre anni che seguirono, diedero l’avvio ad una nuova fase politica dell’azione sindacale. Viglianesi si poneva al servizio della causa dei lavoratori come politico e nelle istituzioni continuò il suo impegno cominciato tanti anni prima.

Ricoprì la carica di ministro dei trasporti tra il 1970 e il 1972 prima nel governo Rumor III e poi nel successivo governo Colombo.

Fu senatore fino al 1979 anno in cui si ritirò a vita privata.

È morto a Roma il 19 gennaio 1995.

Paolo Sajia

*Testo tratto dal libro Raccontare il sindacato, Arcadia Edizioni, 2022

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