Italiani globali. Il Rapporto Italiani nel mondo

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11.03.2023

Ma quanti sono oggi gli italiani residenti all’estero? Secondo il nuovo “Rapporto italiani nel mondo”, redatto dalla Fondazione Migrantes, i nostri connazionali iscritti nell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) sono 5,8 milioni. Un numero maggiore rispetto ai 5,2 milioni di stranieri regolarmente residenti sul territorio nazionale.

L’Italia non ha mai smesso di essere un paese di emigrazione. Certo, non siamo più al cospetto di quella che fu definita – e a giusta ragione – la “Grande Emigrazione”, che ebbe inizio con l’Unità della nazione del 1861 e terminò verso la fine degli anni venti, durante la quale circa 18 milioni di disperati lasciarono il suolo del Bel Paese.

Oggi i flussi di espatrio sono minori, ma comunque in crescita: il numero di nostri concittadini che hanno lasciato l’Italia dal 2006, tenendo conto dei numeri forniti dell’AIRE, è passato da tre milioni ai quasi 6 attuali.

I nostri connazionali più che “italiani all’estero” oggi sono dei veri e propri “italiani globali”, costruttori – così come descritto dal Rapporto – di diverse “Italie al di fuori dell’Italia”. Con una madrepatria che perde popolazione residente (-1,1% dal 2020); soprattutto quei giovani che non si sentono tanto ben voluti nel nostro paese e fanno le valigie non (solo) perché muoversi è diventato normale e relativamente a buon mercato, ma il desiderio di estero è legato alla possibilità di avere quelle prospettive di vita che in Italia sembrano precluse.

Si dice sempre che “l’ascensore sociale” sia rotto e a quanto pare anche i tempi per la sua manutenzione appaiono incerti. E allora non ci si stupisce nell’apprendere di un’Italia “transnazionale”, che troppo spesso parte per non fare più ritorno; una nazione con la valigia, per giunta molto giovane, perché da noi i giovani tra i 15 e i 29 anni lavorano solo nel 29,8% dei casi. Una percentuale che si assottiglia al 20% per quanto riguarda il Mezzogiorno e a un deprimente 14,7% per le donne meridionali.

Ad un’“Italia demograficamente in caduta libera se risiede e opera all’interno dei confini nazionali, [se ne contrappone] un’altra, sempre più attiva e dinamica, che però guarda quegli stessi confini da lontano”.

L’acquisto della cittadinanza italiana avviene principalmente in due modi: per acquisizione secondo la legge n. 91 del 1992 e per nascita all’estero da genitori italiani. Dal 2006 gli italiani nati all’estero sono aumentati del 167% e “si tratta di italiani che restituiscono un volto ancor più composito del nostro Paese rendendolo sempre più interculturale e sempre più transnazionale”.

Degli oltre 5,8 milioni di italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE, i giovani tra i 14 e i 34 anni sono il 21%. I giovani adulti (età compresa tra i 35 e i 49) rappresentano il 23,2% del totale. Gli adulti maturi (tra i 50 e i 64 anni) il 19,4%, mentre gli anziani con più di 75 anni l’11,4.

Ben 2,7 milioni (47%) sono partiti dal Meridione; il 37,2% provengono dal Settentrione, mentre il 15,7% dal Centro.

Gli italiani all’estero sono presenti in tutti i Paesi del Mondo, ma particolarmente in Europa (39,8%); segue il continente americano, con prevalenza per il Sud America (32,2%).

Il Rapporto segnala, comunque, un rallentamento delle partenze per il 2021, dovuto alla pandemia da covid-19, con 25.747 iscrizioni all’AIRE in meno rispetto al 2020. Ed a partire sono stati prevalentemente maschi (54,7%) e giovani tra i 18 e i 34 anni (41,6%), con una percentuale che tra i giovani adulti (35-49 anni) è risultata del 23,9%.

Viene messo in rilievo come dei 194 mila stranieri che dal 2012 al 2020 hanno ottenuto la cittadinanza italiana, ben 107 mila persone hanno trasferito la residenza all’estero. Ciò “dà l’indicazione di un sostanziale contributo di ‘nuovi italiani’ all’aumento degli espatri”; e tra questi “nuovi” italiani, i più giovani sono coloro che mostrano la maggiore propensione alla mobilità”.

Da tutto questo si deduce anche che l’acquisto della cittadinanza se è da considerarsi certamente fattore di integrazione, ciò non vuol dire che lo sia anche di stabilità di vita sul suolo nazionale.

Viene analizzato anche il mondo dei pensionati e subito balza agli occhi come l’Inps oggi paghi pensioni a cittadini residenti in paesi da cui negli ultimi decenni è venuta una forte immigrazione.

Infatti, se in termini assoluti la Germania è il paese con più pensionati Inps, risultano in decrescita le tradizionali mete dell’emigrazione italiana. In aumento, invece, i pensionati in America centrale (+48%), in Asia (+33%) e Africa (+26%).

Negli ultimi anni, inoltre, molti pensionati italiani si sono trasferiti in zone economicamente più favorevoli, come Spagna, Portogallo e Tunisia, per salvaguardare il potere di acquisto della loro pensione. Aumentano anche i percettori di pensioni residenti nell’est europeo, come Ucraina, Romania e Moldavia.

Storicamente, è sempre stata grande e diffusa la sfiducia dell’emigrante nei confronti delle nostre istituzioni statali, tanto che l’emigrazione italiana ha spesso provato un senso di abbandono da parte dello Stato. Rimanevano saldi i vincoli di appartenenza con le regioni di provenienza e l’italianità si è sempre cementata attraverso l’associazionismo. Questo è il motivo per cui fu introdotta la possibilità di eleggere, nelle consultazioni nazionali, parlamentari residenti all’estero. L’obbiettivo era rinsaldare i rapporti con quell’emigrazione – con quella globalità – che è una formidabile ricchezza culturale.

Però, come sottolinea il rapporto, a fronte di un aumento corposo degli italiani nel mondo, è corrisposto ora un taglio della rappresentanza parlamentare (da 20 eletti a 12) eletta dai nostri italiani globali. Se a ciò si aggiunge che la conquista del voto per chi vive fuori dal confine nazionale è stata seguita da una crescente apatia, sfiducia e mancanza di conoscenza su ciò che succede in patria, ecco che il senso stesso del recarsi alle urne viene svuotato. E le distanze tra chi sta “dentro” e chi sta “fuori” si allungano inesorabilmente.

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