Isole di plastica: tra allarme ambientale e formazione di nuovi habitat

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02.05.2023

Una campagna di studio condotta nell’Oceano Pacifico e guidata dal Centro di ricerca ambientale Smithsonian, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Nature Ecology & Evolution, ha dimostrato che le cosiddette “isole di plastica” (o plastic vortex) – veri  e propri ammassi di rifiuti galleggianti in mare aperto – cominciano a configurarsi come habitat per alcuni animali marini che vivono normalmente sulle coste, tanto da aver dato vita a nuove forme di comunità definite “neopelagiche”. 

Le stime del WWF indicano che, ogni anno, ben 8 milioni di tonnellate di plastica vengono riversate negli oceani e, di queste, 300.000 tonnellate rimangono a galla, mentre il resto torna sulle nostre coste o si deposita sui fondali. 

Plastic vortex

A far da padrone nei plastic vortex sono soprattutto le microplastiche, rappresentate da frammenti estremamente minuti che tendono a mischiarsi al plancton e che, se ingeriti dalla fauna acquatica, mettono a rischio la salute degli animali e quella di tutta la catena alimentare ad essi connessa. 

In più, dal momento che i materiali dispersi nelle acque vengono aggregati da correnti che hanno un andamento tendenzialmente circolare, gli ammassi di plastica che si generano creano dei vortici semi-permanenti che, per la loro mobilità, assumono dimensioni tali da essere considerati nell’ecosistema alla stregua di un substrato stabile, che pertanto è ritenuto colonizzabile da alcune specie animali.

Isole di plastica e nuovi ecosistemi

È ciò che ha dimostrato l’analisi dello Smithsonian. Raccogliendo oltre cento campioni di detriti durante una campagna effettuata tra il 2018 e il 2019 nel Pacifico settentrionale, i ricercatori americani hanno rinvenuto la presenza, nel 70% di essi, di specie che vivono normalmente lungo le coste, in particolare molluschi e piccoli artropodi.

In totale, i campionamenti hanno condotto all’identificazione di quasi cinquecento organismi invertebrati marini installatisi sui detriti, di cui l’80% sono specie che si trovano normalmente negli habitat costieri e che sembrerebbero ormai essersi adattati a questo nuovo ambiente. Gli oggetti preferiti per il loro attecchimento sarebbero soprattutto le reti da pesca alla deriva. Gli autori della ricerca, infine, suggeriscono che queste comunità sarebbero ormai in grado di riprodursi divenendo in qualche modo stabili e dando vita a nuovi piccoli ecosistemi.

Inquinamento da plastica: un problema urgente

L’inquinamento da plastica è di fatto uno dei problemi ambientali più urgenti da affrontare, tanto per la sua intrinseca gravità, quanto perché lo abbiamo ignorato per troppo tempo. In special modo nei decenni appena trascorsi, la produzione e il consumo di oggetti in plastica ha visto una crescita esponenziale, determinando fenomeni di inquinamento sulla terraferma e in mare, soprattutto in molti paesi dell’Asia e dell’Africa, dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono spesso inefficienti o inesistenti. 

Il prezzo che stiamo pagando per questo utilizzo sconsiderato di un materiale così diffuso in tutti gli ambiti dell’attività umana è sì l’inquinamento in tutti i mari del mondo, ma anche, come detto, l’effetto delle microplastiche nelle catene alimentari. 

Un progetto condiviso per un’economia circolare della plastica

Come UIL, riteniamo che, per affrontare il problema dell’inquinamento di plastiche nell’ambiente, occorra un serio lavoro da parte di tutti i Governi per invertire questa tendenza, che veda anche il pieno coinvolgimento di tutti gli stakeholder: le istituzioni, il mondo accademico, i rappresentanti dell’industria, le Parti Sociali, ma anche e soprattutto i cittadini, nei quali va instillata una profonda consapevolezza nei confronti degli effetti dannosi provocati dalla dispersione di questi materiali nell’ecosistema comune. 

Va perciò costruito un percorso che sia il più possibile condiviso, attraverso la costituzione di un Tavolo Interministeriale, che affronti tutti i temi principali che riguardano il comparto, al fine di sviluppare un progetto strategico di Economia Circolare del Settore, in grado di cogliere anche le opportunità fornite dal Green New Deal Europeo e dalle risorse stanziate nel Recovery Fund”.

Siamo infatti convinti che occorra lavorare in maniera sinergica, al fine di instaurare un meccanismo di economia circolare anche del “sistema plastica”, che sia basato sulla riduzione dei consumi, sul riutilizzo, sulla ricerca di prodotti alternativi a minor impatto, sul miglioramento della gestione dei rifiuti, sulla maggior diffusione del riciclo (settore in cui l’Italia riveste un significativo ruolo di leadership a livello europeo) e sull’ampliamento del mercato delle “materie prime seconde”. 

Tutti i soggetti coinvolti nell’economia della plastica, dalla produzione alla gestione del fine vita, devono essere allineati all’obiettivo comune di porre fine alla dispersione di plastica in natura e in mare: perché investire nella Circolarità conviene all’occupazione, al bilancio dello Stato, all’Ambiente e alla salute delle persone. 

Dipartimento Ambiente UIL

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