IL LAVORO NELL’ARTE: BESTIE DA SOMA

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01.11.2023

(Teofilo Patini, 1886, olio su tela)

Il dipinto fa parte della cosiddetta “trilogia sociale” (insieme con “Vanga e latte” e “L’Erede”), che il pittore realizzò tra il 1880 e il 1886, ispirato, come gli altri due, dalla brutale fatica del lavoro dei campi e dalle tragiche condizioni di vita della gente del Meridione, ma anche dal loro coraggio e determinazione.

In questo dipinto l’Autore ci presenta la sosta, lungo il percorso montano, di tre donne di diversa età prostrate dalla estenuante fatica del trasporto di fascine e tronchi di legname da vendere a valle, lungo un cammino aspro e impervio.

Lavoratrici come bestie da soma

Il pittore dà forma ad una dolorosa metafora: le tre donne faticano come bestie, proprio come muli o asini nel caricare sul dorso la soma e nel trasportarla a valle.

Non importa che siano donne, che una di loro sia vecchia o che una sia gravida: tutte e tre non possono sottrarsi a questa fatica disumana e il loro destino appare impietoso e ineluttabile.

Sono dipinte in pieno sole, annientate, oltre che dalla fatica, da una canicola feroce, e solo una della tre, quella a sinistra, ha trovato un angolo ombreggiato nel quale è crollata, del tutto sfinita, con la schiena appoggiata alla fascina, gli occhi chiusi, in preda ad un torpore presago della morte.

Accanto a lei, verso il centro, la più giovane, spossata, guarda nel vuoto, senza più forze residue e, apparentemente, senza volontà di reagire, senza portare aiuto alla più anziana.

A queste si contrappone la “monumentalità della rozza colonna” (come scrisse un  critico al tempo) della contadina gravida, abbruttita dalla fatica,  ma dotata di una inesauribile energia, considerato il suo stato e il peso dei grossi tronchi che porta sulle spalle e che sta momentaneamente appoggiando alla base rocciosa presso la quale si è fermata.

La donna ha rimboccato la veste lacera sul ventre, quasi a proteggere il suo piccolo; la sua gonna mostra i segni dell’usura del tempo e della fatica, le sue calzature sono esili e fragili e non forniscono, chiaramente, protezione adeguata ai piedi lungo il percorso impervio mentre in lontananza, sul sentiero che si inerpica sul monte, altre tre donne continuano il loro cammino.

Sul petto le corde intrecciate per assicurare il carico da trasportare a valle.

Una natura desolata

Il significato del dipinto è reso ancor più incisivo dallo sfondo naturale desolato, scosceso, arduo anche per le bestie: non è visibile il cielo, non c’è orizzonte, lo spazio è chiuso e definito dalle rocce, quasi a voler sottolineare una condizione di oppressione e schiavitù senza speranza. Anche il colore contribuisce a creare questo senso di desolazione: varie sfumature dell’ ocra dominante suggeriscono il calore torrido che tormenta le donne; mancano il verde ombroso e l’acqua a mitigare la fatica.

È evidente il riferimento alla pittura del Realismo francese e si può considerare assolutamente calzante l’ accostamento ai dipinti di G. Courbet, in particolare, per il tema e la pennellata, agli “Spaccapietre” che tanto scandalo avevano suscitato nella Francia della metà dell’800.

La natura che fa da sfondo non è partecipe di questa sofferenza: essa è, leopardianamente, matrigna e indifferente e sembra, anzi, voler infierire senza misericordia sulle donne e rendere ancora più acerba e misera la condizione umana. Il suolo è arido, brullo, pietroso; qua e là, tra le pietre, fanno capolino soltanto cardi e cespugli spinosi: niente mitiga la condizione delle “bestie da soma”.

L’arte popolare

“Voglio rappresentare la sofferenza delle plebi contadine, dal nascere al morire” (…), così scrisse il Patini sul retro di alcune fotografie dei suoi dipinti inviate al deputato socialista Enrico Ferri, insigne giurista, tra i maggiori assertori del Socialismo riformista.

Il pittore che, in gioventù, aveva combattuto con Garibaldi, una volta concluse le guerre d’indipendenza, vide cadere ad uno ad uno gli ideali per i quali la sua generazione aveva combattuto; come molti di loro, si sentì deluso e tradito dalla politica del nuovo stato unitario, soprattutto nei confronti del Meridione.

Egli, dunque, nella sua maturità, aderì al movimento socialista, esprimendo nei quadri di ispirazione verista la sua vicinanza e solidarietà alle popolazioni rurali del Meridione e profondendo il suo impegno per ottenere provvedimenti legislativi più adeguati e necessari per alleviarne le sofferenze.

La sua arte “popolare”, accessibile a tutti, fu messa al servizio della “causa dei lavoratori e delle povere genti rurali” della sua regione, l’Abruzzo, e, più in generale, di tutto il Meridione, del quale volle contribuire a far emergere a livello nazionale la tragica condizione.

Licia Lisei, storica dell’Arte

 

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