Recensione: Il grande declino. Come crollano le istituzioni e muoiono le economie

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28.01.2022

Parliamo di un libro di Niall Ferguson, autorevole storico britannico: Il grande declino. Come crollano le istituzioni e muoiono le economie.

Scritto nel 2012, prima dell’ondata populista e sovranista che ha investito l’Occidente, con particolare intensità nel triennio 2016-2018 (Brexit, Trump, elezioni politiche in Italia).

Significativo l’accento messo sull’importanza delle istituzioni nel loro insieme, non solo su aspetti economici, per spiegare la crisi dell’Occidente.

Ferguson indaga la sovrastruttura per spiegare i guai della struttura: un marxismo rovesciato. L’autore invita a non esaminare solo singole Istituzioni, ma le loro combinazioni: i set di istituzioni. È in atto nel mondo un processo di miglioramento di cattivi set di istituzioni, rileva Ferguson, ma anche di peggioramento di quelli buoni. C’è un deterioramento delle istituzioni sulle due sponde dell’Atlantico (la “grande degenerazione”, appunto). Cos’è andato storto nel Mondo Occidentale? È una domanda molto significativa, se si pensa che solo qualche anno fa ci si chiedeva cosa fosse andato storto per esempio nell’Islam, dove sicuramente qualcosa è andato storto, ma non si aveva alcuna percezione che una domanda del genere potesse essere rivolto anche ai vincitori della guerra fredda.

Ferguson individua 4 componenti chiave della nostra civiltà: democrazia (politica), capitalismo (economia), governo della legge (sistema giuridico), società civile (società). Ora però l’equilibrio tra queste forze è messo in crisi da una crescente diseguaglianza. Le diseguaglianze tra i Paesi diminuiscono, mentre quelle interne aumentano. Gli Stati Uniti sono oggi diseguali come lo erano negli anni ’30. Se nel periodo 1933 (Grande Depressione)-1973 (grande inflazione) la disuguaglianza si era ridotta, nel periodo 1973-2010 è fortemente aumentata. Cosa sta succedendo? Per Ferguson, sono insufficienti le spiegazioni strettamente economiche (gli effetti delle politiche di riduzione del debito; gli effetti della globalizzazione; il ruolo delle tecnologie informatiche, che rendono agevoli off shore e outsourcing; gli effetti delle politiche fiscali, da quello di stimolo a quelle di austerità). Per capire le dinamiche in atto, di convergenza e di divergenza, bisogna studiare le istituzioni. Nel caso dell’Occidente, il passaggio dalla democrazia funzionante a deficit di democrazia; la fragilità regolatoria; il passaggio dalla “rule of law” (governo della legge) alla “rule of lawyers” (governo degli avvocati); il passaggio dalla società civile alla società incivile. Ed ecco che oggi è l’Occidente a trovarsi nella posizione dello stato stazionario descritta da Adam Smith, che la riferiva alla Cina.

Interrogativi analoghi a quelli che si pone Ferguson ritroviamo anche in un altro libro, anch’esso del 2012: Perché le nazioni falliscono. Le origini di potenza, prosperità e povertà, di Acemoğlu e Robinson, che si apre con uno spettacolare raffronto tra la Nogales statunitense (Arizona) e quella messicana (Sonora), che condividono le stesse condizioni strutturali ambientali, ma la prima ha tre volte il reddito pro-capite della seconda: sono le istituzioni, la cultura, la società, le regole a fare la differenza.

L’insegnamento che si può trarre da questi due libri: non basta puntare sulla crescita del PIL, bisogna seriamente occuparsi dello stato di salute della società e delle sue istituzioni, che condiziona nel bene o nel male la stessa economia.

 

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