Il ddl sull’autonomia differenziata mina l’unità e la coesione nazionale
22.02.2023
L’espressione “questione meridionale” è (purtroppo) entrata nel lessico comune. Essa risale al 1873 ed indica l’annosa situazione dell’arretratezza economica del sud del nostro paese, rispetto al resto della nazione.
Questa situazione è stata ancora una volta indagata da uno studio dell’Istat, pubblicato il 25 gennaio scorso. La ricerca è intitolata “I divari territoriali nel Pnrr: dieci obiettivi per il Mezzogiorno”. Lo scopo è quello di mettere in evidenza le criticità su cui dovrebbe incidere positivamente il Piano di ripresa e resilienza, con l’obiettivo di recuperare quei “divari rilevanti e persistenti”, che impediscono al Sud di progredire.
Come giustamente sottolineato nel focus, “quello dei ritardi del meridione d’Italia è da più di un secolo una priorità nazionale e un ambito privilegiato di attenzione nel dibattito e nelle politiche per lo sviluppo e la coesione sociale”.
Tra le principali differenze territoriali oggi esistenti, l’Istat evidenzia che:
1) da oltre vent’anni il “PIL pro-capite” nel Sud viaggia attorno al 55-58% rispetto a quello del Centro-Nord (nel 2021 il PIL reale è stato di circa 18mila €, era 33mila nel Centro-Nord) e tutto il Mezzogiorno si colloca sotto la media nazionale: la Regione di coda (la Calabria) ha un Pil pro-capite pari al 39,5% della migliore (Trentino-Alto Adige);
2) nel Mezzogiorno il livello di istruzione conferma una grave arretratezza: nel 2020, un terzo (32,8%) dei meridionali in età 25-49 anni (24,5% nel Centro-Nord) ha concluso al più la terza media; il 22,6% (27,6% nel Centro-Nord) ha un titolo terziario;
3) dal 2000 in poi si registrano abbastanza stabilmente circa 3 occupati ogni 10 in meno nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord (25-34 anni). Tranne rare eccezioni, l’intero Mezzogiorno presenta tassi di occupazione giovanile molto inferiori alla media;
4) nel 2020, Sud e Isole hanno perso ben 42 giovani residenti (25-34 anni) ogni 100 movimenti anagrafici nei flussi interni extra-regionali (+ 22 nel Centro-Nord) e 56 su 100 in quelli esteri (49 nel Centro-Nord). Il fenomeno è accentuato nelle province con bassa occupazione e nelle cosiddette “aree interne”;
5) il Mezzogiorno non ha ancora recuperato il gap di partenza rispetto ai processi di digitalizzazione: il 60% circa dei residenti ha opportunità ridotte di accesso alla Banda ultra-larga e circa 1 su 5 (17,3%) vive in contesti molto distanti da questo standard (4,2% nel Centro-Nord);
6) nel Sud spesso si registrano perdite per circa la metà dell’acqua per uso civile con livelli di inefficienza superiori alla media, che caratterizzano tre quarti delle province del Mezzogiorno (1/4 nel Centro-Nord);
7) bassa la densità della rete ferroviaria, soprattutto nell’alta velocità (0,15 Km ogni 100 Km2 di superficie; 0,8 al Nord; 0,56 al Centro) e negli ultimi decenni l’ampliamento è stato molto modesto (+0,3% contro +7,1% del Centro-Nord) mentre è aumentato il gap qualitativo (58,2% di rete elettrificata; 79,3% del Centro-Nord);
8) le competenze degli studenti risultano più basse in tutte le discipline e il gap aumenta nei diversi gradi d’istruzione;
9) l’offerta di servizi per l’infanzia è in crescita su tutto il territorio nazionale, ma i gap del Sud restano significativi: due terzi dei bambini (0-3 anni) nel Mezzogiorno vive in contesti con livelli di offerta inferiori agli standard nazionali e il 17,8% in zone con una dotazione molto bassa o nulla (5,3% nel Centro-Nord);
10) nel Sud la contrazione della spesa pubblica ha inciso negativamente sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e permane una diffusa “emigrazione sanitaria”: i ricoveri extra-regionali sono il 9,6% di quelli interni (6,2% nel Centro Nord). In oltre 1 Provincia su 5 (21,1%; 7,2% nel Centro-Nord) tale mobilità sanitaria è molto alta.
È evidente che se questi sono dati, la proposta riguardo all’autonomia differenziata presentata dal governo, si presta a delle critiche, perché appare palese il rischio di completa “desertificazione” economica e sociale del Mezzogiorno.
La posizione della UIL
Riguardo al disegno di legge, si è espresso in maniera chiara e netta anche il segretario generale della UIL Pierpaolo Bombardieri, affermando che “con l’approvazione in Consiglio dei ministri del ddl sull’autonomia differenziata si corre il rischio di minare dalle fondamenta l’unità e la coesione nazionale. Il Governo non spacchi in due il Paese. Prima di parlare di autonomia differenziata bisogna garantire su tutto il territorio nazionale gli stessi diritti e le stesse condizioni di vita. Così come è essenziale assicurare il passaggio dalla spesa storica ai costi standard e prevedere un sistema di perequazione tra territori, basato sulla capacità fiscale per abitante. Peraltro, ci vogliono tante risorse, proprio ciò che il Governo non prevede, ma le riforme a costo zero o sono zoppe o penalizzano qualcuno: in questo caso, il Mezzogiorno d’Italia”.
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di Pierpaolo Bombardieri
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